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Ferruccio Resta (rettore Politecnico): «PNRR e università: investire sulla formazione e sulla ricerca»

Rettore del Politecnico ma anche, dal 2020, presidente del Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane, Ferruccio Resta è in prima linea, nel suo doppio ruolo, sul fronte del Pnrr. E ne parla in una intervista al quotidiano Il Giorno.

Rettore, ritiene che i fondi del Pnrr per la formazione siano adeguati o potevano essere di più?

«Nel Piano, alla misura 4, sono previsti quasi 25 miliardi per scuola, formazione e ricerca. Uno stanziamento importante».

Cosa c’è per le università?

«Le aree di intervento fondamentalmente sono due. La prima è più legata alla formazione, e investe scuola e università. La seconda più alla ricerca e coinvolge università e impresa. Entrambe queste misure vedono al centro gli atenei».

Come verranno assegnati i fondi?

«Attraverso bandi a cui potranno concorrere sia università che centri privati. Penso che dal punto di vista economico ci sia un buon equilibrio tra formazione e ricerca».

Per gli atenei una vera sfida.

«Lo studente è il fulcro di questo piano. Ci sono risorse per supportare le tasse di iscrizione, fonda I mentali in questo periodo di crisi economica e sanitaria. Sia il diritto allo studio che l’incremento di residenze universitarie vengono cofinanziati con modelli in cui sono coinvolti settore pubblico e privato».

I docenti?

«Il piano si occupa della loro formazione con capitoli riservati ad aggiornamenti didattici, oltre a finanziamenti per centri e hub dedicati alla preparazione digitale con strumenti e tecnologie innovative».

Arriviamo alla ricerca vera e propria.

«Quella di base passa dai Prin, programmi di ricerca nazionale. E poi esistono i grant per il singolo ricercatore. Con i Prin più sedi universitarie si mettono insieme per sviluppare programmi».

Invece i grant?

«II singolo si candida per svolgere una ricerca in una università italiana». Meccanismo che attiva una competizione tra atenei. «Ma anche una maggiore mobilità».

Il Pnrr cambierà in meglio le nostre università?

«Se lo sfruttiamo bene, alla fine del 2026 avremo un sistema universitario che ha capito, sviluppato, e finanziato i propri punti di forza».

C’è il rischio che aumentino gli squilibri fra atenei?

«Perderemmo un’occasione se facessimo tutti le stesse cose. Se invece ogni ateneo capirà la propria vocazione, figlia del proprio contesto, della propria storia, del proprio territorio, allora avremo fatto delle nostre università un sistema differenziato ma unitario».

Che consigli darebbe alla politica?

«II piano è tracciato, la capacità di esecuzione diventa dirimente. Dobbiamo essere veloci. Perdere tempo nella messa a terra sarebbe uno spreco».

E alle università?

«Prepararsi, identificare i progetti strategici, pensare ai loro punti di forza e concentrare l’attenzione su quelli. L’errore è cercare la distribuzione a pioggia, sia da parte politica che universitaria».

Il Politecnico che farà?

«Siamo un centro di tecnologia e dobbiamo puntare sui bandi per innovazione e rapporti con le imprese».

Il sistema è pronto a tuffarsi nel Pnrr?

«Tutti gli atenei stanno facendo le loro valutazioni. La volontà di arrivare all’appuntamento preparati c’è».

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