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[L’intervista] Gabriele Bonfiglioli (CEO Marzocchi Pompe): «Le imprese italiane e europee rischiano di perdere competitività sul mercato internazionale»

L’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia ha scelto di dare voce a importanti realtà produttive del Paese che in questo momento di forte congiuntura negativa del sistema economico nazionale e internazionale ragionano in dialogo con la direzione del nostro Osservatorio su quali possano essere le soluzioni migliori da sottoporre all’attenzione dei decisori istituzionali.

Gabriele Bonfiglioli, è Amministratore Delegato di Marzocchi Pompe, realtà industriale italiana specializzata nella progettazione e produzione di pompe e motori ad ingranaggi esterni, che trovano applicazione in vari campi: industriale, mobile ed automotive. La produzione è realizzata interamente in Italia nelle due sedi di Casalecchio di Reno (BO) e Zola Predosa (BO) e ha conosciuto negli ultimi anni una decisa accelerata: il business si è espanso in più di 80 Paesi e si è aggiunta anche una filiale in Cina oltre a quella già presente negli Usa.

Bonfiglioli, quale scenario vede per il Paese e per il suo settore nei prossimi mesi?

Siamo reduci da due fiere di settore, una in Germania e una in Italia, di due tipologie completamente diverse; quindi, abbiamo il polso di quello che dice il mercato nel nostro mondo. Regna ancora un certo ottimismo per la forza del “sistema Italia”, ovvero per la capacità delle imprese italiane di essere molto flessibili sia nel customizzare i prodotti che poi nel produrli. La resilienza è la chiave dominante. Su questo ottimismo, però, grava un certo velo di incertezza. Gli scenari macroeconomici come la guerra in Ucraina e come l’inflazione lasciano sempre dei dubbi che poi ci possano essere dei freni allo sviluppo post-Covid che all’inizio aveva vissuto una forte accelerazione, poi ancora maggiore nel 2022. Quindi c’è un ottimismo diffuso, ma con qualche punto interrogativo dovuto a fonti esogene al mercato in sé.

Rispetto a tutto questo, per superare questa incertezza, quali azioni potrebbero essere d’aiuto al sistema delle imprese?

Nel 2022 il problema è stato quello dell’aumento dei prezzi delle utenze, quindi soprattutto dell’energia e del gas. Si parla molto di sostegno alle imprese in questi termini, io credo sia il tema principale che debba essere affrontato, perché è un tema nuovo. Ci sono stata infatti anche forti oscillazioni nei prezzi delle materie prime, ma era già buona abitudine definire contrattualmente con il cliente un conseguente meccanismo di compensazione dei prezzi di vendita. L’incremento dei costi energetici, invece, è un tema che era totalmente sconosciuto visto che l’energia elettrica non aveva un’oscillazione così importante forse da sempre.

Il sostegno alle imprese per i costi energetici diventa anche un fatto di competitività, perché quando noi, come altri, andiamo a chiedere degli aumenti di prezzo a dei clienti italiani ed europei, ci capiamo. Quando invece si fa la stessa cosa con clienti americani o cinesi, e noi peraltro esportiamo molto in questi due Paesi, certe volte, se l’interlocutore non è ben informato, ti guarda con grande stupore in quanto in quelle aree il problema non esiste. Quindi non è solo un fatto di sostegno alle imprese, ma è un fatto di competitività delle aziende nazionali ed europee.

Quindi l’Italia colpita dal caro energia insieme alla Germania rischia di perdere competitività a livello internazionale?

Assolutamente sì. Di questo se ne parla poco, ma è il tema. Quando sento che servono tante riunioni a livello europeo per decidere cosa fare, sono molto perplesso. È proprio un problema di tenuta del sistema industriale italiano ed europeo, c’è poco da starne a discutere.

Il cuneo fiscale lo valutate come un tema da mettere sul tavolo oppure no?

Mi ha anticipato, questo è sicuramente l’altro tema, se ne parla sempre tanto, è l’argomento su cui i governi italiani ed europei possono fare molto per aiutare le imprese. È chiaro che rispetto alla gravità dell’altro tema di cui abbiamo detto prima, è passato in secondo piano. Ci eravamo in qualche senso abituati ad un cuneo fiscale così gravoso; la sua riduzione ci aiuterebbe a migliorare, ma il problema ora è quanto siamo peggiorati in competitività.

Quindi non chiedete sostegni pubblici, chiedete solo di essere messi in grado di competere sullo scenario internazionale, perché senza poter competere facciamo un danno all’intero sistema Paese?

Esattamente. Ma c’è un altro tema che viene affrontato poco perché è prospettico, ma che pure è importante, che è quello della formazione dei tecnici che vanno a lavorare nelle imprese. Noi, perlomeno nel bolognese, abbiamo visto un calo drastico del fascino degli istituti tecnici in primis, cala la voglia dei ragazzi di fare il perito meccanico o elettrotecnico, perché passa il messaggio che l’industria alla fine inquina, ci sono altre forme migliori per lavorare, ecc. Vado spesso in Germania per lavoro e devo dire che siamo peggiorati di più di quanto non lo sia il sistema tedesco. Dobbiamo ricreare la cultura della parte tecnica soprattutto per i giovani, che sono la base del nostro futuro. Anche questo è un elemento di cui si parla poco ma che rischia di creare in prospettiva un impoverimento importante del nostro sistema industriale.

C’è anche un problema di calo demografico? I giovani saranno sempre di meno. A proposito di questo, l’indicazione di cambiare rotta rispetto al reddito di cittadinanza la trova corretta?

Assolutamente sì, nel senso che il sostegno a chi non può lavorare per mille motivi è socialmente doveroso, però io credo che ci siano tante opportunità per chi non lavora che passano per una riqualificazione professionale. Un conto è lasciare il disoccupato nel proprio settore per un po’ di tempo in maniera passiva, un conto è prepararlo per settori diversi, che magari in questo momento tirano di più, e allora è giusto fare un percorso per andare a colmare quel vuoto. Ci vuole un grosso impegno da parte delle istituzioni e delle persone, ma io credo che il cambio di rotta sia indispensabile.

Quanto colpisce il suo settore la transizione energetica? Rispetto alla trasformazione dei processi lavorativi, della produzione del prodotto, la sostenibilità è un vantaggio per le aziende o può rappresentare una difficoltà?

Per noi è un vantaggio, il nostro prodotto nel settore automotive è indipendente dal tipo di alimentazione del veicolo, però abbiamo una gamma di prodotti particolarmente silenziosa che è molto adatta per i veicoli elettrici. Quindi per noi, parlando specificatamente del prodotto, è un’opportunità. Più in generale, io credo che la sostenibilità sia un vantaggio per tutti noi. È chiaro che bisogna che tutti rimuoviamo delle barriere mentali che magari ci siamo creati nel tempo e che vediamo il discorso a 360 gradi.

Faccio un paio di esempi. Noi adesso stiamo ristrutturando un immobile comprato da poco adiacente ai nostri e la prima cosa che abbiamo fatto è stato fare il progetto per installare i pannelli fotovoltaici, proprio come scelta di sostenibilità ma anche di risparmio energetico, abbinando entrambe le cose. Come sistema Paese, ancora una volta bisogna vedere la sostenibilità in tutte le sue sfumature, facendo un’analisi ampia. Se si pensa di passare all’elettrico delle auto va benissimo, ma bisogna chiedersi come produco energia elettrica per far girare il parco auto. Perché, per assurdo, se per sostenere l’aumento di richiesta di corrente, devo riattivare delle centrali a carbone faccio del male all’ambiente, non gli faccio del bene.

Quindi, la sostenibilità è ormai un tema imprescindibile per tutti noi, però va affrontato con la mente aperta e facendo bene i calcoli fino in fondo. L’approccio deve essere pragmatico e non ideologico, perché altrimenti rischiamo di farci del male: serve un approccio concreto su quale direzione debba prendere la sostenibilità.

Parlando della sua impresa, che numero possiamo osservare? Quale percorso volete tracciare?

La nostra è un’impresa che nel 2019 ha superato i 70 anni di vita e la cui compagine azionaria unisce la tradizione familiare con un’anima manageriale: la Famiglia Marzocchi detiene il 60%, alcuni colleghi ed io il 10%; siamo quotati al mercato EGM della Borsa di Milano con un flottante del 23%. Siamo un’azienda storica, familiare ma manageriale e aperta all’esterno, cerchiamo di avere un approccio che unisca tradizione ed innovazione.

La nostra è una radicata produzione Made in Italy: anche negli anni in cui la globalizzazione era un “must” noi abbiamo sempre resistito realizzando i componenti critici all’interno o presso fornitori piuttosto vicini: questa è una scelta che ha pagato molto in questi ultimi anni di crisi della supply chain e di difficoltà logistiche.

Per noi realizzare un prodotto Made in Italy vuol dire anche proporsi come i “sarti delle pompe ad ingranaggi”, perché anche se non abbiamo a catalogo il prodotto richiesto dal cliente possiamo farlo su misura e nelle quantità desiderate. Questo per noi è indispensabile per lottare contro le multinazionali che forniscono ottimi prodotti a prezzi più competitivi dei nostri, però con una gamma molto più limitata.

Ha ancora un senso lamentarsi dell’assenza recente dell’auto italiana? Visto che tante aziende come la sua sono Made in Italy?

Alla fine per noi come impresa è indifferente, nel senso che noi indirettamente lavoriamo per i grandi colossi in tutto il mondo e quindi il problema non si pone dal nostro punto di vista aziendale. Per vederla in maniera più ampia, l’assenza di un’auto italiana è un po’ un dispiacere alla fine e, probabilmente, se ci fosse ancora, le imprese italiane avrebbero ancora più possibilità di quelle che riescono ad avere lavorando in uno scenario globale, soprattutto in un momento in cui si parla di deglobalizzazione o comunque di back shoring.

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