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L’economia Usa va meglio del previsto ma gli squilibri permangono e la Fed deve procedere con prudenza | L’analisi di Marcello Messori

I dati, relativi al secondo trimestre del 2025, e le previsioni per la seconda metà dell’anno indicano che la crescita dell’economia statunitense sta superando le aspettative, specie grazie a una sostenuta dinamica dei consumi.

Vari organismi internazionali aggiungono poi che tale crescita proseguirà nel 2026, pur se a ritmo ridotto ma superiore alla crescita media dell’UE. Questo quadro ha reso meno popolare, anche se non ha del tutto cancellato, la visione prevalente fino all’inizio della scorsa estate secondo cui gli USA avrebbero corso un alto rischio di recessione già alla fine di quest’anno.

Ciò significa che le critiche, rivolte alle iniziative economiche dell’Amministrazione Trump, sono state affrettate ed eccessive? Prima di trarre tale conclusione, è bene notare che il tasso di crescita statunitense si sta accompagnando a forti e persistenti squilibri macroeconomici: i dazi non stanno aggiustando i disavanzi della bilancia commerciale, le spese del bilancio federale continuano a dilatare il debito pubblico e i tassi di inflazione si mantengono al di sopra del 2% e tendono ad aumentare.

Questa tensione fra crescita e squilibri è connessa alla politica economica USA e, soprattutto, complica ulteriormente le scelte di politica monetaria della banca centrale (Fed). Nella logica trumpiana, gli squilibri sono fattori temporanei da riassorbire grazie a un’accelerazione della crescita.

Pertanto, come mostra il ‘Big Beautiful Bill’ (BBB), l’idea di Trump è che la politica fiscale mantenga intonazioni fortemente espansive, mediante tagli delle imposte – specie per la fascia più ricca – che potranno essere in parte compensati da eventuali, e comunque successive, riduzioni della spesa pubblica sociale.

L’onere di porre sotto controllo il conseguente surriscaldamento dell’economia statunitense ricade, così, sulle spalle della politica monetaria. In assenza di eventi inattesi, la Fed sarebbe imprudente se – dopo l’inevitabile riduzione di 25 punti base, assunta il mese scorso – decidesse di tagliare nuovamente i tassi di interesse di policy nella riunione di fine ottobre. A prescindere da quanto pensa Trump, le tendenze macroeconomiche e il controllo degli eccessi di inflazione lasciano spazio per un minimo taglio dei tassi di policy solo nell’ultima riunione dell’anno.

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