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La pandemia è stata come un terremoto catastrofico. Ricerca, prevenzione e consapevolezza sono le uniche armi che abbiamo per difenderci

 “La storia umana diventa sempre più una gara, una gara tra cultura e catastrofe”, sosteneva Herbert George Wells, scrittore e pensatore visionario.

In ogni catastrofe, che sia una pandemia o un terremoto, emerge sempre nitidamente la scarsa cultura che caratterizza molti settori della società e che ne amplifica le conseguenze. L’inadeguata preparazione della politica, quella dei cittadini, l’incapacità e l’inazione nella prevenzione, le polemiche tra politici di opposti schieramenti, quelle, vere o presunte, tra gli scienziati, alimentate spesso dai media, generano effetti a catena indesiderabili e che disorientano i cittadini, compromettendo il rapporto già difficile tra scienza e società.

Ho seguito la vicenda COVID19 da cittadino, come tutti, ma anche con un pensiero ai disastri “naturali” di cui mi occupo (principalmente terremoti e tsunami) e del loro impatto sociale, a breve e lungo termine, trovando inaspettatamente numerose analogie. Penso ai disastri che ho studiato sui libri, a quelli che ho vissuto da vicino, a quelli che verranno.

Inizialmente sono stato sorpreso nell’ascoltare discussioni accese, pareri critici, accuse reciproche, sui numeri dei contagi e dei morti, sul significato di quei numeri e delle loro derivate, ministri che reclamavano “certezze assolute” dagli scienziati, mentre questi tentavano, con atteggiamento talora spavaldo, altre volte umile e quasi titubante, di riportare l’attenzione sulla non conoscenza, ponendo il dubbio come elemento centrale del dibattito, venendo per questo criticati se non sbeffeggiati. Non una grande novità, in effetti, visto quanto si manifesta in caso di terremoto o di qualunque altro fenomeno di cui si sa poco e di cui invece si vorrebbe sapere tutto, non solo di quanto accaduto (cosa già molto difficile) ma anche di quello che deve ancora accadere.

Come per tutti i forti terremoti che colpiscono l’Italia ogni pochi anni, anche per questa pandemia ci siamo trovati drammaticamente impreparati. Di questo si è scritto abbondantemente. Peraltro, essa, per la sua forza distruttiva e per l’impatto in termini di vittime e di crisi economica, andrebbe paragonata non ai “piccoli” terremoti di Amatrice (2016), dell’Emilia (2012), o dell’Aquila (2009), ma alle grandi catastrofi sismiche come quella di Messina e Reggio del 1908 o altre comparabili che hanno devastato l’Italia nei secoli, purtroppo ben note agli storici e ai sismologi, e che prima o poi torneranno a colpire il nostro Paese.

Appare evidente il bisogno di prepararci ai prossimi disastri, anche facendo tesoro delle lezioni di questa crisi da cui stiamo faticosamente uscendo. Come? Non sono in grado di fornire soluzioni per il rilancio dell’economia. Tuttavia, mi sento di richiamare l’attenzione su tre concetti che a mio avviso dovrebbero trovare un posto di rilievo nell’agenda politica dei prossimi anni, per evitare di commettere gli stessi errori che ci hanno portato a fronteggiare l’attuale crisi con le sole armi, rivelatesi spuntate, dell’emergenza e della rincorsa alla soluzione adattativa, senza un piano chiaro a medio e lungo termine.

Le tre parole sono: ricerca, prevenzione, consapevolezza, tre parole legate tra loro a doppio filo. Senza una delle tre, infatti, le altre due risultano inefficaci.

La scienza è il modo migliore che abbiamo per rappresentare la natura. “Science is the poetry of reality – La scienza è la poesia della realtà”, ha scritto il biologo Richard Dawkins, descrivendo con ammirato stupore l’estrema complessità degli esseri viventi, e richiamando l’attenzione sulla responsabilità che abbiamo di disvelare e spiegare questa complessità.

Nel campo dei disastri la ricerca scientifica è la base irrinunciabile verso la riduzione dei rischi, come evidenziato nel Protocollo di Sendai 2015-2030 e nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo sostenibile.

La conoscenza di ciò che accade all’interno della Terra, alla sua superficie, negli oceani, nell’atmosfera e nella biosfera è il primo passo in questa direzione. La ricerca scientifica è un’impresa di lungo termine, non dà risposte immediate né sicure, anzi si nutre dell’incertezza e del dubbio, mettendosi continuamente in discussione, ma progredendo, offrendo descrizioni sempre più accurate della realtà. Perseguire questa impresa è una responsabilità di noi ricercatori, tanto più in un Paese come l’Italia, in cui il territorio è così fragile, i beni culturali così diffusi, il rischio di perderli così elevato.

La scienza non potrà evitare i prossimi terremoti, le alluvioni, gli tsunami, le pandemie, ma potrà aiutarci ad affrontarle nel modo migliore, a prevenire e limitare i danni. I sistemi di allerta rapida (Early Warning) possono avere un ruolo decisivo, lo sono già per i fenomeni meteorologici estremi, lo sono per gli tsunami, potranno aiutare per i terremoti, possono esserlo certamente per difenderci dalla diffusione dei virus come il COVID19.

Ma le conoscenze acquisite dalla comunità scientifica non devono rimanere confinate nelle riviste specialistiche e nei laboratori; devono diventare un patrimonio comune e servire per guidare la prevenzione.  

Come ha rilevato Alessandro Vespignani (Il Manifesto, 12 maggio 2020) “Politicamente è impossibile prendere decisioni che hanno un costo sociale enorme se non c’è l’emergenza, ma per evitare l’emergenza”. Per i rischi naturali e i relativi disastri non è una novità, ci siamo abituati purtroppo. Sappiamo da secoli che torneranno a colpirci, è inevitabile, ma non facciamo nulla, o quasi. Vespignani ha evidenziato che “c’è una sottovalutazione generale della velocità di questo virus che non lascia pause di riflessione”. Come per i terremoti, gli tsunami o le alluvioni, i rischi sono sottovalutati, e spesso a parlarne in tempi di pace si passa per menagramo. Politici e cittadini ignorano il problema, rimandano quelle decisioni che potrebbero salvare vite e salvaguardare l’economia.

Investire in prevenzione è difficile per i governi, a tutti i livelli. È impopolare, ed è sbagliato che lo sia. Questo è il pensiero che va ribaltato: occorre far diventare popolare, stimato, amato, il governo, il politico, il sindaco, che investe in prevenzione, che si preoccupa della sicurezza dei suoi cittadini e del suo territorio. Bisogna sforzarsi di cambiare questa mentalità, che ha radici profonde. Se non lo si fa dopo questa crisi, non si farà più; oggi tutti sono stati colpiti e per questo l’ascolto è massimo, potrebbe essere un’occasione irripetibile.

Abbandoniamo la nostra “incapacità di vedere l’invisibile”, come la definisce Vespignani, cerchiamo di essere lungimiranti e immaginiamo soluzioni innovative e che facciano aumentare la sicurezza e ripartire l’economia.

La difesa dai terremoti, per esempio, è un campo dove un grande impegno nella prevenzione porterebbe inevitabilmente a un rilancio di importanti settori dell’economia del Paese, oltre a essere un obbligo morale verso le generazioni future. Ci sono migliaia di scuole non sicure, per non parlare dell’edilizia privata. Da luglio, i privati potranno approfittare dei cosiddetti Sismabonus ed Ecobonus che sono stati portati al 110% per gli interventi di efficientamento energetico e messa in sicurezza antisismica degli edifici.

Come sottolineato da Edoardo Cosenza (Ingenio, 14/5), in questo momento il Sismabonus è uno strumento utilissimo per rilanciare il mercato delle costruzioni e, quindi, anche quello delle professioni. Affinché decolli, rileva Cosenza, è necessaria però una semplificazione burocratica e finanziaria, per aiutare in particolare le piccole imprese: il “minimo delle regole per rispettare legalità e concorrenza non è un tema del mondo delle costruzioni: è il vero tema”.

Di un “Piano Marshall” dell’edilizia scolastica ha parlato di recente anche Ivo Allegro su queste pagine, per rilanciare l’edilizia e per recuperare molti edifici pubblici. Ripartire dalla scuola, sostiene Allegro, ha importanti valenze strategiche, anche per l’opportunità di sfruttare il potenziale delle nuove tecnologie.

Ma ricerca e prevenzione da sole non bastano, necessitano del terzo elemento: la consapevolezza. Della politica, dei cittadini, dei media.

Mi ha sempre sorpreso il solco che esiste tra la immensa quantità di cose che noi ricercatori non conosciamo (e che sappiamo di non conoscere, per non parlare di quelle che non sappiamo di non conoscere) e la percezione delle persone che attribuiscono alla scienza e agli scienziati un potere quasi divinatorio di risolvere i problemi e di evitare i disastri. Bisogna sforzarsi di colmare questo vuoto, avvicinando le persone, soprattutto i bambini e gli studenti, alla scienza, al suo metodo, ai suoi limiti, a comprendere la complessità, a rispettarla, a coltivare l’importanza dell’incertezza, intrinseca in ogni descrizione dei fenomeni.

La critica che viene fatta alla scienza e agli scienziati in questa crisi, soprattutto ora che si vorrebbe ripartire prima possibile e senza troppi freni, deriva proprio dalla non accettazione della complessità, del dubbio, della non conoscenza. Un ministro si lamenta con gli scienziati perché pretende da loro “certezze assolute”, come capitato durante questa crisi, dimostra il distacco che esiste tra politica e scienza. Certo, anche gli scienziati, alcuni scienziati, dovrebbero evitare di sconfinare dai loro campi proponendo ipotesi, modelli, cure non collaudate (che si rivelano il più delle volte fallaci), evitare un eccessivo protagonismo, sia se animato da intenti nobili, ancora di più se determinato da una sorta di narcisismo culturale. In questo modo non aiutano a fare chiarezza, aumentando la confusione ed irritando chi faticosamente cerca di orientarsi nell’oceano già ampio dell’incertezza.

 “In un’epoca dominata dall’assertività gli scienziati hanno riportato il dubbio al centro del discorso” fa notare Paolo Giordano (Corriere della Sera, 11/5), essi “hanno riscoperto per noi la categoria proibita del non-sapere”. Giordano giustamente auspica che nel post-Covid si possa “mantenere viva questa tensione verso ciò che non conosciamo”. Come? Partendo dai bambini e dalle scuole, “sovvertendo il principio dominante che la conoscenza sia un corpo statico di nozioni di cui appropriarsi pezzo a pezzo”.

Insomma, creando dei cittadini critici, guidati dal ragionamento razionale, in grado di distinguere tra il vero e il falso. Che sappiano esercitare il dubbio, lo spirito critico, accettare l’incertezza come un valore, da ridurre se possibile ma da salvaguardare come un bene primario. La sete di sapere che abbiamo visto nelle settimane del lockdown, quando si attendeva l’oracolo delle 18 con speranza e avidità, si spegnerà rapidamente, forse si è già spenta, perché era dettata dall’urgenza e dalla paura. Compito degli scienziati è tenere viva questa sete, della politica nutrirla, dei cittadini quello di rimanere in ascolto, riponendo fiducia nella scienza, nel suo metodo, nei suoi limiti e nei suoi tempi.

Link citati

https://ilmanifesto.it/alessandro-vespignani-senza-infrastrutture-lepidemia-ripartira/

https://www.ingenio-web.it/26966-edoardo-cosenza-su-eco-e-sisma-bonus-al-110-edilizia-scolastica-e-sburocratizzazione

https://www.repubblica.it/dossier/cronaca/italia-riparte/2020/05/21/news/l_edilizia_delle_scuole_per_ripartire-257188575/

https://www.corriere.it/cronache/20_maggio_11/scienza-non-sa-insegna-vivere-dubbio-cdff435e-92f3-11ea-88e1-10b8fb89502c.shtml

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