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A chi appartiene la scuola? L’Italia deve ripartire da una riforma dal basso del sistema educativo

Se volessimo davvero elaborare strategie d’innovazione a seguito della prima pandemia globale nell’era di Internet e della comunicazione social, da cui scaturisce la crisi più drammatica dal secondo dopoguerra, non possiamo fare a meno di mettere al centro la questione educativa, vero motore di ogni cambiamento trasformativo.

Sono necessari investimenti per combattere l’ineguaglianza educativa che è fattore determinante della fragilità sociale e della bassa competitività del Paese. In questi tempi di morte, sofferenza, incertezza e di impoverimento personale e collettivo nei quali talvolta la speranza sembra venire meno è necessario non restare prigionieri dell’oggi, ma dobbiamo essere spinti a guardare al domani.

Possiamo affermare con Hannah Arendt che “una crisi ci costringe a tornare alle domande, esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto e si trasforma in una catastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giudizi preconcetti, ossia pregiudizi, aggravando così la crisi e per di più rinunciando a vivere quell’esperienza della realtà, a utilizzare quell’occasione per riflettere, che la crisi stessa costituisce”.

Questi tempi fanno emergere sempre di più quello che uno ha davvero a cuore e quello che uno  davvero è. Empatia, immedesimazione nell’altro, capacità di accoglimento, comprensione non possono essere  considerate competenze di secondo piano.

Chi insegna deve saper trarre da questo periodo di didattica on line l’unità tra fare e conoscere per una nuova modalità di vivere la scuola, che dal punto di vista metodologico, deve iniziare dall’infanzia dove devono entrare in gioco finalmente la relazione col mondo reale, l’unione tra l’empatia, l’immedesimazione, il fare, il riflettere e il conoscere, gli aspetti relazionali e non unicamente razionali, quindi quelle capacità che oggi la moda anglofila chiama soft skills.

Ciò che si richiede per ripartire sono qualità come responsabilità, capacità di agire in maniera cooperativa (non ci si salva da soli), estroversione. Recentemente, gli studi di James J. Heckman hanno messo in luce l’importanza, per la definizione di capitale umano, dei non cognitive skill o soft skills, cioè i tratti della personalità, gli aspetti del carattere e le dimensioni socio-emozionali, “le cinque grandi dimensioni”: apertura all’esperienza, coscienziosità, amicalità, estroversione, stabilità emotiva.

Sono gli aspetti  meno meccanici e standardizzabili che pongono domande radicali alla scuola e ai sistemi scolastici: oltre all’apprendimento tecnico, è dunque necessario un atteggiamento positivo, proattivo e determinato rispetto alla realtà in qualunque circostanza e alle incombenze educative e professionali. Dopo il coronavirus e la didattica on line trasmettere dei contenuti in senso stretto non basta più: occorre unire competenza disciplinare e competenza empatica, competenza relazionale (anche a distanza) con minori e adulti e competenze di resilienza e di generatività continue.

Occorre “mostrare” ciò che si vuole insegnare, far sperimentare i ragazzi così da attivare e provocare tutte le loro potenzialità. In questo mondo di cambiamenti  tumultuosi  e insicuri si sta rendendo evidente quanto l’educazione e l’istruzione siano attività umane imprevedibili che richiedono l’apertura alla realtà tutta.

Per ripartire è questo il tempo, non di un accanimento riformista, bensì di una fase straordinaria di “riforma dal basso”: monitorare quanto realizzato e rintracciare le energie diffuse nelle scuole e nelle comunità al fine di metterle in condizioni di rigenerare pratiche educative e formative a seconda delle necessità proprie del nostro tempo.

E’ giunto il tempo di spostare il focus dai tavoli ministeriali alla vita quotidiana, animando un movimento di “scuole aperte e generative” che si associno intorno ad un disegno di riforma “dal basso” che permetta alle istituzioni scolastiche autonome di concentrarsi su ciò che è veramente importante: curricolo essenziale, attrazione e tenuta degli allievi, successo formativo, inclusione ed eccellenza,  qualità delle alleanze educative nei territori e service learning. 

Per ripartire è necessario rispondere ad una semplice domanda: a chi appartiene la scuola? Non si può delineare un quadro istituzionale chiaro se non si decide previamente se la scuola italiana debba restare in capo ad uno Stato centrale efficiente ed organizzato (ammesso che sia oggi possibile), o debba trasferirsi alle regioni, oppure se debba appartenere alle comunità locali ed ai soggetti sociali che la costituiscono.

Il vero e grande valore dell’autonomia sta nel consentire alle scuole di esercitare la responsabilità di rispondere ai bisogni delle proprie comunità e dei propri ragazzi. Riprendere attraverso una costituente sulla scuola un dibattito sull’autonomia scolastica è compito serio ed urgente per il quale occorre prendere decisioni chiare e impegni forti.

Per ripartire occorre guardare con attenzione pratiche ed esperienze educative che hanno generato nelle città e nei municipi “scuole aperte” e “patti educativi territoriali” con alleanze educative che coinvolgono scuole autonome, insegnanti, alunni, genitori, nonni, singoli cittadini, enti locali, associazioni,  fondazioni, università enti profit e non profit.

La sfida odierna consiste nel costruire intorno alle scuole le condizioni dell’incontro fiducioso e del dialogo reciprocamente arricchente tra i vari attori della scena sociale ed educativa, entro un agire comune, affidandosi alle forze vitali delle persone e delle comunità, vivificate dall’entusiasmo e dalla speranza e dal desiderio di bene per gli altri, la sete di bellezza e di verità, la ragionevolezza, il piacere di contribuire alla ripartenza del Paese. 

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