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[L’intervento esclusivo] Stefano Versari (Capo Dipartimento sistema educativo di istruzione e formazione Ministero dell’istruzione): «Abbiamo assunto 60 mila docenti per ripartire. Le scuole funzionano ma non siamo in Paradiso»

I RELATORI

Stefano Versari, Capo del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell’istruzione, è intervenuto al webinar organizzato dall’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia dal titolo “La ripartenza della scuola, sfida da vincere per il futuro”. L’evento, moderato da Elena Ugolini, già sottosegretaria all’Istruzione nel governo Monti, ha visto tra gli ospiti anche Roberto Ricci, Presidente Invalsi.

Come è andata la riapertura della scuola e cosa abbiamo imparato in questi due anni che forse sono i più difficili che abbiamo conosciuto?

“Dire che la riapertura è andata bene, come effettivamente è stato, senza poter avere l’interlocuzione sembra un po’ di parte. Quali sono gli indicatori per cui possiamo dire che la ripartenza è andata bene? Gli indicatori sono il numero di docenti che siamo riusciti a immettere in ruolo quest’anno, quasi 60.000. Non ne abbiamo messi in ruolo di più perché non ce n’erano, potevamo arrivare fino a 112.000, ma 60 mila siamo riusciti. Lo scorso anno siamo riusciti a immettere in ruolo meno di 20 mila docenti.

La seconda cosa che siamo riusciti a fare è stata un’anticipazione delle procedure enorme come tempistica.

La terza questione è stata l’automatizzazione del sistema del conferimento delle supplenze che ci ha consentito di conferire centinaia di migliaia di supplenze automatizzato.

Certo, non è andato tutto bene, anche perché interveniamo su una situazione di una complessità e di una variabilità enorme. Questo è il primo anno che è stata fatta una procedura automatizzata. Siamo riusciti a inviare tra fine agosto e inizio settembre le mail di convocazione alle scuole; per circa 40 mila degli immessi in ruolo la mail è arrivata a inizio agosto, quando gli anni scorsi si faceva sempre a fine agosto. Quindi sono 40 mila persone che hanno saputo con un mese di anticipo dove sarebbero andati.

Come sistema abbiamo imparato molto. Cosa abbiamo imparato come persone potrà dirlo solo il tempo e ciascuno per se stesso, perché noi ci siamo detti per incoraggiarci “andrà tutto bene”, e abbiamo fatto bene a dirlo. Ma non è vero che è andato tutto bene e non è vero che tutti abbiamo reagito alla stessa maniera. Siamo stati tutti soggetti a uno stress test enorme e non tutti abbiamo reagito alla stessa maniera. E comunque tutti ne siamo usciti affaticati.

Il grande vantaggio è che questa fatica è stata per certi aspetti condivisa anche dai nostri giovani, ma la capacità di reazione, di ripresa e di recupero dei nostri ragazzi è enormemente maggiore di noi adulti. Direi che quindi l’anno è partito bene, non siamo in Paradiso, dobbiamo continuare a fare scuola per far comprendere anche ai nostri ragazzi quello che è accaduto, che è stato un tempo che spero quasi superato e che ci ha sottoposto a una prova molto dura. La scuola non può escludere l’affronto critico di questo tempo che abbiamo vissuto per cercare di dare le ragioni dell’accaduto a noi stessi e nel come essere in una situazione di difficoltà come quella che abbiamo vissuto”.

Gli insegnanti sono un punto chiave del sistema scuola, perché la differenza la fa proprio chi imposta l’ora di lezione e chi la costruisce con i propri studenti. Penso ci siano dei margini di miglioramento nel modo in cui selezioniamo e formiamo i docenti. Nel PNRR si parla della necessità di cambiare le modalità di formazione e di selezione dei docenti. Tutti i ministri si sono scontrati su questo punto. Voi cosa state preparando?

Dico sempre che il bello del progredire nei livelli di carriera è scoprire che quello che tu pensavi avresti potuto cambiare a quel livello di carriera, poi in realtà non è così. Non esiste un livello con il quale si possa cambiare il mondo. Ci sono dei livelli istituzionali che consentono di intervenire, fermo restando che essendo l’Italia un sistema democratico, tutte le leggi devono passare per il Parlamento. Quindi anche la migliore idea deve confrontarsi con il Parlamento, per fortuna.

Sostanzialmente per fare la riforma gli elementi sono due, deve essere sensata e deve essere condivisa. Purtroppo capita a volte che si facciano riforme non pienamente sensate dovute alla non compiuta conoscenza dei problemi, e a volte ci sono riforme pienamente sensate ma che non riescono ad essere comprese e che quindi sono destinate al fallimento.

Quello su cui dobbiamo lavorare e su cui lavora principalmente il Ministro è soprattutto il tema del reclutamento del personale. E questo non perché il tema della formazione non sia significativo, ma il tema del reclutamento è quello determinante e su questo il Ministro sta ragionando e riflettendo. Si sta pensando quindi a un corso iniziale di formazione, a come si farà l’abilitazione all’insegnamento, che è un percorso che abbiamo ritenuto che sia necessario per le professioni anche docenti. Decidere il percorso di abilitazione alla professione docente è quindi già una strada concreta.

Ci sono i concorsi. A luglio c’è stato un Decreto Legge che è intervenuto sulle procedure concorsuali, emaneremo a breve un decreto che modificherà il concorso ordinario, che è il primo da cui partiamo. Contiamo di fare questo decreto entro questo mese per modificare il precedente decreto e a seguire potremo bandire. Abbiamo iniziato anche per questo i collaudi delle postazioni, che saranno ancora una volta computer based.

Quindi il tema della procedura concorsuale ordinaria è il primo che affronteremo dopo l’avvio dell’anno scolastico.

Stiamo anche facendo in questi giorni tutte le procedure per l’avvio del prossimo anno scolastico. Ma questo è secondario. Il tema è come andiamo a individuare le persone che avendo scelto di fare i docenti abbiano le competenze migliori. Quindi il tema della selezione iniziale e della formazione in itinere non è per niente secondario.

Una formazione che dovrà essere valutata anche nei termini di prescrittività: per quanto e in che misura è prescrittiva una formazione docenti? La legge prevede che sia obbligatoria, il successivo contratto con le organizzazioni sindacali prevede che sia solo parzialmente obbligatoria. Questi sono i temi su cui ci si gioca il futuro con riforme che devono essere sensate e condivise.

Che cosa è in cantiere per quest’anno scolastico, quindi a breve scadenza, per intervenire sul problema dei divari esistenti tra Nord e Sud, divari esistenti tra scuole e anche all’interno degli stessi istituti scolastici? C’è in programma qualcosa di concreto?

Il primo intervento per ridurre i divari è stato questa estate, con lo stanziamento di 530 milioni di euro per il Piano Estate. Il problema è che è sempre difficile rendere critica la valutazione di quello che si fa. Mi spiego, se si interviene pianificando nel dettaglio quello che si deve fare nelle scuole, viene affermato che si conculca l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Se come questa estate vengono dati i fondi e si chiede ai docenti e alle scuole di favorire il consolidamento e il rafforzamento delle competenze soprattutto nei contesti più depauperati, quindi soldi senza necessità di dire cosa si deve fare, anche su questo ci sono state delle lamentele perché non si sapeva cosa si doveva fare e perché non sono state date adeguate indicazioni.

Sono rimasto stupito di questo, perché mi ha dato una percezione e un’idea di una scuola che decanta l’autonomia ma che in realtà preferisce non averla perché è più semplice dire “io faccio quello che mi dici di fare”. Abbiamo detto da 20 anni a questa parte e l’abbiamo scritto nella Costituzione che non è pensabile che si possa dire come fare scuola per tutta Italia, in tutti i luoghi, in tutti i contesti e anche all’interno dei singoli contesti, dicendolo da Roma o con una legge dello Stato.

Dal punto di vista delle risorse il tema dei divari si affronta innanzitutto facendo in modo che vi siano anche contesti scolastici che siano diversi da quelli che ci sono attualmente. Quest’anno, solo nel 2021, sono stati assegnati più di 3 miliardi di euro dal Ministero dell’Istruzione per l’edilizia scolastica. Ma anche lì vediamo che noi diamo finanziamenti per l’edilizia scolastica e ci accorgiamo che molte realtà non partecipano ai finanziamenti, e sono diversi enti locali che spesso sono i più piccoli che magari non sanno neanche che ci sono i bandi. E poi quando vincono i finanziamenti scopriamo che ci sono realtà, poche ma vi sono, in cui c’è una grande difficoltà a fare una progettazione e realizzare l’intervento edilizio.

L’idea che tutto possa essere risolto dalla scuola, è un’idea che non porta molto in là, a mio parere. Tuttavia gli indicatori che stiamo evidenziando ci suggeriscono altri interventi, quantomeno noi li rappresentiamo ad altri contesti istituzionali. Stiamo notando una grave difficoltà dei piccoli enti locali ad utilizzare al meglio le risorse che pure vengono assegnate. E se non abbiamo un’edilizia scolastica, non si riesce a fare innovazione del fare scuola in contesti depauperati, in scuole ricavate dai condomini. Così non si riesce a fare un’innovazione della didattica, dell’insegnamento, del contesto educativo in strutture ed edifici così disagiati.

Noi continuiamo, le risorse che vengono assegnate sono notevoli. Credo che il tema del divario sia un tema che coinvolge enormemente la scuola, ma la politica si deve rendere conto che il divario di apprendimento nasce nel suo cuore da povertà economiche, culturali e sociali, diventa difficile per la scuola realizzare l’ascensore sociale in contesti depauperati. Questa è sostanzialmente l’idea del PNRR, cioè l’idea di affrontare temi enormi con riforme che devono essere altrettanto enormi e significativi, perché altrimenti con singoli correttivi non si riesce a dare una svolta al sistema Paese nella sua interezza, e quindi anche al sistema scolastico.

Se non riusciamo a spendere i soldi che vengono dati in modo ordinario sull’edilizia scolastica, come è possibile pensare di spendere i soldi che verranno dati in modo straordinario dal PNRR? Tu hai guidato la ricostruzione dell’edilizia scolastica in Emilia Romagna con risultati incredibili, ma ho paura che se non seguiamo questo tipo di strada, non sarà possibile spendere i soldi del PNRR.

Il punto è questo. Quel tipo di strada non è stata determinata da una genialità politica, ovviamente non a detrimento degli amministratori dell’Emilia Romagna. Quello che è accaduto nasce da un livello politico adeguato ad un livello sociale alto, consapevole dell’importanza di fare scuola, consapevole della necessità di affrontare in maniera risoluta problematiche nuove. Sono sempre più convinto che dobbiamo cercare il più possibile di realizzare riforme sensate e condivise.

Perché siano condivise, se non c’è la capacità anche di abbassare il livello della polemica costante, censoria, demolitrice di tutto quello che si fa, se non si va in questa direzione non si riesce a realizzare nulla, realmente. Da questo punto di vista sono convinto che la forza del PNRR sia nell’entità delle risorse che dovranno consentire di fare interventi di natura straordinaria altrimenti impossibili. Se diamo solo i soldi per l’edilizia e non mettiamo le strutture in condizioni di spenderli non faremo il PNRR.

Questo è il motivo per cui nel PNRR sono previsti ingenti finanziamenti anche ai Ministeri perché costruiscano e realizzino strutture di missione. Senza strutture di missione non si realizzano gli interventi. Il problema dell’edilizia non è il problema unico, ma è il problema fondamentale per i divari in certe zone del Paese.

L’altro punto, di cui abbiamo già parlato, è quello della formazione permanente e di un recupero anche di autostima, di competenza, del ruolo professionale di chi fa scuola. La demolizione permanente di tutto ciò che accade nella scuola, non aiuta. E’ come se noi dicessimo a un bambino che sta imparando “anche oggi hai sbagliato tutto”. Certo, la scuola è fatta di persone adulte, consapevoli, ma dobbiamo anche riuscire a bilanciare l’avere fiducia nella scuola con la consapevolezza dei limiti. Dobbiamo fare della scuola la scuola della nostra fiducia.

Ricordiamoci che l’UE non ci propone obiettivi, ci chiede risultati. E se non possiamo presentare risultati, non saranno finanziate le relative risorse del PNRR. Quindi l’ipotesi del “diamo i soldi, ma non riusciamo a spenderli”, significa che i soldi non arrivano. Non è una partita da poco quella che è in gioco. Non obiettivi, ma risultati, e se l’obiettivo non è raggiunto, salta il finanziamento.

E’ possibile migliorare la scuola a riforme invariate? Che cos’è che possiamo fare da subito noi genitori, insegnanti e dirigenti perché le cose possano cambiare da domani mattina?

A partire da domani si può fare tutto, e a riforma invariata. Sono sempre stato contrario all’ipotesi di continue riforme. Ricordiamoci che le grandi riforme degli ultimi 20 anni sono state fatte da governi che hanno avuto durata quinquennale o comunque lunga. In questa legislatura noi siamo al quarto ministro, è chiaro che con 4 ministri in tre anni e mezzo non è ipotizzabile una strutturazione di un percorso.

Sono convinto che non ci sia in questo momento necessità di riforma della scuola. Non a caso le ipotesi che sono state messe al centro del PNRR non riguardano la riforma della scuola, ma sono porre mano al tema dell’istruzione tecnica e professionale, nel senso del percorso, riforma degli ITS, riforma del reclutamento e della selezione dei docenti, riforma dell’orientamento. Non c’è un’idea di riforma degli orientamenti nel senso di nuove indicazioni nazionali, che in questo momento, a mio parere, non sono necessarie.

Questo significa che i risultati che ci vengono da INVALSI certamente devono indirizzare il decisore politico sulle politiche del sistema, ma non è pensabile che non dicano a me docente e a me dirigente scolastico cosa sta accadendo nella mia scuola, perché in una classe avviene questo e in un’altra classe accade altro. Adesso ognuno ha i dati per la propria scuola; non sono dati infallibili, ma sono dati che danno indicazioni concrete e attendibili. E uno deve cominciare a chiedere cosa possiamo fare, cosa serve fare nelle singole classi. Può darsi che serva un nuovo mix di docenti, e allora si interviene, oppure che ci siano elementi di natura sociale ed esterni alla scuola sui quali bisogna cercare di intervenire.

Con alcuni sindaci abbiamo detto che se continuiamo a pensare di fare integrazione scolastica a docenti privi di cittadinanza italiana che in alcune province arrivano al 23% del totale degli studenti, se pensiamo di farla continuando ad avere quartieri-ghetto in cui questi risiedono, e che quindi frequentano tutti le stesse scuole e che quindi abbiamo le scuole-ghetto da cui scappano gli italiani autoctoni, se non incominciamo a fare una diversa politica abitativa o anche una diversa politica dei trasporti, non si supererà mai il problema.

Queste cose le deve fare anche la politica, ma noi a scuola già le possiamo fare. E se un collega vede che l’altro collega va male, deve intervenire, perché la comunità scolastica è anche questo. E’ difficile intervenire, ma non si può stare zitti. L’abbassamento dell’etica di comunità significa l’abbassamento dell’etica scolastica.

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