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Dalla “pace fiscale” all’andiamo in pace. L’occasione dello stop forzato come ground zero della trasparenza.

Il momento a tratti surreale, nel quale ci siamo ritrovati immersi nel volgere di pochi giorni, ha travolto il nostro stile di vita, le nostre abitudini ma, purtroppo, corre il rischio di non cambiare il nostro modo di pensare.

L’emergenza nella quale sono precipitate le più produttive regioni del nord (e dell’Europa) ha impressionato le coscienze degli italiani e scosso sin alle fondamenta il nostro tessuto economico, produttivo, industriale, commerciale, sociale: è suonato il gong, con il più silenzioso dei rintocchi. I pugili, ancora rapiti dalla trance agonistica e dal fluire impetuoso del match, si sono rivolti ai loro angoli ed, attoniti, storditi, hanno capito di dovervi rientrare per attendere. Ed attendere. Ed ancora attendere.

L’intervento messo in campo dal governo, pur se incalzato da eventi la cui novità, non inedita nella storia dell’umanità, lo è per gli uomini dei tempi moderni, ha fornito una risposta che rende plasticamente le distanze che corrono fra le due anime da cui è abitato il Belpaese.

Mentre il Nord si affrettava a chiedere di non chiudere le aree produttive e si inneggiava alla forza italica, che tutto sconfigge e tutto travolge sotto l’hashtag #milanononsiferma (di lì a poco seguito da Bergamo), a distanza di pochi giorni, circolavano sui social inquietanti (e talvolta minacciose) disperate richieste di aiuto dalle regioni del Sud. Non richieste di sostegno alle imprese: richieste di un aiuto economico capillare, diffuso, di versamenti sui conti correnti delle famiglie, per fare la spesa, per tirare avanti.

Non, quindi, il grido di dolore di un ceto produttivo, che chiedeva di non imbrigliare il cavallo vincente ma il pianto disperato di una madre, che chiedeva di poter sfamare i propri figli. Le due Italie che abbiamo ignorato per molti anni, unite da un grande amore vissuto nel passato ma ora separate in casa, con vite e prospettive di futuro differenti, tenute insieme da un vessillo, sotto la cui dignità molti di coloro che ci stanno lasciando in queste ore tristi, hanno saputo riunirsi, ritrovarsi dopo gli anni bui del dopoguerra.

Quale risposta si sta dando a queste domande, in un momento di grande incertezza per il futuro non solo del Paese ma del sistema europeo? L’unica verosimilmente percorribile, per quanto scontata ed onerosa: liquidità e debito pubblico.

Il tema dei costi è, infatti, centrale: tramontata l’epoca del piano Marshall, ora come ora, nessun pasto è gratis. Qualcuno pagherà: saremo noi, i nostri figli, le generazioni future.

Manca, però, all’appello dei paganti la stessa categoria: coloro che, prima come ora, non si sono sentiti coinvolti dal dovere di solidarietà che sottende alla contribuzione pubblica.

Il popolo degli evasori, ancora una volta, rischia di farsi beffa dei mille balzelli che (è nato prima l’uovo o la gallina?) questo sistema – si conceda la metafora beffarda – in perenne crisi di ossigeno finanziario, intrappolato in una terapia intensiva senza fiato e senza fine, impone ai suoi cittadini per sostenersi, più o meno traballante, anche se con grandi risorse di uomini e di energie, come i fatti stanno dimostrando. E ciò che più preoccupa è che dopo questo momento di interruzione del sostentamento “a nero”, la terapia che si proponga sia quella di allargare ancor più le maglie, per recuperare il tempo perduto, con la consapevole, bonaria connivenza del poliziotto “buono”, che si gira dall’altra parte, per tollerare ciò che viene riguardato sotto le vesti di un furto “di necessità”.

Costoro, quindi, non soltanto non hanno contribuito prima, rendendo ancor più esigue le già magre risorse di uno stato plurindebitato, che ha inopinatamente pensato di far cassa tagliando posti letto e saccheggiando gli utili delle imprese dell’emerso, ma, in prospettiva, rischiano di lucrare ulteriori fondi ora che, per effetto delle misure messe in campo in un momento di straordinaria difficoltà per tutti, assumono un valore strategico per la stessa sopravvivenza di un Paese, che voglia anche solo pensare di tornare ad un livello non abissalmente distante dal precedente. Ebbene, oltre il danno, la beffa.

Quali strumenti allora? Il sommerso di ieri sarà il sommerso di domani. Non deve necessariamente essere così.

I momenti di crisi costituiscono anche l’occasione per ripensare rapporti ed equilibri. Naturalmente, il grido di dolore che proviene da famiglie, imprese, comunità non può cadere inascoltato: le misure ci sono e si miglioreranno con il tempo ma questa potrebbe essere l’occasione per “riallineare” il reale con il virtuale, l’emerso con il sommerso, con beneficio di tutti coloro che partecipano alla vita economica di questo Paese, accollandosene pesi e responsabilità. Se il reddito dichiarato in passato poteva essere influenzato da una componente “occulta”, perché proveniente da pagamenti “in nero”, ebbene potrebbe concedersi la possibilità di farne esplicita dichiarazione, indicandone, da parte dei beneficiari, i soggetti in precedenza eroganti.

A questo punto, il volume dei sussidi potrebbe essere proporzionato all’effettiva capacità reddituale conseguita, comprensiva anche dei redditi non dichiarati, con ogni immaginabile beneficio. Naturalmente, ciò che costituisce reddito non dichiarato per il beneficiario deriva da un reddito prodotto da forza lavoro non esposta. Colui che la impiega, giovandosi della prestazione resa sottobanco, abbatte il proprio volume d’affari e sottostima le potenzialità della propria attività, senza che il reale costo del personale ingeneri nell’Amministrazione finanziaria il sospetto di occultamento di ulteriori ricavi conseguiti.  

Introducendo questa voluntary disclosure per coloro che intendono accedere ai sussidi nella loro reale dimensione, si consentirebbe di acquisire elementi di conoscenza utili per la ricostruzione del volume d’affari e dei redditi conseguiti da parte dei datori di lavoro, cui commisurare misure di sostegno adeguate alle reali necessità del richiedente e “spezzando” il circolo del nero, alimentato da sottostrutture, spesso di matrice criminale, che indeboliscono il potere contrattuale del prestatore d’opera e ne assottigliano il salario, inducendo un perverso effetto di dipendenza dalla “droga” del nero.

Per altri versi, questo sistema consentirebbe di ridimensionare – penalizzandoli in modo proporzionale – gli accessi al credito per le imprese che, evidentemente, giovandosi in passato di profitti non tassati, avrebbero potuto (e dovuto) reinvestirli nel sistema aziendale. Inoltre, il relativo reddito potrebbe essere ricomposto alla luce delle nuove emergenze, anche all’esito di un’eventuale fase di bonaria composizione che assicuri, per il passato un recupero a tassazione fissa e, da quel momento, un nuovo punto di incontro convenuto tra le parti rispetto alla propria posizione fiscale, in aperta trasparenza.

E con un valido rientro dell’attività attualmente sospesa per l’intera Guardia di finanza che, senza intrappolare contribuenti e risorse umane, ancor più disperatamente necessarie sul territorio in un momento così delicato, possa contribuire, con analisi da remoto ed incrocio dei dati, alla corretta verifica delle posizioni interessate, senza l’applicazione di sanzioni ma in condizioni di reciproca e leale collaborazione, per una nuova ripartenza dalla ricostruzione del ground zero della trasparenza. Inoltre, e non pare secondario, una più oculata gestione delle garanzie consentirebbe un risparmio complessivo per il bilancio dello Stato, chiamato ad onorare i prestiti in caso di insolvenza del garantito, ed una più equa e allargata distribuzione sull’intera platea dei potenziali beneficiari.

Come noto, riprendendo un vecchio brocardo, nemo tenetur se detegere, cioè nessuno è tenuto a fornire prove contro se stesso: ebbene, in questo caso, senza andare alla ricerca del colpevole ma, viceversa, della soluzione, si potrebbe ottenere che la pandemia costituisca il punto di partenza di una nuova epidemia: quella della ripartenza fiscale, che faccia ammenda del passato ma che funga da strumento di coesione e di solidarietà per il futuro.

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