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Sergio De Nardis (economista): «Alla ricerca della crescita (potenziale) perduta»

L’Italia sta ritrovando la crescita potenziale perduta? Sì, secondo le recenti valutazioni della Commissione europea.

Questo è un aspetto su cui le audizioni, incentrate sulla legge di bilancio, non si sono soffermate, ma che è evidentemente cruciale per la prospettiva.

In base alle stime europee, il nostro prodotto potenziale (l’output raggiungibile quando l’economia opera impiegando a pieno tutta la sua capacità) aumenterebbe nel triennio 2022-2024 di circa l’1% all’anno, con un sensibile miglioramento rispetto al misero andamento medio (0,3%) calcolato per i precedenti 22 anni di moneta unica.

Un simile rafforzamento allineerebbe l’Italia a Germania e Francia che, al contrario, andrebbero incontro a un’attenuazione della dinamica potenziale rispetto al ventennio precedente.

Si chiuderebbe quindi il gap nei confronti dei maggiori partner europei che ha afflitto la nostra economia nell’era dell’unione monetaria.

Una buona notizia da accogliere con cautela. Le valutazioni del potenziale sono circondate da ampia incertezza, soprattutto quelle relative alla parte finale del periodo di stima influenzate anche dalle previsioni.

Tali valutazioni non sempre riescono a escludere adeguatamente l’influenza del ciclo economico: il potenziale peggiora quando il Pil statisticamente misurato (e previsto) va male e viceversa.

Le forti oscillazioni cicliche degli ultimi anni e l’aleatorietà della prospettiva possono dunque rendere più difficoltosa la stima, anche se la Commissione ha posto attenzione nel filtrare gli effetti di caduta e rimbalzo verificatisi a partire dal 2020.

Pur nell’incertezza, tuttavia, il segnale qualitativo di un miglioramento resta e non va sottovalutato. Nella ricerca dei motivi alla base del probabile maggior potenziale, sembrano da scartarsi le riforme strutturali sul lato dell’offerta: non ce ne sono state.

Ciò che invece si è verificato è stata una forte ripresa post-pandemia della domanda aggregata, non frenata da esigenze di consolidamento delle finanze pubbliche (per la sospensione del Patto di stabilità) e alimentata (in prospettiva) dai primi effetti del Pnrr.

Il ciclo positivo, favorito dalla politica fiscale, ha fatto dunque bene al rafforzamento dell’offerta potenziale, non solo per motivi meramente statistici.

Guardando avanti, affinché l’irrobustimento non si riveli un fuoco di paglia e diventi più consistente occorrerebbe che il governo prestasse attenzione a 3 aspetti:

1) evitare di penalizzare la produttività (quella multifattoriale in forte rimbalzo nel 2021) con incentivi che vanno in senso contrario (come le misure sul trattamento tributario differenziato degli autonomi e il sommerso);

2) concentrare ogni sforzo nella realizzazione del Pnrr, unico effettivo strumento di stimolo a disposizione;

3) battersi per una governance fiscale europea, attualmente in discussione, che non porti ad azzerare la spinta del Pnrr, lasciando adeguati spazi a stabilizzazione ciclica e sostegno del potenziale.

Abbiamo un debito da cui rientrare, ma anche una prioritaria necessità di crescita, che sembra aver preso a rivitalizzarsi nelle circostanze degli ultimi anni. I due obiettivi (crescita e debito) devono andare insieme, non ripetendo gli errori del passato.

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