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Lo stallo del Quirinale, il Parlamento balcanizzato e il rischio del non Governo. Il dilemma di Mario Draghi

Il giorno dopo il secco e implicito no di Sergio Mattarella al bis al Quirinale si apre ad una fase di stallo pericolosa per il Paese.

Ne sono convinti tutti i giornalisti dei principali quotidiani italiani che analizzano da vicino le vicende del Governo del Paese.

“Draghi si trova intrappolato in un ruolo, dentro uno schema dove ci sono troppe variabili incontrollate. Riadattato al caso in questione, lo stallo in cui si trova il capo del governo fa pensare al “dilemma del prigioniero”, esempio di teoria dei giochi applicata tra gli altri ambiti anche alla psicologia” scrive Ilario Lombardo su La Stampa.

“Se resta candidato al Quirinale rischia di essere bruciato dai parlamentari che temono il voto anticipato. Se invece si sfila dalla corsa al Colle per portare a naturale scadenza, da premier, la legislatura, sa che potrebbe avere un governo a sovranità limitata, infilzato dai partiti che non vanno tanto per il sottile quando c’è da contendersi il consenso degli elettori”.

“L’irritazione di Draghi – spiega Lombardo – è direttamente proporzionale al numero di leader che vanno a ingrossare le fila di chi gli chiede di rimanere dov’è: il Pd, il presidente di Fi Silvio Berlusconi, Conte e anche Matteo Renzi che per il premier pronostica ruoli alla guida dell’Europa. Non ci sono molte soluzioni: o Draghi resta al governo e fa un patto di legislatura, con o senza la Lega, o trova una successione credibile a Palazzo Chigi e lui fa da garante, con un regista solido in Parlamento, mentre si offre alle votazioni delle Camere riunite in seduta comune. La terza strada, è la minaccia di andarsene comunque”.

“L’esclusione di una delle opzioni principali a disposizione ha aumentato la confusione nei partiti e l’allarme nel governo” scrive Stefano Cappellini su Repubblica.

“Non che ci fosse un pre-accordo o che Mattarella avesse mai avallato l’ipotesi di una sua rielezione, ma il fatto che non l’avesse neanche esclusa garantiva al Palazzo una specie di effetto placebo, l’idea che ci fosse comunque una rete di protezione stesa a evitare rovinose cadute di sistema”. 

“Ora resta in campo, ovviamente, l’altra grande opzione, quella che porta a Mario Draghi” prosegue Cappellini.

“Ma è praticabile in Parlamento? E chi può aprirle la via? Soprattutto, la domanda che più agita parte della maggioranza è: che ne sarà del governo se non fosse Draghi il punto di caduta dell’accordo tra i partiti?”

“L’esecutivo sarà in grado di proseguire o il rischio è che il presidente del Consiglio si trovi ancora più esposto alle resistenze della sua frastagliata coalizione?”.

“Con un Parlamento «balcanizzato» e senza una regia, la Corsa diventerebbe una lotteria. Per ora non c’è un metodo, ci sono solo nomi. Ma per arrivare al quorum serve la politica” scrive Francesco Verderami sul Corriere.

E Stefano Folli analizza le conseguenze dello stallo.

Giorno dopo giorno, scrive Stefano Folli su Repubblica, l’immagine del «non-governo», evocata dal premier Draghi citando Ugo La Malfa, dimostra di incombere ancora sui destini del Paese.

“Non riguarda in modo diretto ed esplicito questo esecutivo, ma è una condizione generale che accompagna la vita politica e racconta di un sistema che tende a sopravvivere, ma con modeste capacità di rinnovarsi e di realizzare riforme incisive”.

“Oggi i partiti sono o sembrano liquefatti, quasi sempre inadeguati rispetto al loro compito storico: trasformare in forza politica positiva gli umori e i sentimenti dell’opinione pubblica. Di qui la crisi permanente che in un modo o nell’altro scandisce la vita collettiva. Il fatto che nove mesi fa sia stato necessario chiamare alla guida del governo, in un clima di emergenza, una personalità come Draghi – e non erano passati tre anni dalle elezioni generali del 2018 –, lascia capire a quale punto fosse la paralisi”.

“Il nuovo presidente del Consiglio, raccogliendo senza dubbio i suggerimenti di Mattarella, presentò l’esecutivo di quasi unità nazionale come un’opportunità storica offerta alle forze politiche per rigenerarsi e riallacciare i fili spezzati con il Paese. A tutt’oggi sembra che l’opportunità sia stata colta solo in parte. È vero che la spinta delle forze cosiddette “sovraniste” di destra e di sinistra si è attenuata. Ma sta di fatto che le ragioni che all’inizio di questo 2021 spinsero il capo dello Stato ad affidarsi all’ex presidente della Bce permangono tutte”.

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