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“Oltre la Ferita”: i musei, le fondazioni e il per il futuro dopo il Covid 19

La Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze si è fatta portavoce delle istanze e delle riflessioni di alcune tra le più importanti istituzioni culturali italiane, attraverso il webinar “Oltre la ferita.

Musei e fondazioni a confronto al tempo del Covid-19». Hanno preso parte al convegno i rappresentanti del GAMeC di Bergamo, Museo Egizio di Torino, Maxxi – Museo Nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, Gallerie degli Uffizi di Firenze, Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia, Museion di Bolzano, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, Palazzo Grassi – Punta della Dogana di Venezia, Gallerie d’Italia di Milano, Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, le Gallerie Nazionali di Arte Antica Palazzo Barberini e Galleria Corsini di Roma, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Il convegno ha costituito l’occasione per mettere a confronto approcci diversi e stimolare una riflessione su temi come la governance e la sostenibilità della cultura in Italia, le pratiche educative in una nuova idea di comunità e un dialogo sulle nuove possibili forme di partecipazione e comunicazione dell’arte tra fisicità e digitale.

L’evento si è aperto con il saluto del direttore della Fondazione Palazzo Strozzi, Arturo Galansino, che ha sottolineato quanto questo convegno, a cui hanno aderito tanti colleghi di musei e fondazioni italiane, rappresenti «un invito a guardare oltre, cercare nuove prospettive di fronte all’attuale situazione di crisi della cultura. Le sfide che il nostro settore ha di fronte sono grandi e determinanti non solo nell’ottica della riapertura, sempre più urgente, ma anche della ridefinizione del ruolo e dell’identità delle istituzioni culturali verso nuove forme di partecipazione, sostenibilità e mediazione. Oltre a essere un’opera potentissima, La Ferita di JR rappresenta un grido doloroso lanciato dal settore della cultura a un anno dalle prime chiusure. Per Palazzo Strozzi la dimensione digitale è stata ed è fondamentale per mantenere vivo un rapporto con il nostro pubblico, soprattutto rivolgendosi a coloro che più hanno sofferto quest’esclusione. La nostra istituzione ha sentito tuttavia il bisogno di portare l’arte anche “fisicamente” verso la società attraverso l’arte pubblica come dimostrano i progetti di Tomás Saraceno, Marinella Senatore e, oggi, JR. Per quanto riguarda invece la fruizione delle mostre all’interno dei nostri spazi, l’esperienza dello scorso anno ha dimostrato che si può aprire in totale sicurezza realizzando numeri importanti anche dal punto di vista dell’impatto economico. Le riaperture dei luoghi della cultura, con orari ampi e regole precise, possono far tornare i musei nella nostra vita e devono  quindi essere prioritarie nell’agenda politica del nostro Paese anche per favorire la ripartenza dell’economia».

Successivamente è intervenuto il sindaco di Firenze, Dario Nardella, che ha sottolineato quanto la cultura sia «la leva fondamentale per una nuova ripartenza che abbia a cuore un nuovo modello di sviluppo per dare un nuovo slancio a Firenze e all’Italia. È quindi adesso il momento di ridisegnare il destino delle istituzioni culturali attraverso la ridefinizione dei ruoli e delle identità, proponendo un nuovo modello di fruizione museale, riportando l’uomo al centro, conservando la memoria del passato, ma promuovendo la ricerca, sostenendo la creatività, in un confronto sempre aperto e vitale».

Il Capo di Gabinetto Ministero della cultura, Lorenzo Casini, ha invece portato i saluti del ministro della Cultura Dario Franceschini, sottolineando l’efficacia del messaggio rappresentato dall’opera di JR “La Ferita”, per la facciata di Palazzo Strozzi, così come ha fatto Luigi Salvadori, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. A moderare i diversi tavoli sono stati: Tommaso Sacchi, assessore alla Cultura, moda, design e relazioni internazionali del Comune di Firenze, Annalisa Cicerchia, Co-founder Culture Welfare Center di Torino, Maria Elena Colombo, docente Multimedialità e beni culturali dell’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Gli interventi degli invitati, moderati da esperti del settore, hanno favorito una ampia riflessione su come queste istituzioni hanno lavorato negli ultimi mesi e quali sono le principali aree di azione per il futuro.

Tommaso Sacchi, assessore alla Cultura del Comune di Firenze, ha affermato: «Lo squarcio di JR su Palazzo Strozzi mette a nudo il presente e il futuro delle istituzioni dell’arte del nostro paese e sottolinea lo spartiacque della pandemia che stiamo attraversando. In un momento in cui ci apprestiamo a provare a riaprire i nostri luoghi di arte e cultura un dibattito come questo è quanto mai utile e costruttivo in vista delle nuove strategie che dovremo metter in campo, partendo in primis da un nuovo modello di fruizione museale: il pubblico dovrà di nuovo essere abituato alla visione di un’opera d’arte dal vivo, non mediata da uno schermo, e contemporaneamente dovremo continuare a sfruttare l’immediatezza, la pervasività, la potenzialità della rete e della transizione digitale ormai inarrestabile. È quindi adesso il momento di un ripensamento profondo delle istituzioni culturali che dovranno anche cambiare pelle e mettersi a disposizione della società. Siamo giunti a un appuntamento con la storia in cui ci viene chiesto di ridisegnare il destino delle istituzioni culturali del terzo millennio e proprio da Palazzo Strozzi parte questa lunga e necessaria riflessione da parte di alcune tra le più autorevoli istituzioni culturali del Paese».

Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, ha analizzato ciò che la pandemia ha significato per la cultura. «La pandemia ha portato a galla problemi che caratterizzano da decenni il sistema museale, culturale e turistico, tra i quali quello, gravissimo, per il quale rispetto ai circa 5000 musei e luoghi della cultura in Italia, quasi tutto il traffico si concentra su pochissime realtà, mentre il resto rimane escluso dai quasi tutti i giri. Contro questo fenomeno c’è una opportunità: ovvero, l’enorme tesoro d’arte che i grandi musei e le Soprintendenze conservano nei loro depositi. Spesso ne fanno parte opere di immenso valore che in paesi diversi dall’Italia sarebbero permanentemente esposte, o addirittura al centro di musei costruiti ad hoc. Questi due elementi – il problema e l’opportunità – hanno costituito la base dalla quale abbiamo sviluppato il programma degli Uffizi Diffusi, ovvero lo spostamento di opere dai depositi del nostro museo in decine di realtà più piccole sparse per tutta la Toscana, dove in alcuni casi si ricollegano con i loro stessi luoghi di origine, in altri con la storia concreta del territorio. Lo provano gli ottimi numeri delle prime iniziative degli Uffizi in questa direzione, come le mostre ad Anghiari e Poppi: solo il decentramento del patrimonio artistico si sta dimostrando efficace nel diffondere flussi turistici e cultura per tutti i cittadini. Non dobbiamo dimenticare che è un obiettivo generale e fondamentale trasformare il turismo in una attività più ecologicamente sostenibile e di qualità più alta in termini di conoscenza, unendo il patrimonio culturale e artistico con quello ambientale e territoriale».

Per Christian Greco, direttore del Museo Egizio Torino, la sfida per i musei è quanto mai fondamentale. «Se i musei sapranno raccogliere la sfida di formare le nuove generazioni con un modello di didattica nuovo che sappia far dialogare materiale e immateriale e che porti tutto il comparto educativo a frequentare con assiduità le gallerie espositive se saranno in grado di sviluppare progetti di ricerca che permettano di comprendere in uno sviluppo diacronico i mutamenti della società, i rapporti fra uomo e ambiente, aiutando a leggere il paesaggio e a trovare soluzioni che ne permettano la sua cura e preservazione; se sapranno svolgere in maniera attiva la funzione di luoghi di inclusione, di creazione di cittadinanza, di dialogo e confronto, troveranno soggetti interessati a investire in un modello di museo che  porti davvero un valore aggiunto alla collettività. L’obiettivo deve essere quello di venire percepiti non solo come luoghi di attrazione turistica ma soprattutto come laboratori di innovazione, fondamentali per uno sviluppo armonico della società. Solo così daremo davvero voce a quanto ci ricorda in modo netto l’articolo 9 della Costituzione. Ricerca, innovazione tecnico-scientifica, patrimonio e società sono connessi in modo imprescindibile e da questo rapporto deve avere origine la rinascita per tutto il comparto culturale».

Anche Giovanna Melandri, presidente della Fondazione Maxxi di Roma, ha voluto lanciare degli spunti riflessione, dopo un anno travagliato per la cultura. «Dopo un anno di pandemia e tre chiusure dei luoghi di cultura, voglio lanciare alcuni spunti di riflessione: la dimensione “virtuale” e quella “reale” dei musei sono divenute complementari, la funzione educativa e sociale delle istituzioni culturali è preziosa, ora più che mai; la collaborazione tra istituzioni è fondamentale, per ripensare insieme il ruolo e la funzione dei musei. Infine, rilancio qui la mia proposta di detrarre le spese per i consumi culturali, come quelle per i farmaci. L’accesso in presenza ai luoghi di produzione e fruizione della cultura è importante: i musei sono luoghi di socialità responsabile, confronto, condivisione e crescita. Serve dunque una misura strutturale contro la povertà culturale che la pandemia rischia di lasciare come strascico pesante. Aiuterebbe sia il settore che sta vivendo un momento di grande difficoltà sia le persone: la cultura è una medicina dell’anima, abbiamo bisogno anche di questo».

Lorenzo Giusti, direttore del GAMec di Bergamo, ha affermato: «L’accessibilità non tanto – o non esclusivamente – ai luoghi dell’arte, ma all’arte e alla cultura in senso lato, in tutte le sue forme, istituzionali e non, credo che sia davvero una delle grandi questioni del nostro tempo, e, in particolare per l’Italia, uno dei nodi chiave per governare la fase transpandemica che stiamo attraversando,- dichiara – ricucire i tessuti comunitari lacerati dalla crisi del sistema globale e porre le basi conoscitive per una ricostruzione consapevole del futuro. Tutto ciò in una chiave sia personale – nuove esperienze, nuove abitudini, nuove pratiche che il contatto con l’arte può favorire – sia collettiva, come luogo ideale di incontro, confronto e progettazione».

Maria Elena Colombo, docente di Multimedialità e beni culturali all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, ha sottolineato, invece, la particolare importanza che la comunicazione, specialmente social, ha avuto per i musei e per la cultura in generale, in quest’anno. «L’ambito della comunicazione in particolare sui canali digitali tutti social e web ha avuto improvvisa e vertiginosa visibilità e rilevanza per i musei nell’ultimo anno: ha condotto le istituzioni a sperimentare, in una improvvisa accelerazione. È stato chiaro fin da subito che, a porte fisiche chiuse, i canali social e i siti web fossero l’unico strumento a disposizione dei musei per mantenere viva la loro relazione con i pubblici. Ma quali pratiche maturate per rimanere stabili fuori dall’emergenza pandemica diverranno permanenti, trasformandosi in elementi strutturati, non più all’impronta, calibrati e misurati all’interno di un piano strategico? Si è rilevato, davvero trasversalmente rispetto ai temi di tutti i tavoli, il raggiungimento di un sicuro traguardo: il riconoscere il digitale come spazio tout court dell’istituzione culturale e la necessità di interpretarlo considerando contesto e risorse. Per compiere questo ulteriore passo di consapevolezza è necessario che si lavori sui processi interni, che pure in questa fase hanno vissuto un fertile momento di ibridazioni fra figure e comparti, in modo da integrare completamente il digitale e le sue competenze, senza più stereotipati antagonismi, concependo l’intero museo come un unico ecosistema complesso. Pur nella questa vaghezza di alcune scelte che sappiamo debbano meritare considerazioni più a freddo è chiarissimo come si sia dato l’avvio ad un cammino di mediazione, accessibilità, democratizzazione che non si potrà abbandonare».

Annalisa Cicerchia, Co-founder Culture Welfare Center di Torino, ha concluso: «I dati che emergono da studi recenti sulla partecipazione degli italiani alla vita culturale evidenziano una difficoltà di accesso alla cultura già prima della pandemia, con due terzi degli italiani sono “non attivi” da questo punto di vista. Il Covid ha impattato su questo contesto e ha rafforzato la necessità di un’azione  educativa che avvicini le persone ai musei, un’azione che non riguardi solo l’infanzia ma che accompagni ogni individuo nell’arco di tutta la vita nelle varie condizioni che ognuno attraversa, ivi compresa la fragilità, nell’ottica di consolidare sempre di più il rapporto tra cultura e benessere. Il nostro tavolo ha visto la partecipazione di istituzioni che negli anni hanno sviluppato progetti inclusivi e dedicati a vari pubblici. Durante la pandemia sono stati in grado di portarli avanti in nuove forme e da questo contesto difficile abbiamo appreso lezioni importanti, acquisito elementi che non si perderanno. Nel tendere lo sguardo al futuro sarà infatti importante fare tesoro di questa nuova prospettiva che permette di portare fuori il museo nelle case delle persone e le case all’interno delle istituzioni».

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