Marina Vitullo, funzionaria ISPRA, ha rilasciato delle dichiarazioni in esclusiva all’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia in occasione del webinar online, dal titolo “Il clima che cambia, politiche di mitigazione e adattamento”. L’evento è stato moderato da Antonello Barone, ideatore del Festival del Sarà, e ha visto come ospite anche ellari, Primo tecnologo INGV, esperto di clima e ambiente come Rappresentante Permanente dell’Italia alle Nazioni Unite, e Emanuele Peschi, funzionario ISPRA.
Dobbiamo parlare di clima perché la situazione è grave. Lo scostamento della temperatura nell’ottica del surriscaldamento globale è più evidente in Italia che nel mondo considerato nel suo insieme. Perché siamo arrivati a questa situazione? Il motivo è stato l’aumento dei gas serra e dalla combustione di fonti fossili che hanno registrato una crescita notevole.
In alcune parti del mondo, la causa fondamentale delle emissioni è la deforestazione. Gli ecosistemi terresti e marini riescono in qualche modo ad assorbire parte delle emissioni che stiamo generando dall’inizio dell’era industriale, ma non basta.
I dati per nazione
Andando più nello specifico si può notare come la più grande ascesa tra i paesi emettitori l’abbia compiuta la Cina che dal 2000 ha raggiunto un picco di emissioni altissimo. Più evidenti i tentativi di contenere le emissioni da parte dell’Unione Europea e dagli Stati Uniti.
Questa però è solo un lato della medaglia, perché se andiamo a vedere lo stesso dato di emissioni calcolato a livello pro-capite, in questa classifica sono gli americani ad avere il primato, quindi un americano produce molte più emissioni di tutti gli altri abitanti dei vari paesi, quindi produce il doppio di un cinese. Un altro elemento da considerare è che la Cina, come l’India, stanno avendo un rapido incremento di emissioni, ma in coincidenza con questo incremento troviamo la scelta dell’Europa di delocalizzare le produzioni.
Delocalizzando le produzioni, non abbiamo delocalizzato solo la produzione di merci che poi vengono consumate in occidente, ma abbiamo delocalizzato anche tutto il problema ambientale dell’inquinamento e delle omissioni, e questa è una cosa di cui dobbiamo tenere conto quando affrontiamo questi argomenti.
Uso di fonti fossili e uso del suolo
Le emissioni di gas serra derivano principalmente dall’uso di fonti fossili, ma anche dall’uso del suolo, come la deforestazione che avviene soprattutto in alcune zone del globo sia per pratiche tradizionali ai fini dell’agricoltura sia per recuperare legno che poi viene esportato in Occidente per i suoi vari aziendali. Anche in questo caso, l’attore principale di questa situazione non risiede nel paese dove avviene l’azione, ma risiede in Occidente.
E’ importante monitorare il ciclo del carbonio, che comprende alcune fonti emissive come quelle fossili, le emissioni da uso del suolo, ma anche delle mitigazioni che derivano dagli assorbimenti di CO2 da parte dell’atmosfera, degli ecosistemi terrestri (le foreste in primis) e da parte degli oceani. Facendo un bilancio tra emissioni e assorbimenti vediamo che un terzo della CO2 emessa in atmosfera viene assorbita attualmente dagli ecosistemi terrestri, poco di un terzo dagli oceani e una buona parte dall’atmosfera. Resta però un budget di mancato assorbimento di circa il 3 per cento.
La storia delle COP e degli accordi multilaterali
Cosa si è cominciato a fare? La storia degli accordi multilaterali sul clima è molto lunga, e ha avuto inizio nel 1988 con l’istituzione della IPCC, che è l’ente intergovernativo sui cambiamenti climatici composto da scienziati di tutto il mondo chiamati di volta in volta a fare il punto della situazione su diversi argomenti, dai cambiamenti climatici alle tematiche che possono essere ad esso relative.
Dopo l’istituzione dell’IPCC, il primo anno fondamentale è il 1992 con l’adozione a Rio della convenzione quadro sui cambiamenti climatici, che è stato il primo accordo multilaterale non vincolante – quindi senza alcun tipo di obiettivi – che ha messo 197 Paesi seduti allo stesso tavolo per impegnarsi a contenere l’aumento della temperatura media globale riducendo le emissioni.
Dal ’92 in poi si sono susseguite ogni anno queste conferenze delle parti, le famose COP, che hanno segnato la storia degli accordi multilaterali. Uno dei primi e il più famoso è stato il Protocollo di Kyoto che è stato un accordo multilaterale con obiettivi vincolanti che però vincolavano soltanto i paesi industrializzati, che avevano degli obiettivi di riduzione delle emissioni e avevano una serie di obblighi in termini di rendicontazione, di contabilizzazione e di compliance, con regimi sanzionatori molto forti.
Dal protocollo di Kyoto in poi ci si è resi conto che ovviamente vedendo la situazione emissiva e la crescita delle emissioni dei paesi in via di sviluppo, come Cina, Brasile e India, si è deciso di cominciare a lavorare ad un accordo multilaterale che mettesse tutti sullo stesso livello, con impegni che coinvolgessero tutte le parti.
L’Accordo di Parigi
Si è arrivati così all’accordo di Parigi del 2015 da cui poi deriva il Rulebook firmato nel 2018 a Katowice.
Oggi si è arrivati a 6 rapporti della IPCC ognuno dei quali ha segnato un’epoca, per cui gli scienziati hanno cominciato con il dare le prime indicazioni, fino ad arrivare all’ultimo rapporti IPCC con segnali di un’evidenza acclarata di un problema serio che va affrontato il prima possibile e nella misura più decisa possibile.
L’accordo di Parigi è il primo trattato vincolante sui cambiamenti climatici. E’ entrato in vigore nel 2016 quando almeno i 55 Paesi che rappresentano il 55% delle emissioni di gas serra lo hanno ratificato. Ha 2 obiettivi, un obiettivo di lungo termine di contenimento della temperatura ben al di sotto dei 2° C rispetto ai livelli preindustriali con lo sforzo di limitare questo aumento al di sotto di 1,5° C. C’è poi un obiettivo di mitigazione relativo al picco emissivo, ovvero cercare di fermare quanto prima l’aumento delle emissioni arrivando a una neutralità climatica il prima possibile, quasi tutti i paesi parlano del 2050.
Questo accordo è stato accompagnato da tutta una serie di accordi accessori che hanno riguardato anche il supporto finanziario che i paesi industrializzati devono fornire ai paesi in via di sviluppo per far sì che si possano dotare delle tecnologie più avanzate. Il fine è di aiutare questi paesi a svilupparsi senza ripercorrere gli stessi errori emissivi commessi dal mondo occidentale.
Il monitoraggio e la contabilizzazione delle emissioni
A Parigi tutti i paesi si sono impegnati a redigere un inventario delle emissioni annuale per cui ogni anno noi sapremo tutti i paesi quanto emettono su tutti i settori economici e industriali e anche tutte le attività relative all’uso del suolo e alle foreste. A questo reporting dovrà essere affiancata ogni 5 anni una fase di contabilizzazione delle emissioni. Contabilizzazione che avverrà relativamente ai target che ogni Paese ha deciso di fissare nell’ambito dell’accordo di Parigi, quindi una riduzione delle emissioni di Co2. La Cina e l’India hanno indicato dei contributi di target nazionali di raggiungimeto del picco emissivo, efficienza energetica, ecc.
Gli scenari di mitigazione negli ambiti non energy
Come non energy parliamo di due settori molto particolari, il settore agricoltura in primis. E’ un settore molto particolare perché è un settore emissivo, in particolare la zootecnia, la gestione dei suoli agricoli e l’uso dei fertilizzanti. Per questo è un settore fortemente emissivo. Però è un settore particolare, perché le emissioni del settore agricolo sono quelle più difficili da contenere, perché serve produrre cibo.
Nell’ambito di una strategia messa in campo dall’Italia di decarbonizzazione a lungo periodo, quindi che traguarda il 2050 e cerca di capire come potrebbe essere lo stato emissivo da qui al 2050 per ogni settore economico, abbiamo cercato come ISPRA di capire per l’agricoltura quale potrebbe essere lo scenario per l’agricoltura. Ebbene si prevede una riduzione delle emissioni per il settore dell’agricoltura ma non così decisivo.
L’obiettivo è quello di mantenere la produzione ma favorendo la decarbonizzazione. Le strategie che dovranno necessariamente essere messe in atto riguardano l’adozione di pratiche agricole più sostenibili sia nella gestione degli allevamenti che nella gestione dei fertilizzanti. E’ poi necessario intervenire sulla gestione delle deiezioni degli animali che a livello mondiale è una delle fonti non trascurabili di emissione, e un incremento per quanto riguarda la produzione di biogas e biometano dalla gestione di queste deiezioni.
L’uso del suolo agricolo e delle foreste
L’altro settore molto particolare è quello LULUCF, ossia l’uso del suolo e delle foreste. E’ l’unico settore che ha un segno diverso in termini di emissioni, nel senso che è un settore che riesce ad assorbire carbonio e a rimuovere Co2 dall’atmosfera. E’ un settore che contiene varie categorie. Al di là delle foreste che assorbono la Co2, l’uso delle terre agricole può produrre emissioni e bisogna aumentare l’assorbimento del carbonio di questo settore.
Bisognerà da una parte aumentare l’assorbimento del carbonio da parte delle foreste, aumentare l’accumulo di carbonio nei suoli agricoli adottando pratiche agricole più sostenibili come l’agricoltura biologica o le pratiche conservative o l’agricoltura integrata. In primis, però, è necessario contenere l’incidenza degli incendi, che è uno dei fattori più frequenti nel nostro territorio anche a causa delle variate condizioni meteorologiche. Diminuisce così parte di biomassa capace di assorbire carbonio e diventano invece una fonte di emissione.
Altra cosa da fare per favorire la decarbonizzazione è fermare il consumo di suolo, che vuol dire non costruire su aree che sono attualmente non occupate da insediamenti urbani, vuol dire rigenerare quello che già esiste, ma non occupare aree occupata da foreste.
L’importanza del tempo
Il tempo è un fattore determinante, più andiamo avanti e più gli impatti saranno incisivi anche sulla nostra vita quotidiana. Dobbiamo cominicare, cominciare subito. Poi se non cominciamo con la cosa più perfetta del mondo, va bene lo stesso. Però cominciamo a fare le cose e poi durante il corso delle nostre azioni abbiamo la possibilità di correggere, però cominciare.