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[L’intervento integrale] Paolo Angelini (Vice Direttore Generale Banca d’Italia): «La Commissione europea di modifica delle regole prudenziali per le banche. E può essere opportunità. Ecco perché»

Riportiamo il testo dell’intervento del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia Paolo Angelini al Comitato Esecutivo dell’Associazione bancaria italiana, dal titolo “La recente proposta della Commissione europea di modifica delle regole prudenziali per le banche: un quadro d’insieme e una prima valutazione”.

Premessa

L’attuazione in Europa delle regole finali di Basilea 3 completa un percorso avviato oltre dieci anni fa. Una parte significativa delle riforme, emanate dal Comitato di Basilea nel 2010 insieme a ulteriori standard approvati fino al 2017, è già stata recepita in Europa: con il Regolamento e la Direttiva sui requisiti di capitale (Capital Requirements Regulation, CRR, e Capital Requirements Directive, CRD4) e i loro successivi aggiornamenti (CRR2 – CRD5) è stata rivista la disciplina del capitale di vigilanza, aumentandone qualità e quantità; sono stati introdotti requisiti sui rischi di liquidità, sulla leva finanziaria; sono stati rafforzati i requisiti relativi all’operatività in derivati, includendo una nuova tipologia di rischio 1; sono stati previsti presidi ulteriori sul rischio di liquidità e nuove regole sui rischi di controparte, di tasso di interesse nel portafoglio bancario, di concentrazione e di mercato.

Anche grazie a queste riforme le banche hanno affrontato la crisi da COVID-19 partendo da condizioni patrimoniali e di liquidità significativamente migliori di quelle prevalenti alla vigilia della crisi finanziaria globale del 2007-08 e della crisi europea dei debiti sovrani del 2011-12. Il sostegno all’economia fornito dal sistema bancario nell’ultimo biennio dimostra che l’obiettivo di rafforzarne la resilienza è stato in larga parte conseguito.

La proposta della Commissione, pubblicata lo scorso 27 ottobre, recepisce nel CRR (CRR3) e nella direttiva CRD (CRD6) gli standard approvati dal Comitato di Basilea a fine 2017, con specifico riferimento al trattamento dei principali rischi (credito, mercato e operativo) e al cosiddetto “output floor”; contiene inoltre riferimenti sul tema dei rischi climatici e su come banche e supervisori ne dovranno tenere conto.

La proposta persegue tre obiettivi principali: rafforzare ulteriormente la resilienza del sistema bancario europeo, nel rispetto del principio di proporzionalità e tenendo conto delle specificità già contenute nelle regole vigenti; contribuire alla “transizione verde”; rendere più incisivi i poteri di vigilanza, anche alla luce dei recenti scandali finanziari registrati in alcuni Paesi.

Il recepimento della direttiva dovrà essere effettuato entro 18 mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale UE, mentre le nuove previsioni del CRR dovrebbero entrare in vigore dal primo gennaio 2025, quindi due anni oltre il termine concordato a livello di Basilea, che pure era stato differito di un anno in risposta alla crisi pandemica. Se si considerano anche vari periodi transitori e norme temporanee, le nuove regole saranno pienamente operative ben oltre il 2030. Si tratta di un orizzonte molto lungo, che mira a fornire agli intermediari tutto il tempo necessario per adeguare sistemi di misurazione dei rischi e prassi operative, e per far fronte a eventuali carenze di capitale.

La Banca d’Italia sostiene un recepimento completo e coerente degli standard concordati a livello globale, che tenga conto – come in passato – delle specificità europee. Nel complesso, la nostra valutazione della proposta è positiva. Rimangono alcuni dubbi circa la tempistica, che appare per alcuni aspetti eccessivamente lunga, e andrà valutata anche alla luce dell’evoluzione della pandemia. Nel mio intervento ripercorrerò i punti principali della proposta.

Rischio di credito e strumenti di capitale

Su questi aspetti la proposta è nel complesso fedele agli standard elaborati dal Comitato di Basilea, benché con specifiche deviazioni.

È stato mantenuto il cosiddetto SME supporting factor, introdotto con il CRR e ampliato recentemente con il CRR2, che riduce l’assorbimento patrimoniale a fronte dei prestiti erogati alle piccole e medie imprese (PMI). Viene inoltre introdotto un più rigoroso trattamento per gli impegni liberamente cancellabili (unconditionally cancellable committments, UCC). Un esempio è quello delle aperture di credito in conto corrente a revoca, che nel nuovo regime comporteranno un assorbimento patrimoniale, al contrario di quanto accade oggi 2. Questa novità potrà avere un impatto significativo in Italia, dove si fa largo uso di queste forme tecniche per i finanziamenti alle famiglie e alle PMI. È tuttavia previsto un lungo regime transitorio che consentirà di dilazionarne gli impatti patrimoniali 3.

Agli investimenti delle banche in strumenti di capitale si applicherà un fattore di ponderazione del 250 per cento (400 per le esposizioni con finalità speculative). Anche in questo caso l’aumento rispetto ai valori attuali avverrà in modo molto graduale 4. Sono inoltre previsti trattamenti di favore per alcuni settori specifici, che attenuano l’impatto della nuova disciplina 5.

Nel complesso la proposta appare un buon compromesso tra le diverse esigenze (mantenere l’aderenza allo standard di Basilea, riconoscere specificità europee, graduare l’introduzione delle nuove misure). Il negoziato è tuttavia agli inizi; i mesi a venire forniranno l’occasione per valutare eventuali controproposte, comprese quelle provenienti dall’industria.

Output floor

L’output floor, tra gli elementi più innovativi della proposta, mira a contrastare la possibile sottostima del rischio derivante dall’utilizzo dei modelli interni delle banche. Evidenze internazionali hanno infatti mostrato come una parte non trascurabile della variabilità osservata negli attivi ponderati a rischio delle banche che usano i modelli non dipenda dalla effettiva rischiosità. L’applicazione di un limite come l’output floor dovrebbe anche favorire una maggiore comparabilità degli attivi ponderati per il rischio.

La proposta della Commissione prevede l’applicazione dell’output floor solo a livello consolidato, facendo riferimento alle attività ponderate per il rischio utilizzate per il calcolo di tutti i requisiti di capitale (approccio cosiddetto single stack); introduce tuttavia un meccanismo aggiuntivo volto ad assicurare che i maggiori requisiti di capitale eventualmente rivenienti dall’applicazione del floor siano distribuiti tra le controllate del gruppo in misura proporzionale al contributo di ciascuna al profilo di rischio consolidato.

La proposta appare equilibrata sia perché rimane aderente alla logica di Basilea, interamente basata sul concetto di consolidato prudenziale, sia perché tutela le ragioni dei paesi “ospiti” nell’ambito dell’Unione europea. È inoltre previsto un trattamento transitorio che consente di ridurre l’impatto dell’output floor per alcune esposizioni, come quelle verso imprese prive di rating e i mutui 6. Alcuni aspetti della proposta andranno chiariti e, ove possibile, semplificati 7.

Rischio operativo

Le nuove regole di Basilea sostituiscono l’approccio al rischio operativo basato su modelli interni (il cosiddetto AMA, Advanced Measurement Approach) con un unico approccio standardizzato, che sarà quindi applicato da tutte le banche. La nuova norma muove dalla constatazione che le stime di rischio operativo prodotte con i modelli non si sono rivelate, alla prova dei fatti, sufficientemente robuste. In base allo standard di Basilea, il requisito patrimoniale è funzione della dimensione operativa delle singole banche e, per le sole banche di media e grande dimensione 8, della storia pregressa delle perdite da rischio operativo. Il Comitato di Basilea riconosce alle singole giurisdizioni la possibilità di non considerare questa seconda componente. La proposta della Commissione si avvale di questa possibilità.

L’eliminazione delle perdite pregresse semplifica l’applicazione della metodologia ma ne riduce la sensibilità al rischio e potrebbe indebolire l’incentivo per le banche ad adottare comportamenti virtuosi 9, oltretutto in una fase in cui gli sviluppi della tecnologia e il ricorso alle esternalizzazioni stanno determinando una crescita dei rischi operativi. Occorre comunque riconoscere che la complessiva esposizione ai rischi operativi dipende molto dagli assetti di governo societario, dall’organizzazione dei processi e dalla cultura aziendale degli intermediari, che difficilmente si prestano ad essere orientati mediante requisiti quantitativi. Come già sottolineato di recente dalla Banca d’Italia 10, l’azione di vigilanza sarà pertanto orientata ad assicurare che le banche pongano la massima attenzione ai rischi operativi.

Rischi di Mercato e di Credit Valuation Adjustment

La proposta della Commissione dà completa attuazione al recepimento della Fundamental Review of the Trading Book (FRTB), finora introdotta in Europa (con la CRR2) solo per finalità di reportistica. Data la portata innovativa e la complessità del nuovo quadro, ci vorrà del tempo per apprezzarne appieno gli effetti. Appare comunque condivisibile la volontà del regolatore di limitare l’utilizzo dei modelli interni e di aumentarne la sensibilità al rischio. La Commissione ha previsto opportune clausole di salvaguardia che permetterebbero di rivedere le regole qualora non si raggiungesse piena convergenza a livello internazionale sul loro recepimento.

Riguardo al rischio di Credit valuation adjustment (CVA) la proposta della Commissione conferma l’attuale disciplina europea che, deviando dallo standard di Basilea, esenta dal calcolo del requisito patrimoniale le esposizioni in derivati infragruppo e quelle aventi come controparti emittenti sovrani, soggetti non finanziari e fondi pensione. A fini di monitoraggio prevede tuttavia che le banche, pur non dovendolo rispettare, segnalino il requisito patrimoniale che sarebbe associato alle esposizioni esentate.

Altri interventi

La proposta della Commissione include anche alcune novità non direttamente collegate all’attuazione degli standard di Basilea 3, volte a rafforzare i poteri di supervisione delle autorità di vigilanza. Gli interventi riguardano in particolare l’ampliamento del perimetro di consolidamento prudenziale che – come emerso dalla vicenda Wirecard – si è rivelato non del tutto adeguato a cogliere i rischi tipici di gruppi in cui la presenza di soggetti attivi nel settore della tecnologia, al vertice o a valle del gruppo bancario, si affianca all’attività finanziaria tradizionale 11.

Viene inoltre previsto un vaglio preventivo dell’autorità competente su alcune operazioni bancarie straordinarie (acquisto o dismissione di partecipazioni rilevanti, cessione o acquisto di attività e passività di importo significativo, fusioni e scissioni), con l’obiettivo di evitare riflessi indesiderati sulla sana e prudente gestione e sull’esposizione al rischio di riciclaggio degli intermediari coinvolti 12.

Infine, viene creato un quadro di regole armonizzato per le succursali di banche di paesi terzi, oggi soggette soltanto alla disciplina nazionale, con rischi di arbitraggi regolamentari e per la stabilità finanziaria. La rilevanza assunta dal fenomeno rende opportuno un intervento 13. Il nuovo quadro è declinato secondo proporzionalità sulla base di un criterio dimensionale.

Nel complesso, gli interventi proposti dalla Commissione vanno nella giusta direzione; alcuni di questi – tra cui il regime prudenziale ad hoc per le succursali di banche di paesi terzi – sono già parte del quadro normativo italiano, seppur con alcune differenze. Alcune semplificazioni della proposta potrebbero comunque migliorare il bilanciamento tra benefici e oneri aggiuntivi delle procedure. Ad esempio, la Banca d’Italia già nel 2007, sulla base dell’esperienza maturata, aveva ritenuto sufficiente circoscrivere il vaglio sulle operazioni rilevanti di trasferimento di attività e passività alla sola società cessionaria e prevedere una semplice informazione ex post per quelle infragruppo.

Nel pacchetto di riforma la Commissione ha inserito anche una proposta di regolamento che interviene su alcuni limitati aspetti in materia di requisito minimo per l’assorbimento delle perdite e la ricapitalizzazione delle banche in risoluzione 14. L’impatto sui gruppi bancari italiani dovrebbe essere marginale.

Si conferma infine l’attenzione della Commissione al tema della proporzionalità regolamentare. Per ridurre gli oneri amministrativi derivanti dalla pubblicazione di informazioni al pubblico, la proposta attribuisce all’EBA il compito di pubblicare le informazioni di Terzo Pilastro sugli enti piccoli e non complessi, in base ai dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza. In altre parole, gli enti piccoli e non complessi sono tenuti solo a trasmettere le informazioni alle rispettive autorità di vigilanza nell’ambito della reportistica ordinaria – e non anche a pubblicarle, adempimento cui provvederebbe l’EBA banca per banca. Questa misura si aggiunge a quelle miranti ad aumentare la proporzionalità delle regole già introdotte dal legislatore europeo, su cui mi sono soffermato recentemente 15.

Gli impatti attesi delle nuove regole

Le più recenti stime d’impatto delle regole finali di Basilea 3 elaborate nelle sedi internazionali di vigilanza, con riferimento sia alla loro piena applicazione sia all’ipotesi di mantenimento di alcune specificità europee, sono calcolate su dati relativi alla fine del 2019 16. In base a nostri aggiornamenti disponibili per i gruppi bancari italiani di maggiori dimensioni su dati di giugno 2021, l’applicazione delle regole nella loro “versione europea” (considerando cioè il mantenimento dello SME supporting factor e delle esenzioni sul CVA, nonché l’esercizio della discrezionalità in materia di rischio operativo) comporterebbe un aumento medio ponderato dei requisiti minimi di capitale di circa l’11 per cento (circa il 17 ipotizzando una adozione dei nuovi standard senza deviazioni o esercizi di discrezionalità), con conseguente riduzione del CET1 ratio – a parità di altre condizioni – di 1,5 punti percentuali (Tav. 1). Il contributo all’aumento dei requisiti deriverebbe dalla revisione delle regole per il rischio di credito, sia con il metodo standardizzato sia con quello dei modelli interni (circa 30 e 60 punti base, rispettivamente, in termini di CET1 ratio), per il rischio di mercato e per il rischio operativo (30 e 40 punti base, rispettivamente); l’output floor avrebbe effetti marginali. Nessuno dei gruppi del campione presenterebbe carenze patrimoniali; per mantenere inalterati i ratio attuali essi dovrebbero detenere in aggregato, a parità di altre condizioni, 14 miliardi di capitale aggiuntivo.

Fattori ambientali, sociali e di governo (ESG)

L’Europa si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e un abbattimento del 55 per cento delle emissioni di gas serra (rispetto a quelle del 1990) entro il 2030; si stima che per raggiungere questo obiettivo occorrano, nel periodo 2021-2030, investimenti annui addizionali in energie pulite per circa 350 miliardi di euro. Ciò richiede un forte impegno da parte dei governi nazionali, ma anche degli operatori della finanza e delle autorità di regolamentazione e di vigilanza.

Sui fattori climatici e ambientali sono in corso lavori presso numerose sedi internazionali 17. La discussione è ancora aperta, ma due orientamenti sembrano già emergere con una certa chiarezza con riguardo all’impatto di tali fattori sul quadro prudenziale. In primo luogo, la regolamentazione deve rimanere ancorata a una logica basata sul rischio: il sistema finanziario deve essere parte attiva della transizione ecologica, ma non può sostituirsi alle politiche ambientali dei governi. In secondo luogo, poiché i rischi legati al clima 18 si manifestano in forme già note e regolamentate (rischio di credito, mercato, operativo, liquidità, reputazione, strategico), il sistema regolamentare basato sui Tre Pilastri degli standard di Basilea dovrebbe essere in grado di gestirli correttamente. Ulteriori analisi sono tuttavia in corso per meglio valutare alcune caratteristiche (irreversibilità, pervasività e materializzazione in orizzonti temporali lunghi) che, pur non essendo uniche ai rischi climatici, li rendono difficili da misurare e gestire. I lavori sono complicati da carenze nei dati e nelle metodologie.

Le proposte in materia ESG contenute nel pacchetto CRR3-CRD6 riguardano principalmente l’informazione che gli intermediari sono tenuti a fornire al mercato (informativa di Terzo Pilastro) e i presidi che essi devono adottare per assicurare un governo consapevole dei rischi (disciplina di Secondo Pilastro).

La disciplina attuale (CRR2-CRD5) già prevede obblighi di informativa al pubblico in tema ESG, ma solo per i grandi intermediari quotati (banche e imprese di investimento; tav. 2). In particolare, richiede loro di pubblicare, tra le varie informazioni, il cosiddetto Green Asset Ratio (GAR) 19, volto a mostrare al mercato come le banche stanno adeguando le proprie strategie di business agli obiettivi dell’accordo di Parigi. Tali obblighi decorrono già da gennaio 2023; le tempistiche si allungano fino al dicembre dello stesso anno per l’informativa sul GAR e al giugno del 2024 per includere tra le emissioni delle imprese debitrici anche quelle generate lungo l’intera catena del valore (cosiddette Scope 3 emissions).

La principale novità introdotta con la proposta della Commissione riguarda l’estensione degli obblighi di Terzo Pilastro in materia ESG a tutti gli intermediari (banche e imprese di investimento soggette alla disciplina prudenziale delle banche 20), incluse dunque le banche meno significative. Per gli enti piccoli e non complessi la proposta prevede che la pubblicazione delle informazioni ESG sia annuale anziché semestrale. Rimangono peraltro alcuni importanti punti aperti (ad esempio il contenuto delle informazioni da pubblicare, che andrà declinato secondo il principio di proporzionalità), sui quali l’EBA dovrà intervenire con specifici standard tecnici.

La direttiva sulla comunicazione societaria sulla sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive, CSRD) che aggiornerà l’attuale direttiva (NFRD), contribuirà a migliorare la disponibilità e la standardizzazione delle informazioni di sostenibilità. In particolare, sarà ampliato il novero delle imprese soggette e verranno definiti schemi di reportistica uniformi, necessari agli intermediari finanziari per le proprie valutazioni.

Con riferimento al Secondo Pilastro, si richiede alle banche di dotarsi di assetti di governo, strategie e processi adeguati per valutare le esigenze di capitale interno in un orizzonte anche di medio e lungo periodo per tenere conto dei rischi ESG. Viene altresì richiesto agli intermediari di predisporre piani di transizione, comprensivi di obiettivi quantitativi, su un orizzonte di almeno 10 anni, per monitorare i rischi di eventuali disallineamenti rispetto agli obiettivi climatici dell’Unione. All’EBA sono conferiti diversi mandati per emanare linee guida su alcuni snodi cruciali della proposta entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della stessa, come ad esempio l’inclusione dei rischi ESG nello SREP e il contenuto dei piani di transizione. Alle autorità di vigilanza è attribuito un potere ad hoc per chiedere alle banche di rivedere i piani o di ridurre i rischi di un eventuale disallineamento.

Con riguardo a possibili modifiche dei requisiti prudenziali (Primo Pilastro), l’EBA dovrà consegnare una relazione alla Commissione entro il 2023. Questa tempistica è stata allineata a quella dei lavori in corso presso il Comitato di Basilea, con l’obiettivo di assicurare coerenza tra i due tavoli.

Nel complesso la proposta si conferma coerente con la strategia della Commissione sulla finanza sostenibile e molto ambiziosa. Con riferimento al Terzo Pilastro, è condivisibile la scelta di rafforzare gli obblighi di informativa al mercato. La disponibilità di dati affidabili, sufficientemente granulari, completi e comparabili sulle esposizioni ai rischi ESG rappresenta un passaggio fondamentale per tutti gli attori coinvolti: le autorità, gli intermediari, la clientela. Con riferimento al Secondo Pilastro sono condivisibili gli interventi volti a rafforzare i sistemi di governo e di gestione dei rischi ESG delle banche.

Al contempo, va riconosciuto come il compito per operatori della finanza, imprese non finanziarie e autorità di vigilanza sia tutt’altro che agevole, considerate la carenza delle informazioni necessarie, soprattutto con riguardo alle PMI non quotate, l’incompletezza della cosiddetta Tassonomia e la non univoca interpretazione dei criteri tecnici da essa stabiliti 21.

L’integrazione dei fattori ESG nei processi aziendali e di supervisione è tra le priorità di vigilanza della Banca d’Italia, in linea con l’approccio adottato in ambito SSM. La BCE ha effettuato una prima ricognizione dello stato di avanzamento dei lavori sui temi ESG presso le banche significative; è emerso che l’adeguamento alla Linee guida pubblicate alla fine del 2020 è ancora largamente incompleto 22. Le valutazioni di questi progressi saranno gradualmente incorporate nello SREP. Nelle prossime settimane verranno avviate dalla Banca d’Italia iniziative simili sulle LSI e sugli altri intermediari italiani non bancari secondo un criterio di proporzionalità, per sensibilizzare il sistema sull’importanza di presidiare adeguatamente i rischi ambientali, valutare gli approcci seguiti per la misurazione e gestione dei rischi ESG e promuovere la raccolta di informazioni in tale ambito.

Contribuiremo attivamente ai lavori dell’EBA, per assicurare che gli obblighi di informativa al pubblico siano graduati in funzione della rilevanza e della complessità delle informazioni richieste e della capacità degli intermediari di produrle nei tempi previsti.

La Banca d’Italia tiene conto già da tempo dei fattori ESG anche nella gestione dei propri portafogli non di politica monetaria. Abbiamo di recente pubblicato la Carta degli investimenti sostenibili, che definisce la visione che la Banca ha della sostenibilità e contiene i principi, i criteri di riferimento e gli impegni per la gestione sostenibile dei propri investimenti finanziari. Il punto di vista che assumiamo non è lontano da quello degli intermediari. Nei prossimi mesi contiamo di pubblicare un Rapporto sugli investimenti sostenibili e i rischi climatici dell’Istituto, che darà conto dell’evoluzione della nostra azione concreta a favore di un modello di crescita economica sostenibile.

Conclusioni

La proposta di revisione delle regole del CRR e della CRD recentemente avanzata dalla Commissione ha formalmente avviato il processo di recepimento in Europa degli standard finali di Basilea 3. Sono in corso i negoziati tra gli Stati membri per definire un accordo di compromesso, che sarà poi oggetto di negoziato tra i co-legislatori. La Banca d’Italia fornirà, nelle sedi competenti, il suo supporto con l’obiettivo di definire regole coerenti con Basilea, a tutela della stabilità finanziaria della UE, come già rappresentato nella lettera firmata nei mesi scorsi dalla grande maggioranza dei Governatori e dei responsabili della supervisione dei paesi membri dell’Unione europea.

Da un sistema di regole rigorose le banche europee, e quelle italiane in particolare, non usciranno svantaggiate; le nuove regole correggono lo squilibrio tra i requisiti sul rischio di credito e quelli sui rischi di mercato, e riducono il rischio modello. Nel negoziato si dovrà evitare di riaprire il dibattito sul trattamento prudenziale dei singoli rischi, adoperandosi per individuare soluzioni condivisibili e compatibili con gli obiettivi della riforma. Il dialogo con l’industria e con l’ABI è essenziale.

Sul fronte della regolamentazione ambientale sono in fase di elaborazione molte novità. Il quadro normativo è lungi dal poter essere considerato compiuto. Alcuni elementi sono tuttavia già chiari, e consentono ai soggetti coinvolti – intermediari, imprese, autorità – di portare avanti alcune attività.

In primo luogo, una insufficiente attenzione degli intermediari alle tematiche ESG, e in particolare a quelle ambientali, può tradursi in maggiore rischi, in primis di credito.

Il quadro per il rischio fisico è già relativamente chiaro. Il settore assicurativo ha una lunga tradizione di gestione di questa tipologia di rischio; la gamma dei dati a disposizione è ampia; le banche in ritardo su questo fronte hanno gli strumenti per adeguarsi. Va inoltre considerato che in futuro potrà contare non solo il rischio di credito effettivo, ma anche quello percepito. Un intermediario potrebbe essere penalizzato dal mercato (maggiore costo di raccolta e capitale) anche solo in base alla percezione di un non adeguato controllo dei rischi climatici e ambientali. È quindi necessario rivedere in modo opportuno la governance e l’operatività aziendale, e migliorare la disponibilità di dati. Su questo fronte le linee guida emanate dal Comitato di Basilea, dall’EBA e dalla BCE forniscono già numerose indicazioni operative.

È inoltre già chiaro che il nuovo assetto richiederà agli intermediari di elaborare piani strategici di medio-lungo periodo, non tipici dell’attività bancaria (10-20 anni), caratterizzati da obiettivi di decarbonizzazione quantificabili ex ante – in base a misure oggettive e affidabili – e verificabili ex post. Ritengo che a questi fini gli intermediari non possano operare in autonomia: gli sforzi per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Unione europea saranno vani se le imprese non finanziarie non si attrezzeranno per produrre e rispettare piani di transizione con caratteristiche analoghe a quelle dei piani degli intermediari – lunga copertura temporale, misurabilità, verificabilità ex post. Tali piani rappresentano un input essenziale di quelli degli intermediari, per consentire loro di indirizzare in modo corretto le risorse che occorreranno per finanziare la transizione. Molte imprese italiane di grandi e medie dimensioni, soggette alla NFRD e alla CSRD, hanno già avviato processi di trasformazione industriale miranti ad anticipare l’impulso proveniente dal legislatore europeo e dal mercato, predisponendo questi piani di lungo periodo. Gli intermediari dovranno avviare un dialogo con le imprese affidate, beneficiando del lavoro di quelle che si trovano in posizione avanzata e stimolando le altre.

La Commissione europea ha implicitamente fatto propria questa esigenza di cooperazione tra intermediari e imprese con l’Atto delegato emanato lo scorso giugno, laddove riconosce come allineate alla tassonomia non più solo le attività già eco-sostenibili, ma anche quelle miranti a cambiare il modello produttivo nella giusta direzione. Questa fondamentale modifica di approccio apre la porta al finanziamento della transizione.

Come in ogni occasione di grande cambiamento, si stanno aprendo sfide ma anche opportunità, che gli intermediari e le imprese più attente potranno cogliere.


1 In particolare sono stati previsti requisiti di capitale a fronte del rischio di Credit Valuation Adjustment (CVA), perdite su operazioni in derivati causate dal peggioramento del merito creditizio della controparte.

2  Nel nuovo regime gli UCC vengono assoggettati a un fattore di conversione creditizia (credit conversion factor, CCF) minimo del 10 per cento. La proposta della Commissione esercita la discrezionalità prevista dal testo di Basilea che consente di escludere dall’ambito di applicazione dei CCF alcune forme tecniche che rispettano precise condizioni (ad esempio, non devono essere previste commissioni per la linea di credito qualora ogni tiraggio debba essere preventivamente autorizzato dalla banca).

3 La proposta prevede l’applicazione di un CCF pari allo zero per cento sino al 31 dicembre 2029 e un successivo graduale aumento fino alla piena applicazione del nuovo standard dal primo gennaio del 2033.

4 I coefficienti di ponderazione per gli strumenti di capitale sono attualmente pari rispettivamente al 100 per cento per le esposizioni trattate con la metodologia standardizzata (150 per cento per le esposizioni in private equity e venture capital) e a un minimo del 190 per cento per le esposizioni trattate con il metodo “IRB – simple risk weight”. La proposta prevede il mantenimento dei valori attuali fino al 2025 e un aumento lineare ogni anno fino a raggiungere i valori a regime nel 2029.

5 Per le partecipazioni al capitale delle banche centrali verrebbe mantenuto un coefficiente del 100 per cento. Per quelle in imprese di assicurazione appartenenti al medesimo conglomerato finanziario verrebbe confermato il cosiddetto “compromesso danese” (la possibilità di applicare un fattore di ponderazione del 250 per cento). Viene inoltre proposta una riduzione della ponderazione per le esposizioni in strumenti di capitale di società non quotate e venture capital che la banca intenda mantenere in portafoglio per almeno 3 anni. È infine previsto di rendere permanente il regime attuale per le esposizioni in strumenti di capitale detenute dalla banca da almeno 6 anni alla data di entrata in vigore del CRR3 verso controparti su cui la banca esercita un’influenza notevole.

6 In particolare, fino al 2032 le banche che adottano i modelli interni possono ridurre il requisito calcolato con la metodologia standardizzata, base di calcolo dell’output floor, applicando alle esposizioni nei confronti delle imprese prive di rating un fattore di ponderazione del 65 per cento (in luogo del 100) se la probabilità di default assegnata dalla banca al debitore ai fini del calcolo del requisito con i modelli interni è inferiore allo 0,5 per cento; possono inoltre utilizzare un trattamento preferenziale per i soli mutui residenziali qualora negli ultimi 6 anni tali classi di esposizioni non abbiano subito perdite superiori, in media, allo 0,25 per cento.

7 Tra questi, un aspetto rilevante riguarda l’interazione tra l’output floor e i requisiti di capitale. La proposta della Commissione prevede che, per evitare di imporre due volte requisiti di capitale a fronte del rischio modello, le banche vincolate dall’output floor debbano impiegare una metodologia che prevede il calcolo di due diverse definizioni di attivi ponderati per il rischio (uno ante floor e uno post floor). Poiché l’output floor è stato esplicitamente concepito per far fronte al rischio modello, il doppio conteggio potrebbe essere eliminato dall’autorità di vigilanza in fase di fissazione dei requisiti di capitale.

8 Lo standard di Basilea classifica le banche in tre grandi categorie in funzione della loro dimensione operativa (misurata dal parametro di Business Indicator Component, BIC); per le banche che hanno un BIC inferiore ad un miliardo, le perdite pregresse da rischio operativo (misurate dal parametro Internal Loss Multiplier, ILM) non sono considerate nel calcolo del requisito.

9 Anche per questo motivo l’EBA, in ‘Basel III reforms: impact study and key recommendations’, documento redatto in risposta a una richiesta della Commissione Europea, aveva raccomandato di non esercitare questa discrezionalità. Nella stessa direzione l’EBA proponeva altresì di avvalersi della possibilità consentita dallo standard di Basilea di innalzare (da 20 a 100 mila euro) la soglia minima di perdite storiche da includere nel calcolo del requisito e di prevedere un periodo transitorio, per effetto del quale le perdite storiche più lontane nel tempo sarebbero progressivamente uscite dalla base di calcolo.

10 Cfr. L.F. Signorini, “Le banche e gli anni di Basilea III”, intervento alla 53a Giornata del Credito organizzata dalla Associazione Nazionale per lo Studio dei Problemi del Credito, Roma 4 novembre 2021.

11 Le modifiche proposte consentirebbero di applicare le regole del consolidamento prudenziale non solo quando al vertice del gruppo vi sia una banca o una società di partecipazione finanziaria, come nel regime attuale, ma anche una società che svolge attività strumentali, incluse quelle di natura tecnologica; l’ampliamento della nozione di società strumentale consentirebbe inoltre di includere nel consolidamento società che, pur non avendo natura finanziaria, svolgono attività di contenuto sostanzialmente finanziario.

12 Ad esempio, verrebbe introdotto l’obbligo di notifica preventiva all’autorità di vigilanza in caso di acquisto o cessione di (i) partecipazioni qualificate sia in soggetti finanziari sia non finanziari (nel regime attuale, a livello nazionale l’acquisto di partecipazioni in soggetti non finanziari è libero, purché effettuato entro il limite generale per la detenzione di partecipazioni e immobili, pena l’applicazione di un fattore di ponderazione del 1250 per cento sull’eccedenza); (ii) attività e passività di importo rilevante anche interne al gruppo (attualmente a livello nazionale le operazioni infragruppo sono soggette soltanto a comunicazione ex post). Il nuovo regime si applicherebbe, come quello vigente, sia alle banche meno significative sia a quelle significative (per queste ultime è la BCE a esercitare i relativi poteri).

13 Al 31 dicembre 2020 nella UE risultavano operative 106 succursali, provenienti principalmente da Cina (18), UK (15), Iran (10), USA (9) e Libano (9) distribuite in 17 Stati membri, per un totale attivo aggregato di oltre 510 miliardi di euro, di cui oltre l’86 per cento concentrato in 4 stati (Belgio, Francia, Germania e Lussemburgo). Cfr. EBA, Report on the treatment of incoming third country branches under the national law of Member States, 23 giugno 2021.

14 Lo scopo principale delle modifiche proposte è consentire che le filiazioni di un gruppo soggetto alla strategia Single Point of Entry possano rispettare il proprio requisito di MREL interna mediante strumenti sottoscritti non solo direttamente dalla capogruppo, ma anche da società intermedie che si interpongono nella catena di controllo (cosiddette daisy chains). La proposta mira ad agevolare il rispetto dei requisiti da parte delle banche e ad aumentare il livello di coesione interna dei gruppi; contiene inoltre alcuni correttivi sul funzionamento della strategia di risoluzione Multiple Point of Entry per assicurarne il pieno allineamento con le norme sul TLAC adottate dal Financial Stability Board. Si tratta, nel complesso, di circoscritti interventi di carattere tecnico, necessari per rendere pienamente operative regole e procedure già vigenti. In considerazione del suo contenuto, la proposta di regolamento sarà oggetto di un iter di approvazione accelerato.

15 Cfr. P. Angelini, ‘Proporzionalità nella regolamentazione’, intervento presso l’Istituto Luigi Sturzo a Roma in occasione della presentazione del libro “Per una vera proporzionalità nella regolazione bancaria dell’Unione Europea. Le sfide del Coronavirus e di Basilea IV” del Prof. Rainer Masera, 30 settembre 2021.

16 Cfr. il documento dell’EBA “Basel 3 reforms: impact study”. Il rapporto dell’EBA di monitoraggio riferito alla fine del 2020 contiene le stime d’impatto solo rispetto ad uno scenario di piena attuazione delle regole di Basilea 3.

17  Il Comitato di Basilea ha recentemente messo in consultazione linee guida sulla gestione dei rischi climatici da parte delle banche e sulle prassi di vigilanza più efficaci (“Principles for the effective management and supervision of climate-related financial risks”).

18 Il rischio fisico riguarda perdite causate da fenomeni cronici, come la progressiva deviazione delle temperature e delle precipitazioni dalle proprie tendenze storiche, o acuti, con il verificarsi con maggiore frequenza e intensità di eventi naturali estremi, che possono danneggiare il capitale fisso e le infrastrutture; il rischio di transizione è associato a variazioni repentine o inattese delle politiche climatiche e delle tendenze di mercato che possono cogliere impreparate le imprese.

19 Il Green Asset Ratio (GAR) misura la quota di attività del portafoglio bancario (inclusi i prestiti e le anticipazioni, i titoli di debito e gli strumenti di capitale) che sono allineate alla tassonomia dell’UE in termini di sostenibilità ambientale.

20 Come già detto, sono soggette alla disciplina prudenziale delle banche (CRR-CRD) le imprese di investimento di grandi dimensioni. L’EBA ha tuttavia annunciato che le principali novità in tema ESG saranno estese anche alle imprese di investimento di minori dimensioni (i.e. di classe 2 e 3), che sono disciplinate dal Regolamento e Direttiva sulle Imprese di Investimento (Investment Firm Regulation (IFR) e Investment Firm Directive (IFD)).

21 La Tassonomia disciplinerà i criteri che un’attività economica deve rispettare per poter essere considerata ecosostenibile rispetto ai sei obiettivi ambientali dell’Unione (mitigazione dei cambiamenti climatici; adattamento ai cambiamenti climatici; uso sostenibile e protezione dell’acqua e delle risorse marine; transizione verso un’economia circolare; prevenzione e controllo dell’inquinamento; protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi). Al momento è stato pubblicato un solo atto delegato che disciplina i criteri di vaglio tecnico che consentono di determinare se un’attività economica contribuisce in modo sostanziale ai primi due obiettivi senza arrecare un danno significativo a uno degli altri. Anche limitandosi a questi criteri, rimangono incertezze circa la loro applicazione, dovute al fatto che saranno soggetti a revisione periodica per tenere conto dei progressi tecnologici e dell’evoluzione delle scelte del legislatore comunitario in materia ambientale, come dimostra l’ancora irrisolta questione circa l’inclusione o meno del gas e del nucleare nel novero delle tecnologie considerate ecosostenibili. Vi sono inoltre questioni che ancora ostacolano l’attuazione pratica della tassonomia. Le analisi delle attività regolamentate richiedono informazioni più granulari di quelle settoriali tipicamente disponibili per le valutazioni degli intermediari, e devono soddisfare alcuni criteri, come quello del “contributo sostanziale” alla mitigazione del cambiamento climatico, che non sono sempre inequivocabili da declinare. In particolare, i criteri di vaglio tecnico pubblicati sinora non contengono indicazioni su come valutare la sostanzialità di un contributo.

22  Banca centrale europea, Guide on climate-related and environmental risks, novembre 2020.

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