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Terzo polo bancario: ecco il deal di sistema e di politica industriale | Lo scenario

Tra Milano, Siena e Roma prende forma un terzo polo bancario di fatto con una rete commerciale da quasi tremila filiali, una sgr con 200 miliardi di masse gestite, una fabbrica assicurativa vita e un cib di medie dimensioni.

Sarà questo l’esito sostanziale della privatizzazione del Montepaschi che si è conclusa mercoledì 13 novembre con l’intervento di una cordata italiana composta da Banco Bpm, Anima, Delfin e Francesco Gaetano Caltagirone sul 15% ceduto dal Tesoro.

Anche se il collocamento curato da Banca Akros (la corporate bank di Piazza Meda) si è concluso in meno di due ore, la costruzione del progetto ha richiesto due mesi di lavoro a via XX Settembre con diversi cambi di rotta.

Secondo quanto ricostruito da MF-Milano Finanza, le discussioni sulla vendita di una terza tranche dopo quelle cedute a novembre 2023 e nel marzo scorso sarebbero maturate a inizio settembre.

Una prima ipotesi di lavoro prevedeva un collocamento a diversi soggetti istituzionali di mercato tra i quali avrebbe dovuto esserci anche Unipol.

La compagnia presieduta da Carlo Cimbri si era affacciata da tempo sul Montepaschi, ma il dossier a un certo punto si è raffreddato anche nella sua valutazione politica.

Così Roma avrebbe deciso di cambiare rotta per focalizzarsi su un puro accelerated bookbuilding aperto a hedge fund, asset manager e altri investitori finanziari.

Uno schema insomma molto simile a quello adottato con successo nei due precedenti collocamenti.

Questa volta però il team guidato dal direttore generale Marcello Sala si è trovato di fronte a un problema: un nuovo collocamento di azioni Montepaschi sul mercato avrebbe esposto il Tesoro al rischio di perdere il controllo di fatto sulla banca.

In assemblea in sostanza un altro socio forte avrebbe potuto strappare all’azionista pubblico la maggioranza del board senza essere obbligato a lanciare l’opa.

Nel frattempo c’è stato poi l’esempio preoccupante della privatizzazione di Commerzbank.

A metà settembre il governo tedesco decide di collocare una quota della banca sul mercato, ma la situazione sfugge completamente di mano e Berlino si ritrova come primo azionista privato un investitore non gradito e percepito come ostile, Unicredit.

Da qui il terzo cambio di rotta.

Via XX Settembre ha puntato su un’operazione di sistema con una forte componente di azionariato italiano.

Il deal nell’assetto attuale ha preso forma una decisa di giorni fa con il coinvolgimento di Caltagirone, di Francesco Milleri (presidente di Delfin) e di Giuseppe Castagna, ceo di Banco Bpm.

La prima fase dell’operazione è scattata mercoledì 6 novembre con l’opa su Anima, un’offerta pubblica sul 100% della società milanese che non ha colto di sorpresa Caltagirone, socio importante della sgr, e nemmeno le Poste.

Sul mercato però si è capito subito che c’era un’incognita pesante dal punto di vista industriale: il ruolo di Montepaschi, secondo cliente di Anima in quanto distributore dei suoi prodotti di risparmio.

Castagna non poteva restare con il rischio di avere una sgr azzoppata nei ricavi, qualora Mps gli avesse voltato le spalle a scadenza del contratto (2030).

Da qui l’acquisto delle azioni del Monte nel collocamento curato da Banca Akros con un’offerta a premio che ha reso la compagine italiana l’acquirente predestinato delle azioni Montepaschi cedute dal Tesoro.

In più l’operazione dal punto di vista strategico garantisce il governo Meloni circa l’italianità di ben tre istituzioni finanziarie, in un colpo solo, dalle mire di un colosso estero, come per esempio Crédit Agricole che ha già il 9% del Banco.

Insomma, il deal di sistema e insieme di politica industriale che finora pare essere stata benedetta sia dalla politica sia dal mercato.

Diversi ma convergenti gli interessi in campo.

Per Caltagirone e Milleri ci sarebbe una scommessa su un progetto in grado di produrre rendimenti molto interessanti nel tempo e di consolidare il loro ruolo di pivot nel sistema finanziario italiano, già affermato nelle partite Mediobanca e Generali.

Castagna, dal canto suo, avrebbe visto l’opportunità di blindare la preziosa alleanza tra Anima e Banco Bpm e la stessa Mps e, al contempo, di limitare la contendibilità di Banco Bpm.

L’assetto definito dal collocamento non dovrebbe cambiare nel medio termine.

Con in mano il 15% del capitale di Mps ma senza essere parti correlate, Castagna, Caltagirone e Milleri sono oggi in grado di esercitare un’influenza rilevante sulla banca senese e di preservarne l’autonomia.

Non c’è insomma bisogno di un’aggregazione che avrebbe inevitabilmente pesanti costi sociali in termini di esuberi e ridimensionerebbe il ruolo di Siena.

Vedrà così la luce un terzo polo bancario di fatto, con una forte rete commerciale e robuste fabbriche prodotto, una sorta di Intesa Sanpaolo in scala minore.

Con la possibilità di crescere anche nell’investment banking nella direzione di Mediobanca, la merchant di cui Caltagirone e Delfin sono già azionisti con oltre il 27% del capitale.

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