La crisi energetica non è che la punta dell’iceberg delle ripercussioni scatenate dall’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe. Preoccupa molto la possibile emergenza alimentare attraverso la paralisi di una consistente fetta del commercio globale di prodotti agricoli, con un impatto a 360 gradi su economie sviluppate ed emergenti. Questa crisi comporta vocabolario e priorità differenti a seconda dei Paesi: per l’Europa si tratta di inflazione, mentre per l’Africa e altre regioni in via di sviluppo il rischio è quello di una vera e propria catastrofe alimentare.
Il rischio carestia
«Guerra in Ucraina significa fame in Africa», ha detto Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale. La guerra fa comparire «lo spettro di una carestia globale che potrebbe trascinarsi per anni», ha avvertito Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu. Solo poche ore fa, la Russia ha respinto le richieste delle Nazioni Unite e dei funzionari occidentali di allentare il blocco navale ai porti ucraini del Mar Nero, che ha impedito a Kiev di esportare gran parte del suo grano sui mercati mondiali. Circa 25 milioni di tonnellate di mais e grano sono intrappolate in Ucraina dal blocco navale russo.
La situazione non accenna a sbloccarsi e la crisi rischia di peggiorare. A causa del conflitto, molti impianti di stoccaggio sono andati distrutti, mentre i silo ancora intatti sono pieni delle derrate che non possono essere spedite, lasciando gli agricoltori senza spazio per immagazzinare il prossimo raccolto. Raccolto che sarà molto inferiore a quello dell’anno scorso, poiché metà della terra coltivata a grano si trova in aree di intensi combattimenti o è occupata dall’Esercito russo, ha affermato il ministro dell’Agricoltura del Paese, Mykola Solskyi.
Il blocco delle materie prime
Ma la guerra, con le conseguenti carenze di carburante, fertilizzanti e manodopera, minaccia la resa per il 2023 anche nelle campagne non interessate dai combattimenti. La Russia, da parte sua, sta ancora riuscendo a vendere il suo grano, nonostante i costi e i rischi aggiuntivi per i commercianti. Mosca, inoltre, potrebbe non avere forniture di semi e pesticidi che normalmente acquista dall’Unione Europea. Negli ultimi dieci anni, Ucraina e Russia si sono affermate come due dei principali esportatori mondiali di grano, un mercato che valeva 51,4 miliardi di dollari nel 2020. Dai raccolti russi proviene il 19,5% di tutto il grano scambiato a livello globale (per un valore di 10,1 mld usd), mentre i campi ucraini ne forniscono l’8,97% (equivalenti a 4,61 mld). Solo dieci anni fa la quota di esportazioni congiunta di Russia e Ucraina sul totale globale era dell’11,38%.
Il ruolo da protagonista dei due Paesi non si limita al grano: da Russia e Ucraina provengono infatti il 29% dell’orzo, il 15% del mais e il 75% dell’olio di girasole scambiati a livello globale. Alcuni Paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa, sono completamente dipendenti dalle importazioni dei cereali coltivati nelle pianure di Russia e Ucraina. Kiev e Mosca producono circa metà dell’import di Libano e Tunisia, percentuale che sale a due terzi nel caso di Libia ed Egitto, primo importatore globale con 5,2 mld usd nel 2020. La crisi potrebbe estendersi anche al Vecchio Continente, attraverso due canali, e provocare conseguenze sociali ed economiche difficili da prevedere.
Le possibili conseguenze della crisi
Il primo, indiretto, è la potenziale ondata migratoria che potrebbe essere innescata da una crisi alimentare ed economica nei Paesi del Sahel e dell’Africa subsahariana. La crisi dei rifugiati della prima metà dello scorso decennio ha avuto un impatto decisivo sullo scenario politico dei Paesi dell’Ue, favorendo i partiti populisti che mettevano in dubbio il progetto europeo. Il secondo, più immediato, è quello dell’inflazione e del suo impatto su un sistema economico, quello dei Paesi sviluppati, che si trova a fare i conti con prezzi in aumento significativo per la prima volta da 40 anni.
Il prezzo del grano sul mercato di Parigi è passato dai 316 dollari la tonnellata del 24 febbraio, giorno dell’invasione russa, ai 419 usd/tonnellata di oggi. Secondo il ministro ucraino Solsky potrebbe arrivare fino a 700 dollari. In Italia, che di grano e molti altri prodotti agricoli è una grande importatrice, il costo dei prodotti dell’industria alimentare rischia di segnare un +12,7% su base annua nel bimestre aprile-maggio, secondo uno studio Unioncamere in collaborazione con Bmti e Ref Ricerche.
Il rincaro prezzi
L’aumento di costi incomprimibili come il carrello della spesa, unito all’aumento dei prezzi dell’energia, sottoforma di carburante e bollette luce e gas, e all’inflazione dei beni industriali, che galoppa da ormai un anno, rischia di mettere sempre più a dura prova le tasche dei consumatori italiani ed europei. Di certo avrà un impatto significativo sui margini di quelle aziende che non potranno trasferire interamente gli extra-costi sostenuti sul cliente finale (il caso di un colosso della gdo come Walmart è emblematico)
In alcuni Paesi, come il Regno Unito, si parla già di crisi del costo della vita e con i tassi d’interesse su mutui e finanziamenti destinati a salire nei prossimi mesi per combattere l’inflazione, i margini di spesa discrezionale dei consumatori nei Paesi sviluppati rischiano di precipitare sempre di più. La difficoltà potrebbe poi non rimanere limitata alle famiglie, ma estendersi alle imprese, i cui margini sono già erosi dall’incapacità di trasferire del tutto l’aumento dei costi operativi ai consumatori. E un calo del fatturato delle imprese e quindi degli investimenti creerebbe la miscela perfetta per una recessione in un mondo che si è appena ripreso dall’impatto della pandemia.