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Francesco Grillo (economista): «Ecco i nodi della scuola che neppure Draghi riesce a sciogliere»

1.515.619 dipendenti. Se consideriamo anche i supplenti e il personale ausiliario e escludiamo quella “paritaria”, la Scuola italiana è la diciassettesima più grande organizzazione del mondo per numero di lavoratori. Bastano questi numeri per dare contezza di quello che è il problema più grosso dell’Istituzione alla quale è affidata la più formidabile leva di crescita economica potenziale e di coesione sociale che abbiamo a disposizione. Il problema è, infatti, semplicemente che un’organizzazione così complessa e in un Paese così lungo non può essere gestita centralmente da un Ministero.

La vera riforma di cui la Scuola ha bisogno è quella di dare strumenti e autonomia ai singoli istituti scolastici e il caos che probabilmente – che lontani dal clamore dei giornali – stanno vivendo insegnanti e studenti in questi giorni, è solo l’ennesimo riflesso di un problema organizzativo che nessuno ha avuto il coraggio di affrontare.

Il decreto-legge con le misure di contenimento del covid-19 nelle scuole interviene tardi e in maniera parziale rispetto alla raccomandazione di Mario Draghi di dare alla scuola priorità assoluta. Tardi perché la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale è arrivata il giorno lavorativo precedente a quello della data prevista per il ritorno nelle aule e ciò significa che non c’è stato il tempo di organizzarsi. Ma anche con forza non sufficiente a risolvere i paradossi che hanno messo il diritto allo studio di milioni di studenti dietro alla libertà individuale di chi ha deciso di non vaccinarsi.

Pochi sanno, infatti, che, per effetto di un intervento del garante della privacy, ad un adolescente viene chiesto di esibire le certificazioni verdi per accedere ad una pizzeria ma non per entrare nella propria aula. Che per dieci diverse malattie quasi eradicate, esistono da anni obblighi vaccinali per iscrivere i bambini alla scuola dell’infanzia e a quella elementare, mentre dopo due anni ciò non si applica per la pandemia che ha fermato tutto.
 
Le difficoltà di chi ha scritto il decreto riflettono però antichi problemi di tipo organizzativo e politico. Del resto, è un errore persino parlare di emergenza pandemica come essa sia la stessa dovunque: in grandi città e in campagna; in regioni che hanno Asl che funzionano ed altre dove non rispondono neppure al telefono. Troppo fragili e troppo poco autonome sono però le scuole italiane per adattarsi a situazioni diversificate.

I dirigenti scolastici sono poco più di ottomila e, dunque, ogni istituto scolastico ha mediamente un solo coordinatore per 130 dipendenti e mille studenti. Alla responsabilità non corrisponde, del resto, alcun potere: anche solo per sostituire il vetro di una finestra, la scuola deve aspettare l’intervento dell’ente locale al quale appartiene l’immobile che la ospita.

È lo stesso Pnrr, però, che dimentica di approfittare dell’occasione storica per realizzare la riforma – quella dell’autonomia – centrale e restata sulla carta da vent’anni (furono i ministri Bassanini e Berlinguer i primi a introdurre la nozione). Ed, invece, lo stesso “dibattito” è, ancora una volta, totalmente perso su questioni di principio del tutto astratte.

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