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Michele Ainis (La Repubblica): «Lo stato di emergenza ha rovesciato la gerarchia tra le fonti del diritto»

«Lo stato d’emergenza è un’alterazione del sistema delle fonti. Detta così, parrebbe una formula chimica; invece esprime la sostanza giuridica dei tempi che stiamo attraversando. E quella politica, anche. E i nuovi equilibri fra Camera, governo, Quirinale. E il rapporto fra Stato e Regioni. E il mutevole confine tra potere e libertà, tra sfera pubblica e privata».

Lo scrive Michele Ainis su Repubblica a proposito del “fragile confine tra potere e libertà”: «ma in primo luogo – osserva – balla la gerarchia tra le fonti del diritto, cioè tra le sorgenti da cui promanano le regole del nostro vivere civile. Queste regole non sono tutte uguali: una legge pesa più di un decreto, e un decreto più di un’ordinanza. Sennonché durante lo stato d’emergenza questa piramide viene rovesciata: l’ordinanza prevale sul decreto, il decreto spazza via la legge. Se l’ordinanza di protezione civile prende il sopravvento sulla legge, significa che il Parlamento non è più il fulcro del sistema, bensì semplicemente un comprimario, se non proprio una comparsa. È il potere esecutivo, viceversa, a incarnare tutta l’autorità dello Stato. E al suo interno il presidente del Consiglio, attraverso i Dpcm, che sfuggono al controllo dello stesso capo dello Stato. Come l’ultimo Dpcm della serie, apparso in Gazzetta ufficiale proprio ieri in seguito alla proroga dello stato d’emergenza, deliberata dal Consiglio dei ministri per la seconda volta in pochi mesi. Lo stato d’emergenza muta pertanto i connotati della nostra forma di governo. Li curva in senso presidenzialista, se così possiamo dire. Ma anche in senso statalista, comprimendo i poteri delle Regioni (che infatti storcono la bocca). E giocoforza in senso autoritario, perché restringe le libertà dei cittadini. Rivendicando due principi, almeno due. Primo: ogni emergenza è per definizione provvisoria. Non a caso il Codice ne stabilisce la durata massima: 12 mesi, prorogabili per non più di altri 12 mesi. Rispetto al Covid, lo scorso 31 gennaio il governo Conte ne aveva fissato la scadenza al 31 luglio, poi al 15 ottobre, ora al 31 gennaio 2021. Ma è lecita questa gestione frazionata della crisi? Pasticci forieri di bisticci. Secondo: il ruolo delle Camere. Finalmente più attive, attraverso il voto su una risoluzione che orienta la condotta del governo. Bene, ma non basta. In ogni caso la democrazia non tollera cavalieri solitari, neanche in tempo di crisi».

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