Fondi europei, misure di emergenza, aiuti. Tutte parole che impensieriscono gli italiani. Alcune simulazioni sulle misure europee, parlano di circa 87 miliardi di euro di trasferimenti e di 91 mld di prestiti, per un totale di 178 mld, pari a quasi il 10% del Pil. Secondo alcuni sondaggi, la maggior parte degli italiani sono abbastanza pessimisti. Non la pensa così Alberto Foà, Presidente di AcomeA Sgr, società di gestione fondi. Tre le ragioni: “La prima è che il debito verrà rimborsato dopo il 2027 ed entro il 2058, di certo non a breve e comunque ben oltre l’utilizzo dei fondi stessi. La Commissione ha aggiunto inoltre che potrà introdurre nuove imposte comunitarie (carbon tax, digital tax), che graverebbero anche sulle multinazionali estere. Pertanto, non è certo che l’onere del rimborso del bond peserà interamente sui singoli bilanci nazionali dei Paesi Ue. La seconda ragione è che la Commissione ha l’opzione di riemettere il debito in scadenza. In quel caso, l’Italia continuerebbe a contribuire per la sua quota degli interessi posticipando il momento in cui versare la sua quota per il rimborso del capitale. Visto che presumibilmente la Commissione si finanzierà a tassi vicini allo zero, stiamo parlando di cifre irrisorie. La terza ragione è che l’Italia potrebbe inoltre risparmiare qualora decidesse di finanziarsi presso la Commissione piuttosto che sul mercato. Il differenziale tra l’emissione oggi di un Btp a 20 anni e di un titolo della Commissione si potrebbe aggirare intorno a 150 punti base (1,5%), che su un di 91 mld equivalgono a un risparmio di circa 1,4 mld all’anno”.
“Rimangono ancora dei nodi da sciogliere che vanno al di là dei numeri – dice Foà – come potremo utilizzare questi fondi? E soprattutto, saremo in grado di farlo? Sul come spendere le risorse, la Commissione parla di tre aree: supporto alla ripresa con particolare attenzione su riforme e investimenti pubblici; aiuti al settore privato (anche tramite garanzie o iniezioni di capitale); spese sanitarie. Chiaramente, parlando di fondi comunitari, l’Italia dovrà presentare progetti di spesa e farli approvare, come sempre avviene”.
“Inutile dire che i progetti presentati in extremis per non perdere i fondi assegnati sono di minor qualità, sia per l’ovvia osservazione che fare gli investimenti prima è meglio che realizzarli dopo, specie in un contesto di domanda aggregata debole, sia perché, presumibilmente, non hanno lo stesso respiro di quelli presentati per tempo ma vengono presentati in tutta fretta giusto per non lasciare un’opportunità completamente sprecata – ha detto Foà – voltiamo pagina, durante gli ultimi anni, l’Italia ha dovuto tenere i conti in ordine per mantenere il suo avanzo primario intorno all’1,5% del Pil nonostante una congiuntura difficile. Per fare questo, il governo ha tagliato la spesa pubblica per investimenti dal 3,7% del Pil (2009) al 2,3% nel 2019. Nello stesso periodo, gli investimenti pubblici in rapporto al Pil in Germania sono saliti e in Francia sono scesi molto meno che in Italia. In questo contesto, l’utilizzo completo e tempestivo dei fondi strutturali per l’Italia sarebbe stato certamente un contributo importante per frenare la discesa degli investimenti – ha spiegato Foà – sapremo fare tesoro degli insegnamenti di altri paesi europei che da anni hanno messo in piedi vere e proprie task force per assicurarsi che i fondi vengano utilizzati tempestivamente e in pieno? Riusciremo a darci una strategia e a mettere insieme un piano di medio periodo per realizzare quelle infrastrutture di cui si parla sempre, per impostare la scuola, la ricerca e la formazione per fare fronte alla competizione internazionale, un piano idro-geologico di tutela del nostro territorio, per migliorare la sanità, digitalizzare la giustizia e la pubblica amministrazione, e migliorare la viabilità e la rete ferroviaria al Sud? Sono queste le vere questioni che il Recovery Fund pone alla nostra classe dirigente. Risorse per investimenti pari al 10% del Pil costituiscono un’opportunità epocale, che non va sprecata”.








