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Tiziano Treu (presidente Cnel): «Smart working diffuso in tutte le realtà. È moltiplicatore di produttività e di benefici per le aziende»

Tiziano Treu, presidente del Cnel, si sofferma, nella newsletter di Nuovi Lavori, sull’importanza dello smart working per il futuro del lavoro. «Una cosa sicura fra tante incertezze è che lo Smart working non è più un fenomeno di nicchia, ma è diffuso in tutte le realtà, ed è destinato a restare oltre l’emergenza. Lo mostrano i dati sia italiani sia di tutti i paesi avanzati. Secondo un rapporto recente dell’Ocse il 39% dei dipendenti privati, con punte del 60-70% nelle aziende tecnologiche di punta, ha già utilizzato il lavoro a distanza e intende continuare a farlo».

Un utilizzo ormai consolidato, ma con modalità di applicazione ancora diverse. «Le esperienze italiane raccolte anche dal Cnel mostrano che la forma più semplice, e ancora molto diffusa, di lavoro a distanza comporta un mero decentramento del lavoro a domicilio del dipendente. Questa modalità di utilizzo non ha valore innovativo e anzi può presentare aspetti negativi, in particolare per il lavoro delle donne e per la vita familiare come si è già riscontrato nel corso della pandemia. Potrebbe addirittura risolversi in una forma di home-working di massa».

Treu segnala poi una recente indagine del World Economic Forum, che si sofferma su molte buone pratiche adottate, soprattutto dalle multinazionali, per innovare il futuro del lavoro. «Queste pratiche virtuose stanno contribuendo a migliorare le organizzazioni produttive sia enfatizzando le strutture a rete piuttosto che quelle gerarchiche, sia allargando i bacini di utilizzo della forza lavoro oltre i luoghi tradizionali. Le aziende d’altra parte sono stimolate a dedicare risorse senza precedenti ad attività di reskilling e upskilling dei lavoratori che lavorano a distanza».

Lo Smart working può quindi essere alleato delle aziende per migliorarle. «Può contribuire al raggiungimento di obiettivi di crescita e di sostenibilità non solo economica ma ambientale e sociale, con benefici per i lavoratori e per l’intera comunità aziendale. Le implicazioni positive per la qualità aziendale e del lavoro possono andare dalla riduzione dei tempi e dei costi degli spostamenti dei dipendenti, al miglioramento del work life balance, al miglior utilizzo degli spazi di lavoro, alla riduzione dei rischi di infortuni».

Ma non solo. Per il presidente del Cnel, i benefici di questo strumento stanno anche nella fase pandemica acuta, di marzo-aprile. «Le esperienze italiane durante la emergenza Covid hanno mostrato che lo Smart working può contribuire anche alla evoluzione e alla intensificazione delle misure di Welfare, in particolare a diffondere e a rendere più accessibili le misure di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Dall’altra parte, le stesse esperienze indicano che per sfruttare le potenzialità di questo strumento è necessario un profondo rinnovamento delle politiche del personale. Ai responsabili di questa funzione si richiede un maggior impegno per integrare le persone che operano in assenza di ambienti fisici comuni. Per aiutarle a supplire ai deficit di socializzazione e per sostenerli nell’adattamento a un ambiente ibrido di lavoro in presenza e a distanza».

Insomma, molti benefici, ma purché sia assecondato da un profondo rinnovamento delle politiche del personale. Treu espone un auspicio. «La legge italiana del 2017 ha opportunamente scelto di introdurre una regolazione leggera per il lavoro a distanza. Sarebbe sbagliato e in ogni caso prematuro approvare una nuova normativa, specie se fosse fortemente prescrittiva. Le esperienze che si stanno sviluppando in Italia come nel mondo vanno seguite ed estese non ostacolate dalla legge. Promuovere un utilizzo virtuoso del lavoro a distanza, come in generale dei lavori digitali, è una sfida che le parti sociali devono assumere in proprio, perché questa è una delle frontiere principali dell’evoluzione del lavoro futuro».

Serve il contributo di tutti, soprattutto delle parti sociali. Il numero uno del Cnel si rivolge soprattutto a loro, in conclusione. «In particolare al sindacato si offre la possibilità di sfruttare gli spazi di maggiore autonomia e responsabilità individuale offerti ai lavoratori da questo strumento, per costruire anche rapporti collettivi improntati a fiducia reciproca fra le parti e alla ricerca partecipata di soluzioni utili alla intera comunità aziendale. Le esperienze sopra ricordate mostrano che un buon uso dello strumento si deve accompagnare a un maggiore coinvolgimento dei lavoratori. Ora questo coinvolgimento è per lo più sollecitato e orientato da un management illuminato; il sindacato deve saper competere con questo management per fare ai lavoratori proposte convincenti di partecipazione su questo nuovo terreno, trovando vie efficaci di interlocuzione con le aziende».

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