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[L’analisi] L’inflazione resterà a lungo. Ecco tre motivi per cui non se ne andrà

L’inflazione non è mai stata così alta. Nei Paesi del G7 è salita al ritmo più alto in quasi 40 anni di storia. I tassi d’inflazione headline sono superiori ai target delle banche centrali in gran parte delle principali economie, sviluppate ed emergenti.

Le conseguenze della pandemia

Per David Rees, senior emerging markets economist di Schroders, le radici dell’attuale ondata di inflazione globale «risalgono all’inizio della pandemia, quando è emerso un forte squilibrio tra l’offerta e la domanda di beni. L’economia globale ha subito una forte contrazione nella prima metà del 2020 a causa dei lockdown, ma ciò che è seguito è stata una recessione insolita in quanto la maggior parte delle famiglie è stata in un certo senso protetta dalle perdite economiche e in aggregato il risparmio netto è aumentato notevolmente». 

Con i consumatori pieni di liquidità e la maggior parte dei settori dell’economia globale chiusi, prosegue Rees, in particolare i servizi, «la domanda repressa si è riversata in poco tempo sul settore dei beni. Negli Stati Uniti, ad esempio, le vendite al dettaglio sono aumentate del 20% in un solo anno e continuano a crescere con la ripresa economica. Anche in tempi normali, l’offerta di beni avrebbe faticato a tenere il passo con una domanda così elevata». Le tensioni sulla produzione, spiega l’economista, «sono state esacerbate dai lockdown e dalle interruzioni dei canali di spedizione».

La questione Ucraina

Più di recente, «le ricadute dei tragici eventi in Ucraina hanno esacerbato le tendenze inflazionistiche di fondo, con l’impennata dei prezzi delle materie prime. Questo ha gettato benzina sul fuoco e fatto salire ulteriormente l’inflazione». Rees però sottolinea come ci sono tre motivi per cui l’inflazione probabilmente resterà alta ancora a lungo, sebbene il picco sia probabilmente non lontano, o superato, come è il caso degli Stati Uniti. Anche se i tassi di inflazione globale potrebbero presto iniziare a diminuire, si teme che lo faranno in modo relativamente lento per almeno tre motivi.

La Cina e la supply chain

l primo motivo, per l’economista, è «l’impatto della politica cinese zero-Covid sulle supply chain, con i colli di bottiglia delle catene di approvvigionamento che probabilmente persisteranno per qualche tempo. L’imposizione di lockdown ha colpito duramente l’economia cinese ad aprile e probabilmente porterà a una contrazione del Pil nel secondo trimestre» e Pechino non sembra aver intenzione di abbandonare la sua politica intransigente.

La crisi delle materie prime

Il secondo motivo risiede nei prezzi delle materie prime, secondo l’analisi di Schroders. I prezzi dell’energia «si sono stabilizzati dopo lo shock iniziale seguito all’invasione russa dell’Ucraina, ma rimangono alti e non si escludono ulteriori rialzi». La Russia ha interrotto la fornitura di gas a Polonia e Bulgaria e permane la minaccia di interrompere le forniture ad altri Paesi europei più grandi. Allo stesso tempo, l’Ue sta cercando di raggiungere un accordo su un nuovo ciclo di sanzioni che includa un embargo sull’energia russa, potenzialmente già dalla fine del 2022.

Tuttavia, «è forse il prezzo dei prodotti alimentari a rappresentare la minaccia maggiore», avverte Rees. I prezzi dei prodotti alimentari sono già aumentati di circa il 20% in termini nominali di dollari. In aggiunta, l’enorme shock dei prezzi nel mercato dei fertilizzanti implica che l’aumento dei costi dei beni alimentari possa persistere. Dopo tutto, Russia e Bielorussia sono state storicamente importanti fonti di fertilizzanti per l’economia globale. Il lungo ciclo produttivo dell’agricoltura fa sì che questi maggiori costi dei fattori produttivi possano mantenere i prezzi elevati per qualche tempo.

Il settore servizi

Una terza preoccupazione per l’inflazione «viene dal settore dei servizi. Si tratta di un’area che si sta riprendendo, con l’affievolirsi delle preoccupazioni per il Covid», continua l’esperto. I dati del Regno Unito, che è stata la prima grande economia ad abbandonare le restrizioni dovute alla pandemia, «hanno mostrato un chiaro spostamento della domanda verso i servizi. E negli Stati Uniti l’attività del settore terziario sta tornando ai livelli pre-pandemici e probabilmente aumenterà ulteriormente con il ritorno della domanda».

La ripresa della domanda nel settore dei servizi richiederà probabilmente più lavoratori in un momento in cui la disoccupazione è già molto bassa e i salari sono in aumento. L’attività del settore dei servizi tende ad essere ad alta intensità di manodopera e quindi i prezzi sono particolarmente sensibili ai costi salariali. Ciò comporta il rischio che i servizi possano presto diventare il principale motore dell’inflazione, aggiungendosi ai timori di una spirale salari-prezzi.

L’inflazione resterà a lungo

«Considerando tutti questi rischi», conclude Rees, «abbiamo rivisto al rialzo le nostre previsioni sull’inflazione globale di quest’anno, portandole al 6,4% dal precedente 4,8%. Anche se ci aspettiamo che l’inflazione diminuisca l’anno prossimo, probabilmente lo farà più lentamente, abbiamo quindi rivisto al rialzo la nostra stima al 3,6% nel 2023 dal precedente 2,8%. Ciò in gran parte è dovuto ai mercati sviluppati».

«I dati in arrivo suggeriscono che l’inflazione negli Stati Uniti abbia raggiunto il picco dell’8,6% a marzo. Prevediamo un trend al ribasso nei prossimi mesi, per tornare al target del 2% della Fed solo entro il quarto trimestre del 2023. Ci aspettiamo che il picco d’inflazione nel Regno Unito e nell’area euro sia raggiunto un po’ più tardi, rispettivamente nel secondo e terzo trimestre. Tuttavia, mentre riteniamo che l’inflazione nell’Eurozona scenderà di nuovo sotto il 2% nella seconda metà del prossimo anno, prevediamo che l’inflazione del Regno Unito rimarrà al di sopra dell’obiettivo per tutto il 2023».

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