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Marta Cartabia (ministra della Giustizia): «Tre direttrici per cambiare la Giustizia. Bisogna superare l’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato»

La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, è intervenuta durante la sua relazione in commissione Giustizia alla Camera.

«Occorre evitare di incorrere nell’equivoco per il quale l’obiettivo di una giustizia più effettiva ed efficiente, oltre che più giusta, possa essere raggiunto solo attraverso interventi riformatori sul rito del processo o dei processi. A mio parere occorre muoversi contestualmente seguendo tre direttrici tra loro inscindibili: sul piano organizzativo, nella dimensione extraprocessuale e in quella endoprocessuale, che sono complementari fra loro».

«A tale fine, – spiega Cartabia – appare prioritaria l’azione riorganizzativa della macchina giudiziaria e amministrativa – che rientra nei compiti che la Costituzione, all’art. 110, affida esplicitamente al Ministro della giustizia – e che i progetti presentati nell’ambito del Recovery Plan consentono di declinare sotto diversi aspetti».

Tre i punti su cui si muoverà lo Stato per riformare la Giustizia: il primo, riguarda la valorizzazione del personale e delle risorse umane; il secondo, mira al potenziamento delle infrastrutture digitali con la revisione e diffusione dei sistemi telematici di gestione delle attività processuali e di trasmissione di atti e provvedimenti; il terzo, destina un significativo ammontare di risorse all’edilizia giudiziaria e all’architettura penitenziaria.

Servirà orientarsi «verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato. La “certezza della pena” non è la “certezza del carcere”, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali. Un impegno che intendo assumere è di intraprendere ogni azione utile per restituire effettività alle pene pecuniarie, che in larga parte oggi, quando vengono inflitte, non sono eseguite. In prospettiva di riforma sarà opportuno dedicare una riflessione anche alle misure sospensive e di probation, nonché alle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che pure scontano ampi margini di ineffettività, con l’eccezione del lavoro di pubblica utilità».

«Non posso non osservare che il tempo è ormai maturo per sviluppare e mettere a sistema le esperienze di giustizia riparativa, già presenti nell’ordinamento in forma sperimentale che stanno mostrando esiti fecondi per la capacità di farsi carico delle conseguenze negative prodotte dal fatto di reato, nell’intento di promuovere la rigenerazione dei legami a partire dalle lacerazioni sociali e relazionali che l’illecito ha originato. In considerazione dell’importanza delle esperienze già maturate nel nostro ordinamento, occorrere intraprendere una attività di riforma volta a rendere i programmi di giustizia riparativa accessibili in ogni stato e grado del procedimento penale, sin dalla fase di cognizione», conclude la ministra della Giustizia.

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