Giuseppe Coco, economista e professore dell’Università di Bari, ha partecipato agli Stati Generali della Ripartenza 2025 “Insieme per far crescere l’Italia”, organizzati a Bologna dal 27 al 29 novembre 2025 dall’Osservatorio economico e sociale “Riparte l’Italia”.
Il suo intervento si è tenuto nel panel “Calo demografico e soluzioni alla denatalità“, moderato dal giornalista Luca Telese.
Ecco l’intervista rilasciata prima di partecipare all’evento.
Oggi si è parlato di calo demografico, di problema della natalità e anche del fatto che in Italia si vive molto più a lungo. Come si integrano questi due fattori?
Da un punto di vista delle cause, il fenomeno della natalità in Italia non è troppo diverso da quello di tutto il resto del mondo. Oggi stiamo assistendo a crolli demografici in moltissimi paesi. La specificità italiana è che da noi è successo 20 anni prima sostanzialmente. Avevamo già tassi di fertilità molto bassi a metà degli anni 90.
E qual è la differenza tra noi e gli altri? Probabilmente sono varie differenze. Una è che le aspettative pessimistiche sul futuro sono subentrate molto prima. Perché avevamo un debito pubblico già molto elevato.
E chi si deve fare carico del debito pubblico? Le generazioni future ovviamente. Quindi c’è un minore incentivo ad accollarsi a questi debiti. Però ci sono anche altri fattori, tra cui i tempi che i ragazzi trascorrono a casa prima di andare via da casa. E questo è molto importante soprattutto per le femmine, perché la vita fertile delle femmine poi finisce. Se c’è i giovani che in media vanno via di casa a 30 anni, è molto probabile che la metà della vita fertile sia già andata via. Però tra tutti questi fattori, quello che interessa molto a un economista è anche il fattore di politica economica. Nella politica economica si evidenzia sempre che rispetto a un paese come la Francia, che è appena sceso sotto la soglia di rimpiazzo, noi siamo a 1 e 2. La Francia è circa a 2. Due bambini per ogni donna.
Qual è la differenza tra noi e la Francia? La Francia offre un sacco di servizi. La spesa pubblica è molto distorta a favore delle famiglie. Però c’è anche un sistema di tassazione, la tassazione familiare con quotiente familiare, che favorisce moltissimo la famiglia, anche da un punto di vista ideale. Quando tu fai della famiglia il nucleo che è riconosciuto come socialmente fondativo del sistema fiscale, in effetti questa è una cosa che a mio parere va anche al di là dell’incentivo economico. Noi invece abbiamo optato per una tassazione individuale che favorisce certamente il lavoro femminile, anche se poi non ci siamo riusciti a fare nemmeno quello. Questa cosa secondo me è tra i principali candidati a spiegare perché da noi il crollo è successo prima.
Cosa possiamo fare? Questa tassazione con il quotiente familiare sarebbe la prima cosa da attenzionare, anche se non ci possiamo aspettare effetti immediati. Perché il calo demografico alla fine è il prodotto non solo di fatti economici, è il prodotto di un cambiamento della società, di una mentalità, anche di un pessimismo sul futuro.
Perché i nostri giovani vanno via dall’Italia? Ne abbiamo già pochi, però tra quei pochi tantissimi vanno via. Ma perché?
Se tu sei giovane oggi ti stai accollando un debito pubblico enorme, un debito pensionistico enorme perché tu dovrai sostenere, tra poco ogni persona a lavoro dovrà sostenere una persona in pensione. In effetti non è una situazione molto vantaggiosa, questo alimenta un circolo vizioso. Non è una situazione facile, però dobbiamo metterci in testa che la dobbiamo assolutamente affrontare, aumentando la vita attiva, magari anche su basi volontarie per esempio, aumentando la partecipazione al mondo del lavoro.
E questo in parte ci sta già avvenendo naturalmente, perché in parte il calo della disoccupazione a cui abbiamo assistito è solo in parte una maggiore occupazione in termini assoluti, e anche che diminuiscono i giovani e quindi il tasso di quelli che rimangono inoccupati diminuisce. Quindi ci possiamo aspettare anche in futuro che questi tassi migliorino, anche senza una crescita economica molto forte. Quindi dobbiamo agire decisamente su queste leve, aumentando sostanzialmente la massa di quelli che pagano contributi.
L’immigrazione è in realtà, come ho spiegato in sessione, un rimedio molto parziale e molto dubbio a mio parere, perché magari nell’immediato ti salva sul cotè pensionistico, però genera dal punto di vista fiscale invece sicuramente dei deficit, perché con la tassazione progressiva chi abbassa i redditi ovviamente non copre la propria quota di spesa pubblica. E’ stato calcolato che per coprire sanità e istruzione uno dovrebbe avere un reddito di 35 mila euro lordi, però il grosso degli immigrati arrivano forse alla metà. Si pagano l’IVA, è un calcolo un po’ più complesso, però è certo che generano un deficit fiscale.
E poi i contributi li dobbiamo restituire in pensione. Quindi il netto non è un surplus da un punto di vista per lo Stato. C’è un surplus per la società, perché noi abbiamo bisogno degli immigrati in certi lavori, però dobbiamo chiederci effettivamente come fare a generare anche un surplus fiscale, perché noi certo tra il debito pensionistico e il debito pubblico di ulteriori oneri debitori non ne abbiamo esattamente bisogno.
Parliamo degli stati generali della ripartenza, è il terzo anno, un’edizione in crescita, lei fa parte del comitato di indirizzo, e quindi penso le faccia piacere, quest’anno 5 ministri, c’è una quantità di relatori molto alta, stanno crescendo sempre di più come hanno riconosciuto tantissimi degli interlocutori.
A mio parere è difficile identificare un altro evento in Italia in cui la discussione avviene a questo livello, secondo me le presenze sono così qualificate in questa particolare sede che davvero faccio fatica. Forse lo studio Ambrosetti riesce a fare l’evento più simile, però con una struttura istituzionale molto più antica.
Altre cose a questo livello io in Italia francamente non le vedo, mi sembra che l’osservatorio e la conferenza siano cresciuti in una maniera che va oltre ogni più ottimistica aspettativa.








