I dati sulla diffusione del covid sono preoccupanti, ma sarebbe assolutamente sbagliato “sacrificare” di nuovo i ragazzi chiudendo in modo indiscriminato le scuole.
I dati sulla diffusione dei contagi dimostrano che le scuole sono in questo momento i luoghi più sicuri per i ragazzi che entrano in contatto con il virus in casa o in altri contesti non controllati o dove si creano assembramenti.
Probabilmente se avessimo riaperto le scuole prima dell’estate avremmo potuto insegnare ai ragazzi ad usare le mascherine, evitando i contagi di cui stiamo pagando ora le conseguenze.
Siamo stati noi adulti a fare certe scelte ed ora non mi sembra coretto penalizzare subito i giovani perché non siamo in grado di gestire la somministrazione dei tamponi e di potenziare il trasporto pubblico.
Le 19.000 farmacie diffuse sul territorio nazionale potrebbero diventare dei presidi importanti per screening diffusi e l’utilizzo dei mezzi di trasporto privati, potrebbe essere una soluzione semplice in moltissime situazioni.
Potremmo risparmiare i fondi della cassa integrazione destinata ad un settore fermo da mesi per potenziare i trasporti pubblici.
Dovremmo veramente provare tutte le strade possibili per evitare di chiudere nuovamente le scuole.
Non solo per i piccoli!
Chi vede i ragazzi tutte le mattine a scuola capisce che per loro non è stato uno scherzo il lockdown.
Le ansie, le paure, la difficoltà a riprendere un ritmo di vita “normale” sono sotto gli occhi di tutti.
Per molti è difficile stare concentrati, studiare, senza disperdersi e per molti il rischio dell’astenia, quella mancanza di voglia di vivere che fa desiderare la propria camera da letto e la PlayStation come il migliore dei mondi possibili, è sempre in agguato.
L’organizzazione mondiale della sanità ha rilevato quanto abbia inciso il lockdown sulla salute psicologica degli adolescenti che sono stati tra i più penalizzati dalla situazione che abbiamo vissuto.
Solo chi non sta con i ragazzi può dire che è meglio chiudere piuttosto che avere una didattica in cui si alternano giorni in presenza e giorni a distanza.
Solo chi non ha vissuto concretamente che cosa significa chiudere una classe per una settimana perché c’è stata una segnalazione di contagio da parte della Asl può affermare che è meglio sospendere totalmente l’attività didattica.
Nel caso di uno studente positivo, i compagni fanno i tamponi e in attesa dell’esito si passa alla didattica a distanza, per poi ritornare di nuovo in classe dopo aver avuto l’esito dei tamponi che nella quasi totalità dei casi sono negativi.
I ragazzi capiscono che questo è il modo per poter continuare a venire a scuola e accettano le procedure con grande serietà.
Venire a scuola per imparare insieme è importantissimo, soprattutto in un momento in cui si stanno riducendo le possibilità di praticare attività sportive e di trovarsi fra amici.
Ma ci sono altre due ragioni per cui è fondamentale che le scuole non richiudano in modo indiscriminato.
La prima: attraverso gli 8 milioni e mezzo di studenti che le frequentano si arriva in modo diretto o indiretto a monitorare tutta la popolazione italiana.
In queste prime settimane di scuola lo abbiamo visto.
Con i tamponi fatti in modo mirato ma diffuso, siamo riusciti a spezzare sul nascere molte catene di contagi che avrebbero potuto continuare a crescere, indisturbate, all’interno delle famiglie.
La seconda: solo chiusure mirate e localizzate possono evitare che si amplino ancora di più i divari fra i territori.
Le indagini sull’uso della didattica a distanza durante il lockdown hanno rivelato che almeno un milione di studenti non è riuscito a farne uso.
Il dato certo è che queste criticità sono state molto più alte nelle regioni del Sud, a cominciare dalla Campania che ieri ha deciso di chiudere i battenti di tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Nei mesi del lockdown abbiamo tolto la possibilità di andare a scuola a milioni di studenti che abitavano in zone con dati di contagio inesistenti e lo abbiamo continuato a fare anche a maggio quando la situazione stava cambiando anche nei territori più colpiti.
Ora, non possiamo più permetterci di far pagare lo scotto della situazione ai più giovani.