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[Lo scenario] Allarme Confindustria: con guerra e crisi energia è a rischio la ripresa delle Pmi

Il sistema produttivo italiano sta subendo gli effetti delle tensioni geopolitiche, economiche e commerciali associate al conflitto in Ucraina (sanzioni, incertezza dei traffici, restrizioni al commercio ecc.). È quanto si legge nelle previsioni del Rapporto Regionale Pmi 2022, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con Unicredit e Gruppo 24 Ore. Le previsioni di Cerved sono state elaborate sulla base di due scenari fondati su diverse ipotesi legate, in particolare all’evoluzione della congiuntura geopolitica, alla dinamica dei rincari delle materie prime, ai mutamenti dell’approccio di politica monetaria seguito dalla Bce e agli effetti di stimolo derivanti dalle risorse previste dal Pnrr.

Nello scenario “base”, i livelli pre-Covid saranno recuperati in tutte le aree già a partire dal 2022, nonostante una decelerazione su base annua del tasso di crescita dei ricavi (+2,4% nel 2022 e +2,0% nel 2023). Al termine del periodo di previsione, l’area che crescerà maggiormente rispetto ai livelli pre-Covid è il Mezzogiorno (+3,8%), mentre il Nord-Ovest farà registrare il rimbalzo più contenuto (+2,4%). Nello scenario “worst” la dinamica di ripresa dei ricavi delle Pmi potrebbe subire invece un netto arresto, per effetto di una scarsa crescita nel 2022 (+0,6%) e di una contrazione nel 2023 (-0,5%), che allontanerebbero il recupero dei valori persi durante la pandemia (-1,5% rispetto al 2019).

Il Centro ritornerebbe ad essere l’area della Penisola più colpita (-1,9%), soprattutto per effetto della marcata contrazione osservata in Toscana (-3,0%), ma forti ripercussioni si registrerebbero anche nel Nord-Ovest (-1,8%), rallentato dalle performance negative del Piemonte (-2,2%). Nel Nord-Est (-1,3%), e soprattutto nel Mezzogiorno (-0,8%), gli impatti della nuova congiuntura risulterebbero più attenuati, nulli o quasi in Friuli Venezia-Giulia (0,0%), Molise (0,0%) e Campania (-0,1%) che mostrano la migliore tenuta.

In entrambi gli scenari, dopo il calo della rischiosità osservato nel 2021, la quota di Pmi a rischio torna a risalire, osserva il Rapporto. Il Centro Italia si conferma l’area più esposta, con una percentuale di Pmi a rischio del 16,9% nello scenario base e del 17,5% in quello worst, un valore più alto di 2,5 p.p. rispetto al 2020 e di 7,1 p.p. rispetto al pre-Covid. Nel Mezzogiorno la quota di Pmi rischiose cresce dal 14,6% al 15,8% (16,5% nello scenario worst), con un livello di esposizione inferiore rispetto al 2020 (18,7%), ma nettamente più elevato rispetto al 2019 (+3,6 p.p.).

Anche il Nord-Ovest fa registrare una crescita dell’area di rischio, dal 9,8% al 10,9%, nello scenario base, fino a toccare l’11,3% nello scenario pessimistico, riportandosi su livelli analoghi al 2020 e superiori al pre-Covid (+4,9 p.p.). Il Nord-Est è l’area che mostra maggiore solidità, con la percentuale di rischio che cresce in misura più contenuta, dall’8,1% all’8,8% (9,6% nello scenario worst). La diffusione della pandemia – si legge nel Rapporto – ha interrotto la lenta ripresa delle Pmi italiane che nel 2020 hanno visto calare i loro fatturati dell’8,6%. La diversa intensità degli impatti della pandemia riflette la profonda eterogeneità del nostro tessuto produttivo e le differenti esposizioni delle economie locali.

La macroarea più colpita è stata il Centro Italia, penalizzata dalla specializzazione in settori fortemente colpiti dalle restrizioni sanitarie, fermi o con forti perdite nel corso dell’anno (turismo, alberghi, ristorazione, sistema moda, concessionari autoveicoli). Impatti importanti sui conti economici si registrano anche nelle regioni del Nord-Ovest (-8,8% e -10,1%) e del Nord-Est (-8,5% e -9,0%), dove a pesare sono stati i cali nel settore manifatturiero e nei servizi, mentre il Mezzogiorno ha mostrato impatti di minore intensità (-6,1% e -5,7%) per la maggiore incidenza dei comparti agroalimentare e costruzioni, relativamente meno colpiti dalla crisi.

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