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Non basta la lotta agli scafisti | L’intervento del vaticanista Carlo Di Cicco

Non solo lotta agli scafisti. Occorre farla con efficienza, ma non è la prima condizione né l’unica per risolvere la questione migratoria che da anni spacca l’opinione pubblica europea e italiana. Non solo, poiché l’avversione agli immigrati che non siano i propri è un male mondiale che spunta e prospera sul duraturo razzismo. Nel nostro Paese prevale un dibattito occasionale e, talvolta, provinciale: difficile creare un consenso nazionale se ci si perde in questioni di campanile tra le forze politiche piuttosto che mirare a una crescita culturale e umana sull’intera questione. Papa Francesco l’ha definita “epocale”.

Pare pertanto piuttosto un azzardo il tentativo di aggregarlo al vento della destra che pensa di avere il papa dalla sua dopo il cenno di Francesco a contrastare gli scafisti. In realtà il papa ha denunciato con ben altro spessore il commercio dei traghettatori fin dai primi suoi Messaggi annuali per la Giornata mondiale dei Migranti giunta ormai all’edizione numero 108. Non ha atteso la domenica successiva al tragico naufragio sulle spiagge di Cutro: lo ha scritto, restando inascoltato, nel 2016.

“Sempre più spesso le vittime della violenza e della povertà, abbandonando le loro terre d’origine, subiscono l’oltraggio dei trafficanti di persone umane nel viaggio verso il sogno di un futuro migliore. Se, poi, sopravvivono agli abusi e alle avversità, devono fare i conti con realtà dove si annidano sospetti e paure. Non di rado, infine, incontrano la carenza di normative chiare e praticabili, che regolino l’accoglienza e prevedano itinerari di integrazione a breve e a lungo termine, con attenzione ai diritti e ai doveri di tutti”. Poche righe, impietose, che suggeriscono linee impegnative di soluzione, se una soluzione la si volesse davvero.

I nove messaggi annuali di Francesco sciorinano i diversi aspetti di una grande visione umanistica e solidale degna di un mondo migliore che tutti dicono – finora a parole – di cercare e volere. Anche il presidente Mattarella – lui sì in armonia con le indicazioni di Bergoglio e perciò credibile – ha suggerito con forza di passare dalle chiacchiere e dalle lacrime di circostanza a pratiche soluzioni per la questione immigrati.

Al netto delle chiacchiere si scopre che la politica europea e nostrana non solo arranca a tenere il passo riformista di Francesco, ma non è in grado neppure di tradurre nella concretezza di norme e piani di interventi la cultura umanistica che ispira la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo sancita dalle Nazioni Unite non ieri, ma nel 1948. Lì vengono chiariti i principi sul diritto all’emigrazione che finora sono rimasti lettera morta nelle legislazioni degli Stati. Italia compresa.

Tra noi si questiona ancora se e come contrastare le ONG  e non come avviare nuovi e generali trattati di cooperazione con i Paesi poveri e restati poveri anche per l’eredità del colonialismo, da dove principalmente si muove il fenomeno migratorio più vistoso insieme ai Paesi colpiti da guerre e calamità naturali.

Francesco è lineare su questo punto e coraggioso nel riconoscere lo sfruttamento dell’Africa da parte dei Paesi del primo mondo.

“C’è questa idea: l’Africa va sfruttata. Qualcuno – ha ripetuto nell’incontro con la stampa sull’aereo di ritorno dal viaggio apostolico in Congo e in Sud Sudan – dice, non so se è vero che i paesi che avevano colonie hanno dato l’indipendenza dal pavimento in su, non sotto, vengono a cercare minerali. Ma l’idea che Africa è per sfruttare dobbiamo toglierla”.

Prevenire le partenze  con programmi di elemosine ai paesi poveri, non è possibile. Fin quando i Paesi non occidentali, di altre culture o religioni, saranno considerati una riserva del nostro benessere, nessun grande problema sarà risolto.

Neppure le migrazioni. Purtroppo si continua a pensare con orgoglio nazionalistico che riconoscere i propri torti, per avviare così un nuovo inizio, sia una debolezza imperdonabile, nel mondo si sentirà il bisogno di attrezzarsi per la guerra piuttosto che per la pace. Ma la pace come la guerra richiede una preparazione.

I governi d’Europa e d’Italia finora non hanno lavorato a recepire e attuare grandi visioni umanistiche né per l’unità del continente né per l’accoglienza.

Eppure ci sono possibilità per farle. Qualche voce si è levata per sottolineare la differenza di trattamento verso i profughi e i fuoriusciti ucraini, rispetto ai profughi e migranti di altri Paesi in guerra o africani. Occorre cambiare registro. Francesco è un pezzo avanti e non si stanca di ripetere quattro verbi che servono a un piano organico di intervento: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Infatti ripete in vari modi  che “non si tratta solo di migranti: si tratta della nostra umanità”.

Nella lettera di Ursula von der Leyen alla premier italiana Meloni dopo il naufragio di Cutro emerge “la piena consapevolezza di come vi sia la necessità di una concreta e immediata risposta europea in tema migratorio” e che “quest’ultima tragedia deve servire da invito a raddoppiare la nostra determinazione a portare soluzioni efficaci e durature” se “vogliamo spezzare il ciclo di soluzioni frammentarie che non portano progressi sufficienti”.

Finiranno presto, dunque, ragionamenti da azzeccagarbugli tradotti nella pratica dei divieti e delle discriminazioni che svelano l’arretratezza civile verso gli immigrati e un certo qual fastidio a considerarli pari a noi per dignità e dunque soggetti da tutelare più che da respingere?

Nei 30 anni di legislazioni sui migranti in Italia è prevalsa la paura, il rifiuto, la discriminazione, lo sfruttamento, il tornaconto elettorale. Continuare su questa linea, illudendosi di risolvere l’annosa questione dell’immigrazione, è come voler svuotare l’acqua con un bicchiere da una nave che affonda. Sarà sempre più ingestibile poiché la falla nel tempo si allargherà. E il richiamarsi a Francesco sul ruolo deleterio degli scafisti si rivelerà una estemporanea consonanza per coprire l’antica e insuperata visione discriminatoria tra gli esseri umani. Francesco è come colui che ha sciolto le vele al vento per la creazione di un mondo migliore e possibile. Che cosa comporta la creazione di un “mondo migliore”?  

“Questa espressione – spiega lo stesso papa in uno dei suoi Messaggi sulle migrazioni – non allude ingenuamente a concezioni astratte o a realtà irraggiungibili, ma orienta piuttosto alla ricerca di uno sviluppo autentico e integrale, a operare perché vi siano condizioni di vita dignitose per tutti, perché trovino giuste risposte le esigenze delle persone e delle famiglie, perché sia rispettata, custodita e coltivata la creazione che Dio ci ha donato.

Paolo VI nella Populorum progressio descriveva con queste parole le aspirazioni degli uomini di oggi: “essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, un’occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la dignità umana; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più”. Il nostro cuore – aggiunge Francesco – desidera un “di più” che “non è semplicemente un conoscere di più o un avere di più, ma è soprattutto un essere di più. Non si può ridurre lo sviluppo alla mera crescita economica, conseguita, spesso, senza guardare alle persone più deboli e indifese. Il mondo può migliorare soltanto se l’attenzione primaria è rivolta alla persona, se la promozione della persona è integrale, in tutte le sue dimensioni, inclusa quella spirituale; se non viene trascurato nessuno, compresi i poveri, i malati, i carcerati, i bisognosi, i forestieri; se si è capaci di passare da una cultura dello scarto ad una cultura dell’incontro e dell’accoglienza”.

I flussi migratori contemporanei, pertanto, “costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi. In cammino con migranti e rifugiati, la Chiesa si impegna a comprendere le cause che sono alle origini delle migrazioni, ma anche a lavorare per superare gli effetti negativi e a valorizzare le ricadute positive sulle comunità di origine, di transito e di destinazione dei movimenti migratori…Purtroppo, mentre incoraggiamo lo sviluppo verso un mondo migliore, non possiamo tacere lo scandalo della povertà nelle sue varie dimensioni. Violenza, sfruttamento, discriminazione, emarginazione, approcci restrittivi alle libertà fondamentali, sia di individui che di collettività, sono alcuni dei principali elementi della povertà da superare. Molte volte proprio questi aspetti caratterizzano gli spostamenti migratori, legando migrazioni e povertà.

In fuga da situazioni di miseria o di persecuzione verso migliori prospettive o per avere salva la vita, milioni di persone intraprendono il viaggio migratorio e, mentre sperano di trovare compimento alle attese, incontrano spesso diffidenza, chiusura ed esclusione e sono colpiti da altre sventure, spesso anche più gravi e che feriscono la loro dignità umana”. Quali politiche sono disponibili a “costruire il futuro con i migranti e i rifugiati”? Isolare la lotta agli scafisti è forse un contentarsi della parte più facile, un ostacolo che non ci mette in questione.

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