Analisi, scenari, inchieste, idee per costruire l'Italia del futuro

[L’intervento] Il debito pubblico non è insostenibile se migliora la gestione del patrimonio

di Giorgio Girelli, banchiere

Esiste ed è molto comune la storiella di un re nudo in una stanza, non notato da nessuno, fino a che una persona entra nella stanza e, con il massimo candore, esclama “Ma il re è nudo!”.

Si potrebbe in qualche modo applicare questa storiella al debito pubblico italiano, che ha una dimensione sempre maggiore in presenza di un’economia debole, ma di cui nessuno osa discutere seriamente la sostenibilità.

Perché si dubita della sua sostenibilità? Quando una banca concede a un’azienda un nuovo credito o ne rinnova uno esistente, deve prendere in esame alcuni fondamentali elementi:

1) il fatturato attuale, storico e presumibile per il futuro, sulla base di un piano aziendale e di una valutazione dello scenario esterno;

2) la redditività, sia quella di margine operativo (ebitda) sia quella di ultima riga, cioè l’utile netto;

3) il debito finanziario in essere, le durate e le eventuali garanzie prestate. Proviamo ad applicare questi elementi basilari al debito dello Stato italiano: a) il suo “fatturato”, cioè il pil, è stato pari nel 2021 a 1.780 miliardi e nel 2022 sarà di circa 1.850 miliardi. Le previsioni di crescita per il 2023 e il 2024 sono modeste.

Da molti anni la crescita del pil italiano è bassa e la redditività dei conti pubblici storicamente negativa. Da qui nasce il deficit, che nel 2022 sarà al 5,1% del pil.

In deficit saranno anche gli anni a venire. Continuare a pensare che la Bce sostenga per sempre il debito è illusorio, tanto più che si inizia a parlare di riduzione del bilancio, che significa in primis non rifinanziare il debito in scadenza.

Il peso del rifinanziamento annuo del debito continuerà ad essere rilevante, con circa 400 miliardi annui, insostenibile se Bce diminuirà il proprio supporto e se le banche italiane, che detengono oggi circa 400 miliardi di Btp nei loro portafogli di proprietà, decideranno (o saranno costrette) a ridurre questo ammontare di impieghi.

Concretamente bisognerebbe dunque iniziare ad agire in più direzioni. La prima direzione è migliorare il conto economico dello Stato, aumentando i ricavi e dando un forte impulso all’efficienza dei costi, cioè la spesa pubblica.

La medicina può essere amara, ma bisogna intervenire seriamente sulla produttività e sull’attacco duro all’evasione fiscale, sia delle imposte dirette che indirette.

L’evasione è endemica in Italia e non paragonabile a nessun altro Stato sviluppato. In Italia l’imponibile medio è intorno ai 15.000 euro annui, in un Paese dove Audi, Mercedes e Bmw di alta gamma sono numerosissime, e dove, come disse un presidente del consiglio “i ristoranti sono sempre pieni e non si trova un posto libero per andare in vacanza”.

È indispensabile poi anche agire sulla riduzione dei drammatici sprechi di spesa pubblica. Anche perché è impossibile aumentare la tassazione, già altissima e gravante su una fascia ridottissima di contribuenti vista l’enorme evasione fiscale.

Altrettanto impossibile è pensare ad una tassa patrimoniale rilevante che colpirebbe in elevata misura ed in modo del tutto iniquo patrimoni che spesso hanno già pagato la tassazione piena.

Significherebbe tra l’altro congelare la domanda interna per molti anni e far di nuovo esplodere l’esportazione dei capitali, a meno di bloccare il movimento estero dei capitali.

Non dimentichiamo inoltre che oggi, tra tassazione annuale dei patrimoni finanziari, Imu sulla seconda casa e la tassa di possesso auto e natanti, un contribuente di medio livello versa già ogni anno allo Stato quasi il 2% del proprio patrimonio.

Si potrebbe dunque forse pensare di rendere irredimibile la parte più lunga del debito, mettendo in garanzia l’ingente patrimonio immobiliare pubblico, solo ad esempio le famose spiagge demaniali, le caserme inutilizzate (a volte con valori enormi, vedi a Milano l’ex Distretto militare in pieno centro o la sede della Regione Aerea in città Studi), i patrimoni residenziali pubblici quasi abbandonati, magari la rete di telecomunicazioni, dopo averla fatta ritornare pubblica.

Si potrebbe aumentare il rendimento di questo debito pubblico perpetuo e collateralizzato, rendendolo quindi appetibile e sicuro per gli investitori privati e per quelli istituzionali di lungo periodo, che oggi cercano con grande interesse investimenti in grado di finanziare nel lungo periodo le pensioni private e le polizze vita.

Come insegna il Giappone, che ha un rapporto debito/pil vicino al 200%, se il debito pubblico è sostanzialmente domestico la sostenibilità è molto elevata.

Quindi bisognerebbe rendere il debito pubblico molto appetibile per il mercato italiano, retail e istituzionale.

Oggi nella ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, circa 4.000 miliardi, l’investimento diretto in titoli di debito pubblico nazionale pesa solo circa il 5%: se si riuscisse a diminuire l’importo annuo del rifinanziamento gli investitori ne sarebbero di sicuro confortati e sottoscriverebbero i rifinanziamenti con maggiore positività.

Allo stesso modo sarebbero confortati se i diversi governi italiani smettessero di considerare una prassi consolidata lo scostamento di bilancio in deficit, oggi ormai una prassi.

SCARICA IL PDF DELL'ARTICOLO

[bws_pdfprint display=’pdf’]

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi gli ultimi articoli di Riparte l’Italia via email. Puoi cancellarti in qualsiasi momento.

Questo sito utilizza i cookie per migliorare l'esperienza utente.