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Michele Ainis (costituzionalista): «Green pass: giusto lasciare fuori scuola, trasporti e lavoro»

Il passaporto sanitario, adoperato per prendere parte a determinate attività sociali, ad alcuni non va proprio giù. Come spiega Michele Ainis, «il Green Pass costituisce un requisito, non un obbligo», o meglio «un requisito obbligatorio», perché «se ne sei privo, rinunci a buona parte della tua vita sociale». Entrando nello specifico, Ainis spiega come l’obbligo, per essere considerato legittimo, deve rientrare in limiti prescritti «dalla Carta costituzionale e dal buon senso».

«Primo: occorre una legge. La pretende l’articolo 32 della Costituzione, affinché una scelta così drastica venga discussa in Parlamento. E la legge dovrebbe poi riflettere un criterio di gradualità, d’applicazione progressiva e temperata, giacché ogni misura sanitaria obbligatoria si situa sul crinale fra libertà e doveri», spiega Ainis.

«Secondo: l’obbligo dev’essere esigibile. Può sembrare ovvio, invece non lo è. Quasi la metà degli italiani non ha ancora completato il ciclo vaccinale; e in 20 milioni non hanno ricevuto alcuna dose. Se corressero tutti insieme a vaccinarsi, la loro richiesta non potrebbe venire soddisfatta. Terzo: l’estensione del Green Pass. Dipende dalla situazione di fatto, e dipende dai diritti in gioco».

«Oggi c’è un allarme, non un’emergenza assoluta come un anno fa, con gli ospedali saturi e centinaia di morti al giorno. Dunque, è lecito comprimere un ventaglio di diritti secondari. Non però i diritti che la Costituzione stessa dichiara “fondamentali”: è il caso del lavoro, così come della libertà di circolare su ogni mezzo di trasporto. Qui e oggi» conclude «è stato perciò giusto lasciare fuori dal decreto la scuola, i trasporti e il lavoro». 

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