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Ecco che cosa resta del boom del 2021-22 | L’analisi di Sergio De Nardis

I motivi che hanno portato l’Istat a rivalutare, nei conti nazionali, il Pil del 2021 (+2,1% in valore, +1,3 in volume) sono di fatto evidenziati in modo dettagliato nel recente comunicato dell’Istituto di statistica sui conti economici delle imprese. Dai dati Istat si evince che l’uscita dalla pandemia è stata una sorta di boom per le imprese italiane, con forti rialzi di tutte le grandezze fondamentali del conto economico. Gli incrementi a 2 cifre di valore aggiunto, fatturato, margini operativi e anche costo del lavoro hanno più che compensato le cadute del 2020, posizionando tutte le variabili al di sopra dei livelli del 2019, cioè prima della pandemia. Il miglioramento è stato diffuso settorialmente e dimensionalmente.

La parte del leone l’hanno fatta le costruzioni, il cui valore aggiunto è aumentato del 37% (anche per effetto, evidentemente, dei bonus edilizi), ma rialzi del 20% si osservano nell’industria e nei servizi. Dal punto di vista dimensionale, la sorpresa è nel fatto che il miglioramento in termini di valore aggiunto è stato relativamente più marcato per le micro imprese (sotto i 10 addetti) e per quelle piccole (tra 10 e 50 occupati). Data la crescita più contenuta dell’occupazione, queste evoluzioni si sono accompagnate a una consistente risalita della produttività nominale del lavoro sopra i livelli del 2019 in tutte le classi dimensionali e nei principali macrosettori. Di fronte a dati così positivi sorgono almeno un paio di domande.

La prima è se il processo si sia esaurito col 2021. Per una risposta si dovrà attendere la prossima rilevazione annuale delle statistiche di impresa. Tuttavia, si può presumere da vari indicatori che anche il 2022 sia stato un anno di effervescenza, in particolare nei servizi.

La seconda domanda, avanzata dagli scettici, è se un simile dinamismo fu vera gloria. Il 2021-2022 è stato un periodo straordinario di rimbalzo, sospinto da una politica fiscale nazionale, oltre che monetaria europea, eccezionalmente espansiva. Ci si deve attendere che, col venir meno degli stimoli, i guadagni si annullino? È una giusta preoccupazione che richiama, però, alcune osservazioni. Innanzitutto, alla luce dei risultati conseguiti l’esperienza del 2021-22 non va archiviata come condanna della politica fiscale espansiva: droga che ha fatto esplodere il debito pubblico. Al contrario, quella politica (Conte-2 e Draghi) si è rivelata una scelta corretta da fare in quelle circostanze. Scelta che è invece del tutto mancata nelle due precedenti recessioni: vi fu errore allora, non oggi.

Accanto a ciò, occorre considerare che gran parte dei miglioramenti delle imprese, resi possibili anche dal forte rialzo ciclico, sono destinati a permanere al di là della congiuntura, essendo il frutto di investimenti e decisioni non reversibili. Nell’affrontare le correnti necessità di riequilibrio fiscale si parte, quindi, da una base strutturale più solida di quella di 12 anni fa, ai tempi dell’austerità pro-ciclica. Le spinte recessive si faranno naturalmente sentire, ancor più se le future regole di bilancio non terranno adeguatamente conto delle esigenze di sostegno delle economie, ma la situazione odierna si presenta diversa dal 2011.

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