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Roberto Buizza (docente di Fisica alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa): «La nuova economia passa dalla decarbonizzazione. Recovery Fund chance unica per attuare questo cambiamento»

Roberto Buizza, professore di Fisica all’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e coordinatore dell’iniziativa federata sul clima con Scuola Normale Superiore e Scuola Superiore IUSS di Pavia, è intervenuto ai microfoni di askanews.

«Se pensiamo al clima, il 2020 verrà ricordato anche come l’anno più caldo dal 1979, sia se consideriamo la temperatura media globale (alla pari con il 2016), che se consideriamo la temperatura media solo sull’Europa. Sarà ricordato anche come l’anno degli estremi di temperatura in Siberia (38 gradi di massima a giugno), e dell’estensione minima dei ghiacci dell’Artico sia in ottobre che a novembre, e degli incendi che hanno distrutto l’Australia e la costa ovest degli Stati Uniti. Quindi, il 2020 si chiude con un messaggio chiaro: le emissioni di gas serra continuano a crescere, il clima a scaldarsi, i ghiacci a sciogliersi».

Per abbassare le emissioni, i soldi del Recovery potrebbero essere un modo per migliorare questa piega irreversibile. «I fondi europei del Recovery Fund sono un’occasione unica per far ripartire l’economia in modo diverso. Sono investimenti che possono aiutarci a dare una svolta significativa verso la decarbonizzazione. Abbiamo le tecnologie per farlo, e questi fondi se usati opportunamente possono trasformare le attività umane, e disaccoppiare la crescita economica dalla crescita delle emissioni di gas serra. Quindi le premesse ci sono, ma non è ancora chiaro se sapremo sfruttarle al meglio, o se invece pur di far ripartire l’economia permetteremo che tutto continui nello stesso modo»

Secondo Buizza, bene sta facendo la Gran Bretagna e il segnale di cambiamento di Biden, al posto di Trump, può essere un’ottima notizia per il pianeta. «L’Amministrazione Biden ha dato segnali chiari di voler tornare a lavorare con la comunità internazionale per mantenere il riscaldamento medio globale al di sotto dei 2 gradi, possibilmente di 1.5 gradi (obiettivo di Parigi 2015), rispetto ai valori pre-industriali. Tra i paesi più industrializzati, UK sta muovendosi decisamente verso una nuova rivoluzione industriale che porti alla decarbonizzazione. Hanno infatti deciso di ridurre le emissioni di gas serra nel 2030 del 68% rispetto ai valori del 1990: un obiettivo ambizioso ma realizzabile. L’Europa parla di una riduzione più modesta, di raggiungere nel 2030 una riduzione del 40% rispetto ai valori del 1990. Se gli obiettivi UK venissero raggiunti, sarebbe un grande passo avanti, e UK dimostrerebbe che si può implementare una nuova rivoluzione industriale»

«I record climatici del 2020 – prosegue il professore della Sant’Anna di Pisa – ci dicono che occorre accelerare la transizione, ma purtroppo si tende molto spesso a parlare di obiettivi futuri senza definire in modo chiaro obiettivi per l’anno in corso. Se vogliamo raggiungere l’obiettivo di zero-emissioni-nette nel 2050, dobbiamo ridurre le emissioni di almeno il 5% ogni anno, a partire dal 2021. Occorrono strategie e piani concreti per raggiungere tali obiettivi. Se penso all’Italia, mi chiedo dove siano i piani che portino, da quest’anno, ad un aumento sostanziale della produzione elettrica da energie rinnovabili e ad una riduzione importante del consumo di combustibili fossili (gas incluso). Dove sono gli investimenti per l’elettrificazione del trasporto, la riduzione del trasporto su gomma in favore dell’uso del traporto ferroviario? O quelli per una reale ed immediata trasformazione dell’agricoltura? Di quanto prevediamo di ridurre le emissioni di gas serra nel 2021? E nel 2022? L’impressione è inoltre che si pensi di utilizzare pochissimi, troppo pochi fondi del Recovery Fund per raggiungere la decarbonizzazione»

L’appuntamento importantissimo è quello della COP26, la 26a conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici prevista a Glasgow, in Scozia, dall’1 al 12 novembre 2021 sotto la presidenza del Regno Unito. «Mi aspetto che alla COP26 vengano portati sempre più esempi concreti ed evidenze che la decarbonizzazione delle attività umane sia la strada da intraprendere, e che sempre più paesi siano pronti ad impegnarsi per accelerare il processo di trasformazione. A Parigi, alla COP21 del 2015, i paesi avevano riconosciuto che era essenziale mantenere il riscaldamento medio globale sotto un certo livello. Negli anni successivi, però non sono riusciti ad accordarsi su come raggiungere tale obiettivo, ed hanno litigato su chi dovesse muoversi per primo. Penso che non si possano più rinviare le decisioni e si debba definire come contenere il riscaldamento. I paesi devono individuare quali strumenti utilizzeranno per arrivare a zero-emissioni-nette entro il 2050: quali tasse imporre a chi continua ad emettere, che prezzo dare alle emissioni di gas-serra, e quali incentivi dare a chi decarbonizza a partire da subito».

Il Green Deal europeo però ha bisogno di essere attuato il prima possibile e con quante più risorse possibili. «Pone degli obiettivi minimi che vanno raggiunti se si vuole limitare l’impatto futuro del cambiamento climatico, ma l’Europa dovrebbe ambire di più, e dovrebbe mettere in atto gli strumenti che possano aiutare i paesi a decarbonizzare al più presto. Ad esempio, manca una legge europea sul clima che sancisca di quanto occorre ridurre le emissioni di gas serra ogni anno, a partire da ora, dal 2021. Se tale legge venisse approvata, si manderebbe un segnale molto chiaro a tutti, al mondo del business, che tutte le attività umane vanno riformate. Si dovrebbe imporre una tassa sulle emissioni di gas serra realistica, che rifletta l’impatto che queste emissioni hanno sull’ambiente. Tutte le politiche di investimento europee, incluso il Recovery Fund, dovrebbero avere come obiettivi principali sia far ripartire l’economia che ridurre le emissioni di gas serra e l’inquinamento. Invece, ad esempio, si parla di aumentare l’utilizzo del gas naturale. Errore. Occorre accelerare la trasformazione. Lo dicono gli scienziati, lo chiedono i giovani. Ce lo ha ricordato il senatore John Kerry: abbiamo perso troppo tempo, dobbiamo accelerare la trasformazione. Occorre muoversi più velocemente verso zero-emissioni-nette».

Il cambiamento climatico è un processo reversibile oppure siamo a un punto per cui si può solo cercare di limitare i danni?  «Sicuramente l’impatto sul clima dei gas serra che noi, con le attività umane, abbiamo immesso in atmosfera, rimarrà per decine di anni. Dobbiamo agire su due fronti: prima di tutto per diminuire le emissioni di gas serra, ed arrivare al più presto a zero emissioni nette, così che l’impatto nei decenni futuri non diventi impossibile da gestire. In secondo luogo, visto che l’impatto è già evidente e continuerà, dobbiamo adattarci, mettere in atto misure per limitare i danni. Si parla di azioni di mitigazione, le prime, e di adattamento, le seconde. Priorità va data alla mitigazione. Adattamento senza mitigazione porterebbe ad uno spreco di risorse, e a situazioni sempre più gravi nel futuro».

«Tornando al problema della reversibilità, ci sono indicazioni che certe componenti del sistema Terra possano non ritornare a come erano prima di questo aumento sostanziale di gas serra che avviene dall’era industriale. Per esempio, pensiamo alla foresta dell’Amazzonia. Se continuiamo a disboscare, si potrebbe arrivare ad un punto in cui sarebbe impossibile per la foresta ritornare a come era, anche se smettessimo di disboscare. Oppure pensiamo ai ghiacci dell’Artico, o ai ghiacciai della Groenlandia. Si potrebbe arrivare ad uno scioglimento così consistente, che gli inverni, anche se molto freddi e nevosi, non potrebbero più portare ad una ricostruzione dei ghiacci sciolti. Parliamo di “punti di non ritorno”: ne ho nominati due. Altri sono legati alla circolazione delle correnti dell’oceano. Stiamo studiando queste componenti per cercare di capire quanto distanti siano questi punti di non ritorno. Sappiamo che esistono: simulazioni con modelli accoppiati oceano-atmosfera-terra-criosfera ci dicono che possono accadere. L’obiettivo di questi studi è di stimare la probabilità che possano accadere nei prossimi decenni», conclude il professor Buizza.   

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