Cosma Panzacchi, responsabile Idrogeno Snam, ha rilasciato alcune dichiarazioni in esclusiva all’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia in occasione del webinar online, dal titolo “Transizione energetica: il futuro che vivremo”. L’evento, moderato da Stefano Laporta, presidente dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), ha visto tra gli ospiti anche Carlo Tamburi, direttore e presidente Enel Italia, Luca Scuccimarra, preside della facoltà di Scienze Politiche della Sapienza, e Vannia Gava, sottosegretaria alla Transizione Ecologica.
L’idrogeno rappresenta uno degli asset fondamentali della transizione energetica così come il Pnrr prevede e il Paese si appresta a fare. Lo scopo di questo webinar chiarire i contenuti di una sfida così ambiziosa, ma anche far comprendere quanto siano decisive le sfide dei prossimi cinque o sei anni, e quanto andranno a cambiare e impattare non solo i modelli produttivi, ma anche gli stili di vita di ognuno di noi. Complessivamente all’idrogeno vengono assegnati più di tre miliardi di euro direttamente e altri per iniziative correlate. Si dovrà inserire un po’ in tutti i processi produttivi. Può approfondire sul tema della necessità e come arrivare al potenziamento delle infrastrutture? Come Snam, all’interno del Pnrr come può essere declinato questo tema e quali impatti avrà sulla vita dei cittadini?
«Le opportunità sono fondamentalmente tre: si tratta di opportunità nel mondo dell’industria, della mobilità e della ricerca. Si tratta di investire risorse, con un effetto leva importante di più di due volte quello che si investirà a livello di Pil, per avere un impatto a valle sullo sviluppo tecnologico e sulla trasformazione di alcuni settori industriali importanti».
«Questi settori includono l’acciaio, la ceramica, il vetro, la carta. Processi per i quali, a causa delle altissime temperature necessarie, è difficile passare a una decarbonizzazione diretta attraverso l’utilizzo delle rinnovabili. Quindi l’idrogeno si pone come ponte naturale fra le rinnovabili e questi settori».
«Nella vita di tutti i cittadini, le altre cose che cambieranno saranno diverse. In primo luogo, nel 2030, è molto probabile che aprendo la porta noi guideremo una macchina elettrica, per muoverci in ambito urbano. E, allo stesso tempo, quando prenderemo la tangenziale, sulla corsia di destra vedremo dei tir e questi saranno probabilmente a idrogeno, perché oggi e domani saranno una maniera meno costosa di trasportare le merci».
«Allo stesso tempo, se siamo dei pendolari, probabilmente vediamo dei treni diesel, laddove non sono stati elettrificati per diversi motivi; alcuni verranno trasformati a idrogeno. Circa il 30% delle tratte che esistono oggi in Italia di treni sono diesel e quasi la totalità di queste potrebbero, economicamente, essere trasformate a idrogeno. Avremo una trasformazione che impatterà nell’ambito della mobilità sia il micro, che il medio, che il macro e addirittura impatterà anche il mondo della navigazione marittima, sulla quale stiamo lavorando con Fincantieri».
«Tutto questo comporterà dei costi. Sicuramente la tecnologia avrà un ruolo chiave per la decarbonizzazione, ma per aumentare il tasso al quale riduce i costi e aumentare la sua efficacia avrà bisogno all’inizio di una sorta di kickstart. E questo tipicamente viene da fondi pubblici. In questo, la presenza del Pnrr, come è stato declinato in Italia, può essere davvero un kickstart importante».
Secondo lei sarà possibile raggiungere questi obiettivi in sei anni? Quali sono le tappe, a grandi linee? Con quale ordine di priorità dovremmo affrontare, anche rispetto alle iniziative per il potenziamento infrastrutturale? Che tipo di interventi occorrerà fare per garantire la sicurezza della rete, dell’approvvigionamento, visto che sarà sottoposta a modifica, se non di struttura, almeno di vettore energetico che dovrà trasportare e distribuire?
«Evidenzierei tre elementi fondamentali. C’è sicuramente un elemento di ricerca, che è finanziato all’interno del Pnrr. È un elemento importantissimo, e non solo per la produzione di idrogeno e l’ottimizzazione delle tecnologie degli elettrolizzatori. Vale anche per la trasformazione delle soluzioni logistiche nella maniera più efficiente possibile. Ad esempio, noi come Snam abbiamo già verificato che più del 70% delle nostre pipelines ad oggi sono a hydrogen-ready, e lo stiamo anche certificando con un ente terzo».
«Quello su cui stiamo lavorando sono anche altri aspetti chiave, sui quali è importante anche la ricerca: lo stoccaggio underground, l’importanza dell’utilizzo di membrane per separare idrogeno e CH4, e poi il tema della misura. Queste sono tutte aree su cui è importante investire in ricerca e sviluppo. Il secondo aspetto, riguardando le infrastrutture richiama alla vocazione delle suddette di essere un trait d’union all’interno del mercato europeo».
«La definizione di common rules a livello europeo, per quanto riguarda la gestione dell’idrogeno, sarà determinante sia dal punto di vista della sicurezza sia nella prospettiva della creazione di un mercato unico. Questa per l’Italia è un’opportunità unica, visto che uno dei principali Paesi che sarà importatore netto di idrogeno è la Germania. Noi, quindi, potremmo proporci come esportatori di idrogeno verso la Germania di idrogeno low carbon verde».
«Il terzo elemento è un elemento regolatorio, di red tape. È assolutamente importante semplificare le procedure amministrative per rispettare le tempistiche previste dal Pnrr».
I prossimi impegni da qui al 2022, cosa è necessario fare per partire e cosa ci aspetta nel prossimo anno e mezzo?
«Facendo un passo indietro anche rispetto al Pnrr, che dimensionalmente è lo strumento più importante, l’Italia da qui al 2022 ha una grandissima opportunità, che attraverso il governo, Enea e una serie di altre aziende sta gestendo in maniera egregia. Quest’opportunità è quella dell’Ipcei. I progetti europei di rilevanza comunitaria sul mondo dell’idrogeno che inizieranno con una prima wave dedicata alle cosiddette enabling technologies, quelle tecnologie sia nella produzione di idrogeno sia nelle fuel cells, sia nell’adozione a valle di enabling technologies nei settori di riferimento».
«Sono tutti settori che, se approvati da Bruxelles, potranno beneficiare di una deroga rispetto alla disciplina degli aiuti di Stato tradizionali. Ecco, questa, secondo me è la prima grande sfida che abbiamo sull’asse dei tempi. Se riusciremo ad affrontare questa sfida – che è fra l’altro è coordinata a livello europeo dalla Germania in questo momento – in maniera efficace avremo l’opportunità di avere i primi progetti di dimensioni non trivial. Quindi non più solo dei piloti da qualche megawatt, ma anche piloti da decine di megawatt e anche magari qualche impianto produttivo di tecnologia nuova, che quindi crea posti di lavoro in maniera materiale già a partire dal 2022-2023».