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La nuova partenza dell’Italia può nascere da una zona economica speciale di salvaguardia

Il rischio di una recessione globale determinata dal lockdown successivo al COVID-19, prefigura il congelamento di gran parte delle economie nazionali e globali su una scala tale da non essere mai stata vista prima dagli anni ’30.

Per aiutare nell’immediato il mondo produttivo italiano a ripartire con vigore bisogna assicurargli concretamente un ambiente operativo business-oriented, dove il regime applicato sia molto più coerente con le esigenze delle imprese. Pertanto per rendere appetibile il Sistema Paese bisogna ricorrere all’impiego di strategie di ripresa economica imperniate anche sull’impiego sistematico delle Zone Economiche Speciali – ZES. Il contributo di questi strumenti per l’accelerazione dello sviluppo economico è notevole, e trova conferma anche in un’analisi condotta nel 2019 dalla Banca Mondiale, secondo cui il tasso di crescita medio nelle ZES è stata in media del 14,7%, ossia  maggiore dell’11,56% della crescita media rilevata nel resto del mondo.

D’altronde in una situazione similare, ossia la Grande Depressione, esiste un precedente che conferma tale assunto: in quel periodo si ebbe il primo utilizzo di ZES proprio negli Stati Uniti quando il Congresso creò le “foreign trade zones” per alleviare gli esportatori dalle tariffe punitive imposte dal Smoot-Hawley Tariff Act del 1930.

Tuttavia in Italia bisognerebbe adottare una nuova impostazione sulle ZES, diversa da quella sinora utilizzata. Il regime normativo adottato in Italia in tale materia si è rivelato inadeguato, frazionato com’è in diverse successive modifiche ed integrazioni, troppe in poco più di due anni (dal varo del d.l. n. 91 del 20 giugno 2017 «Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno» convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2017, n. 123) comprese quelle contenute nella Legge di Bilancio 2020.

L’Italia è l’unico Paese al mondo che, nell’introdurre le ZES sul proprio territorio, anziché procedere all’emanazione di una legge organica dedicata alla regolamentazione in maniera compiuta di tali strumenti, ha adottato un approccio immotivatamente minimale, dedicando ad hoc soltanto due articoli come corpus fondamentale, inseriti in un più ampio testo normativo avente un oggetto diverso (la crescita economica del Sud Italia). Salvo poi essere state emanate norme successive, di rango secondario e di rango primario, ma queste ultime contenute in testi normativi “omnibus” o comunque di diversa finalità, nonché, per di più, non emanando disposizioni di dettaglio (inutilmente attese) esaustivamente chiarificatrici della reale portata di alcuni incentivi proclamati nella norma base (ad esempio, questo è il caso delle semplificazioni amministrative).

 Il tutto ha prodotto uno stato di precarietà normativa “permanente”, con conseguente generazione di una situazione di estrema confusione e incertezza operativa sia da parte degli enti territoriali tenuti all’iniziativa di richiesta di istituzione delle ZES e della redazione dei Piani di sviluppo strategico, sia da parte degli investitori, impossibilitati ad avere una chiara definizione ex ante dello scenario regolamentare ed operativo nel quale si accingono ad investire le proprie risorse economiche. Ciò è grave perché talvolta anche soltanto l’esatta, chiara, compiuta e, soprattutto, stabile esposizione del novero dei diritti e dei doveri garantiti da una legge può fare la differenza nel rendere conveniente la realizzazione di un’attività di impresa e, quindi, nel fornire oggettivamente gli indicatori per una limpida prospettazione circa la redditività o meno di un investimento.

L’evidente fallimentare start-up finora delle ZES in Italia è in gran parte riconducibile al modello delineato dal frammentato quadro normativo, dal quale è scaturito tutt’al più un simulacro di ZES, che non corrisponde per l’entità delle agevolazioni e dei benefici previsti alle vere ZES unanimemente riconosciute come vincenti a livello internazionale. Inoltre non appare ottimale il regime di governance prescelto, pur dopo le modifiche introdotte, con la Legge di Bilancio 2020,ù alla composizione dei Comitati di Indirizzo, che ha di fatto comportato un ulteriore ampliamento e frazionamento della governance, vale a dire proprio ciò che nell’essenza finisce per “complicare ed appesantire” anziché “semplificare”, l’attività di gestione delle ZES e le attività delle imprese che intendono investirvi.

Quanto alle agevolazioni amministrative, il tema delle semplificazioni come è affrontato, le rende inconsistenti, anche considerando che l’Italia ha il poco invidiabile primato di avere, forse, il più burocratico apparato amministrativo del mondo, con un gravoso sistema legislativo e regolamentare, molto elefantiaco, confuso, frammentato e carente (si vedano gli ultimi rapporti internazionali) che non può che scoraggiare qualsiasi imprenditore, anche il più ostinato, desideroso di investirvi.

Quindi la strategia di cui adesso il Paese ha bisogno per il suo rilancio e per essere veramente competitivo dovrebbe essere imperniata sull’implementazione di tali eccezionali strumenti di accelerazione dello sviluppo economico, ma sul piano nazionale, attraverso il single approach declinato attraverso una Zona Economica Speciale “di Salvaguardia” dell’intero patrimonio produttivo nazionale che è in grave pericolo (anche in relazione a possibili rischi di speculazioni internazionali) per le ragioni sinteticamente indicate di seguito.

1. Avvalendosi delle agevolazioni previste secondo l’evoluzione funzionale delle best practices presenti nelle migliori ZES al mondo, è la strategia più efficace per l’insediamento di nuove imprese, l’attrazione di FDI e per la sopravvivenza nel lungo periodo delle imprese italiane già esistenti che supereranno questa crisi. In particolare, bisognerebbe rendere più incisivi i benefici fiscali previsti, introducendo un’effettiva defiscalizzazione, a favore di nuovi insediamenti o di imprese preesistenti, nel rispetto della Carta degli Aiuti a finalità regionale attualmente vigente per l’Italia, la cui durata dovrebbe riguardare un periodo ragionevole al recupero degli investimenti. Il semplice impiego del credito d’imposta è assolutamente risibile, se comparato con i benefici presenti in altri Paesi.

A tale riguardo si rifletta sul motivo per cui le multinazionali dovrebbero investire in Italia, quando nelle vere ZES ubicate ad esempio in Polonia le stesse godono all’atto dell’insediamento di un’effettiva esenzione dal pagamento di gravose imposte (ad esempio quella sul reddito delle società per determinati periodi di esercizio) e non devono assolvere subito, come avverrebbe se investissero in Italia, all’obbligo tributario, salvo poi attendere nel tempo la restituzione parziale dell’imposta versata. Inoltre è indifferibile la svolta epocale di una modifica strutturale dell’ambiente amministrativo italiano in cui si muove sempre più con difficoltà l’imprenditoria italiana ed estera. Secondo l’analisi del 2019 condotta dal World Economic Forum su 141 Paesi, l’Italia è 96esima per efficienza amministrativa, 138esima per quantità e complessità della regolamentazione governativa. Come è stato affermato “La burocrazia è lo Stato immaginario accanto allo Stato reale”, ed appunto le imprese italiane ora hanno bisogno di più concretezza e, in buona sostanza, il “modello Genova” dovrebbe diventare la regola.

Tale “regola” potrebbe godere di un’occasione unica per una sua collaudata replicabilità, se attuata all’interno delle ZES in cui potrebbero rappresentare situazioni in cui l’Italia si apre sperimentalmente a nuovi modelli istituzionali, giuridici, amministrativi ed organizzativi, in modo da costituire «zone straordinarie» in cui la realtà richiede di norma una decisionalità amministrativa c.d. “a km zero”, ed in cui qualsiasi fase decisionale coinvolgente le amministrazioni pubbliche, pur rispettando le prerogative di carattere pubblicistico, sia concretamente «business-oriented».

Il modello della «burocrazia meccanica», che caratterizza la Pubblica Amministrazione italiana, fin da quando, nel 1861, è stato scelto, in continuità con la tradizione amministrativa del Regno di Sardegna, presuppone un contesto esterno statico ed omogeneo, tale per cui l’organizzazione vi si può rapportare attraverso comportamenti ripetitivi e standardizzati. Nella gamma delle forme organizzative, sull’estremità opposta può collocarsi il modello della «adhocrazia», che definisce un’organizzazione composta da elevate e poliedriche professionalità, intensamente predisposta ad adattarsi alle contingenze, ed abilitata ad agire con un’ampia autonomia operativa e decisionale.

Il complesso sistema giuridico-amministrativo italiano si rapporta alla realtà esterna restando di norma indifferente, salvo casi straordinari, in cui esso accetta, eccezionalmente, di “saltare”, non essendo assolutamente attrezzato per concepire la propria funzionalità in relazione “organizzata” con l’ambiente sociale.Secondo il nuovo approccio allo strumento della ZES, per realizzare un’efficace “semplificazione” è innegabile che la scelta dell’adhocrazia, in luogo della burocrazia meccanica, dovrebbe costituire il necessario ed unico paradigma organizzativo di governance prescelto per far funzionare le ZES, nell’ottica di consentire il conseguimento dell’obiettivo per il quale esse sono state concepite e realizzate: ossia l’accelerazione dello sviluppo economico, attraverso una migliore condizione di operatività garantita alle imprese preesistenti e la maggiore capacità di catalizzazione di nuovi investimenti.

In tal modo sarebbe garantito un livello elevato di qualità della governance nei casi in cui l’ambiente (nella fattispecie, l’ambiente globale dei potenziali investitori) risulta dinamico, tur­bolento ed esigente e richiede, dunque, corrispondenti doti di agilità ed intelligenza anche da parte della Pubblica Amministrazione.La necessaria compresenza di elevate e poliedriche professionalità in capo alle risorse umane da inserire nel modello adhocratico, non è semplice, ma può certamente offrire garanzie di un processo di reclutamento più sensibile al rispetto di criteri concretamente basati sul merito.

 2. Costituisce un eccezionale ambito di incubazione istituzionale business-oriented.Tale strumento, secondo una nuova evoluzione funzionale, costituirebbe un laboratorio sperimentale di scelte strategiche e di politiche innovative, oltre che di eccellenti soluzioni per l’accelerazione dello sviluppo economico.

 3.  Rappresenta un’occasione unica per riposizionare il cluster logistico-infrastrutturale nazionale nelle rinnovate dinamiche delle Global Value Chains che a livello internazionale già si stanno modificando, come effetto “rebound” all’interruzione involontaria che si è prodotta sulle supply chains globali di numerose categorie merceologiche.

 4. Dal punto di vista dell’introduzione di benefici di carattere fiscale esistono le condizioni tecnico-giuridiche nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea per la realizzazione del modello di ZES descritta, proprio perché “di Salvaguardia” di un Paese colpito da un evento di rilevante gravità. Rilevano ad esempio le disposizioni (ma non sono gli unici fondamenti giuridici di tale assunto) di cui all’art. 107, par. 2, lett. b. e , par. 3, lett. b., del TFUE.

5. Di fronte all’oggettiva emersione dei limiti e delle inefficienze dell’attuale sistema economico, consente l’opportunità di rimodulazioni finalizzate a favorire dinamiche di crescita che mettano il più possibile al centro l’uomo.Inoltre potrebbe fungere da contenitore di un programma strategico per il decollo nel nostro Paese della c.d. “Orange Economy“, per garantire la crescita sostenibile attraverso l’innovazione, la creatività, la cultura, e quindi, uno sviluppo che, dopo gli ultimi oltre duecento anni in cui ancora è essenzialmente impostato sui rigidi criteri del razionalismo illuministico, dia finalmente spazio a criteri che favoriscano il conseguimento di obiettivi contenuti nell’Agenda dello sviluppo sostenibile 2030.

In conclusione, attraverso l’adozione di una Zona Economica Speciale “di Salvaguardia”, non è peregrino pensare che l’innovativo filo conduttore comprendente Zone Economiche Speciali, Semplificazione, Adhocrazia e Merito, sia il percorso auspicabile per assicurare una ” Nuova Partenza” dell’Italia.

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