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La corsa lombarda e il paradosso dei data center | Lo scenario di Ferruccio De Bortoli

L’ultimo grande investimento, in ordine di tempo, è appena stato annunciato da A2A. L’amministratore delegato, Renato Mazzoncini, ha spiegato le ragioni per le quali il gruppo energetico lombardo investirà, nei prossimi dieci anni, 1,6 miliardi in data center. Non fornirà soltanto energia agli impianti in cui si concentreranno e si analizzeranno le informazioni utili allo sviluppo delle tecnologie digitali e, in particolare, dell’Intelligenza Artificiale (AI). Ma entrerà direttamente nel business dei dati.

Inizia così l’analisi di Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera.

Non è una novità da poco. A2A ha sede a Milano e il capoluogo lombardo – ed è questo un dato, uno dei tanti, sul quale riflettere – è tra le aree di maggior sviluppo al mondo per i data center. Secondo una ricerca Teha, nel 2024, a livello globale, si contavano 10 mila 332 centri, di cui 2 mila e 200 nell’Unione europea e 168 in Italia. Ma a Milano, con 238 megawatt, era concentrato il 46 per cento del totale nazionale. Pari a 1,4 volte Madrid e 2,1 volte Zurigo. Al primo posto tra i poli emergenti europei anche se la sua potenza installata è ancora lontana da quella di Londra (1.065 Mw) e di Francoforte (867 Mw). Milano si avvia ad essere una delle capitali indiscusse della Data Economy. Attrae capitali e investitori da tutto il mondo.

IL PARADOSSO DELLA CORSA DEI BIG VERSO IL NORD ITALIA E IL RISCHIO DEL CARO-BOLLETTE

L’installazione di data center è fondamentale per la crescita italiana e per lo sviluppo delle tecnologie digitali (dal cloud all’Internet of Things). Dunque, non solo per soddisfare la “fame di energia” delle applicazioni di Intelligenza Artificiale. Si calcola che se la Data Economy italiana avesse lo stesso peso percentuale dei Paesi più avanzati, il contributo aggiuntivo alla nostra crescita sarebbe particolarmente rilevante. Oggi vale 60 miliardi. Nel 2030 potrebbe superare i 200 miliardi, posizionando l’Italia al quarto posto in Europa.

Questi centri energivori potrebbero, inoltre, essere l’occasione per moltiplicare benefici sociali e ambientali. Per esempio per il teleriscaldamento, attraverso il recupero di calore, nella migliore delle ipotesi di sviluppo, di 800 mila famiglie. Oppure per bonificare e rigenerare aree industriali dismesse, cosiddette brownfield. E, ancora, per gestire al meglio i rifiuti elettronici (Raee) con l’attivazione di una filiera di trattamento e riciclo.

Tutto bene, dunque? Non proprio. Qui cominciano alcune problematiche che riguardano il nostro mix energetico, ma anche la tenuta sociale dei territori. Lo studio Teha stima che il fabbisogno aggiuntivo di energia creato dai data center possa essere soddisfatto, anche in questo caso nello scenario più favorevole, al 74 per cento da energie rinnovabili (Fer).

Ma ovviamente saranno necessarie nuove centrali termoelettriche a ciclo combinato. Cioè bisognerà tornare a investire di più nelle fonti fossili, anche se vi sono spazi di crescita nel parco degli impianti attualmente funzionanti. Sia le prime sia le seconde sono di complessa, se non qualche volta impossibile, realizzazione in aree ad alta densità abitativa e industriale. E non basta più mettere pannelli e pale in altre parti d’Italia per apparire virtuosi come è accaduto per tanti anni.

I grandi investimenti in data center nel mondo prevedono una produzione di elettricità attraverso il nucleare che, nel nostro caso, rimane un obiettivo a medio e lungo termine con criticità politiche attualmente insormontabili. Inoltre, vi è la preoccupazione – espressa per tempo da Massimo Sertori, assessore alle Risorse energetiche della Lombardia – che la domanda aggiuntiva attivata dal data center esaurisca in breve lo sforzo complessivo di decarbonizzazione della Regione.

Tanto è vero che prima della sentenza del Tar, che ha sospeso il decreto ministeriale sulle aree idonee per le rinnovabili, la Lombardia aveva elevato il proprio obiettivo a 12 Gigawatt di solare ed eolico, superiore all’8,7 governativo.

“Noi stimiamo un potenziale di richieste per nuovi data center in Lombardia che arrivi a un consumo stimato di 20 Gigawattora – spiega Sertoriprobabilmente ne andrà a regime solo una piccola parte, ma se si pensa che il consumo regionale è di circa 60 Terawattora, si hanno le proporzioni del fenomeno”.

Le nuove fonti rinnovabili programmate non bastano nemmeno per soddisfare le richieste dei data center. Arduo pensare poi di “ripulire” il resto dei consumi energetici, ovviamente (e sperabilmente) in crescita.

Ed è proprio prevista per oggi, nella riunione della giunta della Lombardia, la presentazione di una proposta di legge regionale che regoli la complessa materia dei data center che in Italia vogliono sorgere, a tutti i costi, in Lombardia e in poche altre, con problemi analoghi, Regioni del Nord.

Piccoli comuni si trovano di fronte alle richieste di autentici colossi del settore senza avere, non solo gli strumenti professionali per trattare al meglio con gli investitori, ma anche una normativa di riferimento che tuteli le comunità, autentici soggetti deboli. E favorisca poi gli interventi nelle superfici industriali dismesse.

Ma c’è un altro grande interrogativo che potrebbe suonare persino una beffa per le aree più ambite dai data center. Il lento superamento del prezzo unico nazionale (Pun) – come dal decreto del 18 aprile 2024 – e l’arrivo dei cosiddetti prezzi zonali potrebbe rendere, teoricamente, più cara l’energia elettrica là dove la domanda – anche e soprattutto per i data center – è più elevata e il contributo delle rinnovabili inferiore rispetto ad altre parti d’Italia.

Il dubbio, se non la certezza, è stato espresso – nell’incredulità generale – dal ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti, alla recente assemblea degli industriali di Cremona. Gli esperti sono meno sicuri che ciò accada. Lo scrive Carlo Stagnaro in un’analisi su Energia nella quale critica l’attuale regime transitorio, foriero di tante inefficienze e distorsioni.

In ogni caso, accanto alla soddisfazione di essere – in particolare Milano e la Lombardia – un polo d’eccellenza per i data center, vi è anche la preoccupazione di pagarne, imprese e famiglie, un prezzo troppo alto.

“Siamo orgogliosi di avere così tante richieste – conclude Sertorima senza esserne travolti al punto di diventarne vittime, magari per attività dei data center che riguardano il resto d’Italia o d’Europa. Quello del prezzo regionale dell’elettricità, e lo dico come leghista, è l’unico federalismo che non mi piace”.

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