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[L’intervento] Stefano Laporta (Presidente ISPRA): «Il Mar Mediterraneo e il PNRR: una risorsa da proteggere e valorizzare»

ll Mediterraneo è un hotspot di biodiversità unico al mondo, con un’elevata diversità e livello di endemismo di flora e fauna. Pur rappresentando infatti solo lo 0,3% del volume globale di mari e oceani, il Mediterraneo ospita il 7% delle specie marine identificate a livello globale, con il più alto tasso di endemismo (intorno al 20-30%) delle specie marine nel mondo.

L’endemismo, ovvero la presenza di numerose specie che vivono esclusivamente nel Mediterraneo, è una caratteristica marcata della biodiversità marina nel Mediterraneo. Citiamo per tutte due specie particolarmente emblematiche: il corallo rosso (Corallium rubrum), e la pianta superiore Posidonia oceanica.

La complessità dell’ecologia del Mar Mediterraneo è principalmente attribuibile alla complessità della sua storia geologica, combinata con le diverse condizioni climatiche prevalenti nelle sue diverse zone. La combinazione di questi elementi ha portato alla coesistenza di molti ecosistemi con un’ampia gamma di estensione e distribuzione.

Il Mediterraneo ha una bassa produzione primaria, con valori decrescenti andando da ovest verso est del bacino.  E’ noto tuttavia che alcune aree specifiche ospitano localmente un’elevata produttività, come il Mare di Alboran e le zone settentrionali del Mare Adriatico.

A causa dell’incremento delle attività antropiche avvenuto negli ultimi decenni, la biodiversità mediterranea ha subito crescenti pressioni indotte dall’uomo quali inquinamento, eccessivo sfruttamento delle risorse biologiche, cambiamenti nell’uso del suolo e sviluppo di infrastrutture costiere, cambiamenti nelle dinamiche fluviali, aumento degli usi del mare e, non ultimo, gli effetti dei cambiamenti climatici. Queste pressioni hanno ridotto l’estensione degli ambienti e degli ecosistemi naturali a terra e a mare e hanno alterato la capacità degli ecosistemi di fornire servizi ecosistemici vitali per l’uomo. I recenti dati delle Nazioni Unite ci dicono che circa l’11% delle specie marine e il 14% delle specie terrestri costiere del Mediterraneo sono a rischio di estinzione, la maggior parte delle quali endemiche. Le specie non indigene sono sempre più presenti nel Mar Mediterraneo, con un totale di oltre 1.000 specie marine non indigene individuate, di cui oltre 100 invasive.

Le praterie di Posidonia oceanica e Zostera marina stanno regredendo e le associazioni di coralligeno sono fortemente influenzate negativamente dalla pesca, dalle specie invasive, dall’inquinamento, dell’innalzamento della temperatura e dall’acidificazione delle acque marine.

Con riferimento ai cambiamenti climatici, si stima che il bacino del Mediterraneo sia a rischio di subire livelli e tassi di cambiamenti che superino i valori medi globali. Questo vale sia per le variazioni in temperatura e precipitazioni sia per l’aumentata frequenza ed entità degli eventi meteorologici estremi. Le temperature medie annue medie nel bacino del Mediterraneo sono aumentate di 1,5°C dai tempi preindustriali (1861-1890), circa 0,4°C al di sopra della media globale, a causa di una combinazione di fattori locali (ad es. cambiamenti nell’uso del suolo) e cambiamenti su scala globale che interessano il bacino del Mediterraneo attraverso varie modalità di teleconnettività.

La triplice crisi globale del cambiamento climatico, perdita di biodiversità e inquinamento ha già esercitato un pesante impatto sugli ecosistemi con effetti sempre più acuti sul benessere umano.

Le nostre azioni, a livello di Paesi Mediterranei, devono essere sempre più tempestive e sempre più efficaci.

Un recente rapporto delle Nazioni Unite sullo stato dell’ambiente nel Mediterraneo (State of the Environment and Development in the Mediterranean, 2020) individua le seguenti priorità di azione:

  • i paesi devono adottare programmi di monitoraggio e individuare e mappare le specie e gli habitat costieri e marini all’interno dei loro territori,
  • devono essere promossi lo sviluppo e l’attuazione adeguati dei piani di gestione per le Aree marine protette (AMP) e altre misure di conservazione, in particolare aumentando la capacità operativa e finanziaria delle AMP;
  • gli aspetti legati alla tutela della biodiversità devono essere pienamente integrati nelle politiche e nella pianificazione di settore a tutti i livelli;
  • la gestione integrata delle aree costiere e dei bacini fluviali ad esse collegati nel Mediterraneo, è importante per limitare il degrado e la perdita di zone umide;
  • poiché il funzionamento delle zone umide, degli acquiferi costieri e di altri ecosistemi costieri è fortemente compromesso dalle attività terrestri, è necessario tenere presente la connettività tra gli habitat e l’interfaccia terra-mare;
  • la caratterizzazione, valutazione e priorità dei servizi ecosistemici (compresa la mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici) dovrebbe essere considerata come parte essenziale della gestione degli ecosistemi costieri e marini, e integrata nelle politiche/piani per lo sviluppo sostenibile;
  • sono prioritari gli sforzi per la conservazione e il ripristino degli ecosistemi marini a livello nazionale e locale con lo sviluppo e l’attuazione di meccanismi operativi e finanziari sostenibili

Ricordiamo, a tale proposito, che il 2021-2031 è il Decennio delle Nazioni Unite di ripristino degli ecosistemi, ovvero PREVENIRE, ARRESTARE E INVERTIRE IL DEGRADO DEGLI ECOSISTEMI NEL MONDO.

L’Italia in questo fa, e farà sempre di più, la sua parte grazie al progetto appena avviato in ambito PNRR denominato ‘Ripristino degli ecosistemi marini’. La Governance del Progetto è affidata al Ministero per la Transizione Ecologica e a ISPRA. Il progetto terminerà nel 2026 e si compone di 3 investimenti:

  1. La realizzazione di sistemi di osservazione degli ecosistemi marini e marino-costieri tramite sistemi di osservazione non stazionari e sistemi di osservazione in situ.
  2. La mappatura degli habitat marini di interesse conservazionistico, costieri e di acque profonde.
  3. Attività di ripristino ecologico dei fondali e degli habitat marini tramite misure di protezione ecologica, interventi di ripristino attivo e attuazione di misure di tutela.

Il ripristino di un ecosistema marino include un’azione o più azioni che indirizzino un ecosistema degradato verso una traiettoria di recupero in termini di struttura e proprietà funzionali, indipendentemente dal periodo necessario per raggiungere l’esito del recupero. Il ripristino ecologico mira principalmente a stabilire un sistema autosufficiente e resiliente che sia comparabile, per funzioni e struttura, con l’habitat originario. A seconda del contesto ecologico, il ripristino può essere conseguito mediante riduzione/esclusione delle pressioni, consentendo il recupero naturale (ripristino passivo), o essere conseguenza di interventi mirati (ripristino attivo).

Il Progetto Marine Ecosystem Restoration ha l’obiettivo di realizzare interventi che consentano di limitare in modo significativo, e se possibile permettano di eliminare le pressioni antropiche sugli habitat di interesse conservazionistico, facendo in modo che essi recuperino il buono stato di salute; ciò mediante la messa in atto di specifiche soluzioni tecniche che, evitando il permanere di situazioni stress, favoriscano il recupero ambientale (ripristino passivo), e mediante azioni di ripristino attivo, basate sulle tecniche più avanzate ed efficaci.

Questo investimento per il mare del PNRR ha l’obiettivo di consentire all’Italia di rispondere efficacemente a quanto richiesto dalla Strategia Europea per la Biodiversità che, per il 2030, ha fissato l’obiettivo di proteggere il 30% dei mari nazionali e il 10% in modo rigoroso. Le attività del PNRR prevedono di cartografare gli habitat di interesse conservazionistico in tutte le acque sotto la giurisdizione italiana con l’impiego di strumenti di ultima generazione al fine di disporre delle informazioni indispensabili per procedere efficacemente alla tutela e al ripristino dell’ambiente marino. La mappatura degli habitat costieri avrà inizio nel 2022 con l’impiego delle navi di ricerca attualmente disponibili; saranno poi realizzate navi di nuova generazione che, impiegate a partire dal 2024, permetteranno il completamento delle attività di mappatura degli habitat, con particolare riguardo agli habitat più profondi, per i quali ancora permangono grosse lacune conoscitive.

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