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Marco Tronchetti Provera, VP Pirelli: “Il futuro della Pirelli è italiano e a difesa della tecnologia aziendale”

Il futuro di Pirelli sarà italiano e sempre più tecnologico.

L’auto diventerà elettrica e connessa, ma gli pneumatici resteranno l’unico punto di contatto con il terreno.

E diventeranno il motore che genera dati per la mobilità e i nuovi servizi, attraverso sensori hi-tech.

È il modello del digital tyre, quello che guida la visione di Marco Tronchetti Provera, vice presidente esecutivo di Pirelli.

Una frontiera di innovazione strategica e sensibile, che ha portato il governo a esercitare il Golden Power per evitare che tecnologia e dati entrassero in possesso dell’azionista cinese SinoChem.

Intanto Tronchetti ha stretto la presa sul gruppo.

A gennaio ha aumentato la quota salendo sopra il 20% attraverso Camfin, e blindando la governance grazie a un patto di consultazione con Brembo.

In occasione dei 35 anni di MF-Milano Finanza, ha ripercorso un recente pezzo di storia dell’imprenditoria italiana del quale è stato protagonista.

“Ora il mondo è più complesso”, spiega.

“La competizione è fra culture ma in Italia vale ancora il prodotto e il rapporto fra persone”.

Lo sguardo resta rivolto alle sfide future: con l’aggiornamento sugli sviluppi più recenti.

“L’anno è cominciato bene, anche se il mondo dell’auto soffre per una trasformazione troppo rapida verso gli obiettivi di sostenibilità.

Grazie al Golden Power abbiamo riportato all’origine le relazioni con Sinochem, che è un socio finanziario”, ha detto nell’intervista registrata nella biblioteca della storica sede in Viale Sarca a Milano.

Sì, ma partiamo dal presente: come si è aperto il 2024 di Pirelli?

Grazie al fatto di essere concentrati sull’altissimo di gamma e sulle tecnologie più avanzate continuiamo a guadagnare quote di mercato e abbiamo registrato un buon inizio d’anno sia pur in un contesto complesso.

Il mondo dell’auto vive difficoltà legate al passaggio all’elettrico, meno veloce di quanto ci si aspettava in termini di infrastrutture, costi delle batterie e accoglienza dei consumatori.

Superato il gruppo di testa degli entusiasti, ora si guarda ai costi e al servizio, e credo che i tempi verranno allungati.

Anche perché mi auguro che alcune tecnologie vengano preservate.

La filiera dell’auto ha grosse competenze che possono garantire un impatto ambientale uguale, se non inferiore, a quello dell’elettrico.

Ha un impatto anche su di voi?

Per noi, finora, è andata molto bene, perché l’elettrico richiede performance più complesse e abbiamo addirittura guadagnato quote di mercato grazie alle nostre tecnologie.

Ma c’è stato un eccesso di accelerazione nella transizione e una sopravvalutazione dei benefici nella scelta univoca di una tecnologia.

A elettrico e combustione è stato dato troppo poco tempo per convivere.

E c’è tutta una filiera industriale molto avanzata che può essere ancora utilizzata: biocarburanti, idrogeno e altre alternative.

La realtà è che il motore elettrico favorisce il produttore cinese, dove si trovano tutte le materie prime.

Qualcuno ha fatto male i conti.

A proposito di Cina. I vostri cyber sensori sono stati messi dietro lo scudo dal governo che ha imposto limiti agli azionisti cinesi con il Golden Power. Perché sono così importanti?

Sono il futuro dell’azienda, che si basa sempre più sulla raccolta di dati.

Vale nelle corse, come per gli pneumatici stradali.

Con quei sensori acceleriamo e rendiamo più sofisticato il flusso d’informazioni, sia per lo sviluppo di nuovi prodotti sia per garantire sicurezza alla guida.

Il sensore è l’elemento pervasivo di tutta l’azienda, che serve sia per lo sviluppo dei nuovi pneumatici sia per la definizione dei processi produttivi.

Come sono cambiati i rapporti con Sinochem dopo l’intervento del governo?

È un azionista finanziario e Pirelli ha tutta l’autonomia, che però era garantita dallo statuto anche ai tempi dei primi accordi con quella che allora si chiamava ChemChina.

Quando firmammo quelle intese, la Cina era un Paese che seguiva un percorso di crescita e benessere globale.

Siglammo i patti con Ren Jianxin, imprenditore molto stimato e molto capace.

Poi il mondo è entrato in una fase diversa.

Tra Pechino e Washington si è creata una competizione strutturale, e la Cina, invece che un partner, è diventata un competitor.

Ha anche recentemente incrementato la quota e siglato un patto parasociale con Brembo. È la base per un prossimo riassetto?

No. Vogliamo solo continuare a dare quello che Camfin e la mia famiglia hanno garantito per oltre trent’anni: stabilità, management, protezione della tecnologia e continuità dell’azienda.

La crescita della quota ha la funzione di assicurare l’autonomia sul medio termine.

Tra le imprese che ha guidato, e che sono cambiate in questi anni c’è anche Telecom. Guardandosi indietro rifarebbe le stesse scelte?

Nelle condizioni date sì, perché allora era una grandissima occasione.

Avevamo previsto lo sviluppo della tecnologia con la fibra ottica ed eravamo stati i primi a sviluppare amplificatori ottici.

Telecom allora era molto indietro sul collegamento in banda larga.

Siamo passati da 200 mila a 7 milioni di collegamenti.

La mia idea era avviare grandi fusioni europee.

Ci provai con Telefonica e con il mondo dei contenuti.

Tentai con Murdoch e non fu realizzato.

Diciamo che fu un mio non successo.

Comunque una bella avventura.

Oggi si separa la rete: come vede quello che accade?

Per fortuna da quasi vent’anni non ho nulla a che vedere con tutto questo.

Mi spiace solo che l’Europa non sia competitiva in questo campo.

In America ci sono tre società tlc; in Europa – mi dicono – circa 70.

A giugno in Europa si vota: cosa c’è in gioco in queste elezioni?

Più di quello che si vede.

Il racconto delle elezioni è molto condizionato dalle esigenze politiche di breve dei partiti, ma si decide il futuro dell’Europa, perché avvengono in un momento molto complesso, con la guerra in Ucraina e quanto avviene in Medio Oriente.

L’Europa deve giocare un ruolo ora che l’America non ha più quello che aveva negli anni Ottanta.

Da una parte è un grosso rischio, dall’altra una grande opportunità.

Ma soprattutto dal punto di vista tecnologico l’Europa deve avere un progetto di competitività.

Guida Pirelli dal ’92, attraverso epoche, governi, e leader molto diversi fra loro. Com’è cambiata l’azienda e il contesto in cui opera?

Quando ho preso la guida Pirelli era piccola fra le grandi.

Scelsi di basare tutto sulla tecnologia.

Fu una scelta vincente, e lo è ancora.

Con MF celebriamo 35 anni di informazione finanziaria, professionale e indipendente. Quanto conta quando si parla di economia, finanza e mercati in particolare?

È fondamentale, perché la finanza è alla base dello sviluppo dell’industria.

Voi siete maestri nel cercare e rappresentare gli importanti collegamenti fra mondo delle imprese e finanziario.

Una buona informazione in questo campo è vitale soprattutto in un Paese che deve sempre più legare lo sviluppo all’investimento dei privati.

Abbiamo ancora un risparmio troppo poco concentrato sullo sviluppo tecnologico e industriale.

E dobbiamo trovare un punto di incontro, perché l’investitore si senta rassicurato e partecipi alla crescita investendo di più sul proprio Paese.

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