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Gaetano Manfredi, Presidente Anci: “La politica deve essere capace di interpretare bene i bisogni dei cittadini”

Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli e neo Presidente dell’Anci, è intervenuto agli Stati Generali della Ripartenza organizzati dall’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia il 29 e 30 novembre 2024 a Bologna.

Durante la sua partecipazione, ha sostenuto un dialogo con il giornalista de Il Sole 24 Ore, Gianni Trovati, sul tema “Mobilità verde e collegamenti: per una nuova visione delle città e dei territori“.

Riportiamo il testo integrale del suo intervento.

“Credo che oggi uno dei grandi temi che noi abbiamo davanti è quello proprio di riuscire a interpretare bene quelli che sono i bisogni dei cittadini. Cioè oggi la sfida che noi abbiamo davanti è di una politica capace di interpretare, di capire che cosa i cittadini vogliono, non di assecondarli perché non è che li dobbiamo assecondare, ma di saper guidare dei processi di trasformazione che siano compresi dei cittadini. Ecco, è in questo ruolo, io credo, che le comunità locali, i comuni, i sindaci hanno una funzione straordinaria perché sono l’elemento di connessione tra una politica di livello più alto, che abbiamo parlato di Paesi, abbiamo parlato di Europa, e quello che è il sentimento dei cittadini che spesso si considerano trascurati, non compresi, un po’ abbandonati e quindi mentre il sindaco è colui che ogni giorno li incontra, li ascolta, subisce le loro lamentele che sono spesso anche legittime, lamentele anche su livelli di responsabilità che i sindaci non hanno, però è giusto ascoltare tutti, e il sindaco cerca di far sentire il senso dello Stato all’interno di una comunità, perciò io credo che ridare centralità al ruolo dei comuni significa, da un lato, comprendere bene quali sono i problemi degli italiani e dall’altro anche avere un elemento di connessione tra le politiche a vario livello con quello che sono i bisogni reali.

Si parlava prima del tema del Green Deal, è chiaro che i valori della transizione ambientale sono dei valori ideali ma anche sono dei valori economici, noi sappiamo che la transizione ambientale è anche un’opportunità economica, però alcune delle scelte che sono state fatte o non sono state capite dai cittadini o sono state percepite dai cittadini come qualcosa fatto per i ricchi, non per i poveri, quindi noi abbiamo fatto questo grande disastro che è pensare che il miglioramento di quelle che fossero le condizioni ambientali dovessero essere pagati dai ceti più deboli della nostra società, e questo è stato il vero problema che abbiamo affrontato in questi anni, è stato il motivo per cui i tanti populismi hanno alimentato questa logica antiscientifica e antiambientalista proprio perché non siamo stati capaci di avere questa catena di trasmissione che è fondamentale, perciò io penso che oggi c’è molto bisogno del protagonismo dei comuni ma non di un protagonismo autonomo, di un protagonismo all’interno di un sistema politico che sappia ascoltare le sensibilità di tutti.

Io penso che se noi vogliamo affrontare i problemi dobbiamo dirci le cose vere, perché poi le cose vere ci aiutano a affrontare i problemi.

Allora, noi negli ultimi, devo dire 10-15 anni, dopo la grande crisi del 2008 e 2011, è stata alimentata una narrazione essenzialmente basata su due principi, i comuni non sono in grado di poter amministrare bene, quindi i comuni sono la base della disamministrazione in Italia e i comuni sono pieni di personale incapace, che non sa fare niente, che sono il male dell’intermediazione politica, qualcosa di vero c’era anche, però questo faceva parte di tutto il sistema delle amministrazioni italiane. Qual è stata la conseguenza di quest’idea? Che sono state fatte politiche, sia dal punto di vista delle scelte sui poteri che dal punto di vista dei trasferimenti finanziari che hanno fortemente penalizzato i comuni negli ultimi 15 anni.

Oggi i comuni, perché questo è il dato di fatto, basta vedere i numeri, visto che a me piacciono i numeri racconto sempre i numeri, perché i comuni italiani che sono quelli che in fondo gestiscono la maggior parte dei servizi, perché tolto il servizio sanitario e una parte della scuola, tutti presso dei servizi primari gestiti dai comuni, hanno avuto negli ultimi 15 anni un’enorme riduzione del personale, i comuni italiani hanno perso il 30% del personale, hanno avuto una grande riduzione dei poteri che sono stati spostati verso le regioni e hanno avuto una grande riduzione dei trasferimenti, perché con la fiscalizzazione dei trasferimenti, quindi è stato dato un potere impositivo ai comuni, i comuni sono gli unici che non hanno una fiscalità derivata, cioè i soldi che prendono li debbono riscuotere direttamente dai cittadini, questo ha determinato una riduzione della capacità di spesa dei comuni significativa.

Prima cosa aumentando i divari, perché chiaramente se tu fiscalizzi i trasferimenti fotografi il divario economico del Paese e poi dopo si fanno le perequazioni verticali e orizzontali, però parti da una base di divario, perché è un fatto matematico che succede e poi costringi i comuni a usare per poter migliorare la qualità dei servizi la propria capacità fiscale, oggi noi abbiamo che i comuni italiani sono arrivati al fondo scala della capacità fiscale, qual è la conseguenza? 30% di personale in meno e oggi i comuni italiani incidono sulla spesa pubblica nazionale per poco più del 6%, tutto quello che spendono i comuni è il 6% di tutta la spesa pubblica italiana, quando fino a più di dieci anni fa incidevano per l’8,4% e hanno poco più dell’1% del debito, quindi per una serie di meccanismi di cui è inutile parlare, alla fine sono stati più compressi, questi sono numeri che vengono dalla regione regionale dello Stato, la conseguenza di quest’operazione è che poi alla fine i comuni sono diventati anche più efficienti e questo è un fatto positivo, perché io penso che alla fine l’efficienza rappresenta un valore nell’amministrazione, hanno fortemente ridotto l’indebitamento, però chi ha pagato il prezzo di quest’operazione sono stati i cittadini, perché chiaramente la capacità dei comuni di gestire i servizi è diventata veramente al limite della sostenibilità e malgrado una narrazione negativa la scelta del PNRR che è stata fatta, cioè di attribuire 40 miliardi di PNRR ai comuni, che è stata la prima volta nella storia che dei fondi europei sono stati dati direttamente ai comuni, ha fatto sì che oggi i comuni, i dati sono di ieri, della cabina di regia del PNRR, l’amministrazione che ha aperto più cantieri, ha chiuso più cantieri e ha speso più soldi in Italia, quindi malgrado aveva il 30% di personali in meno, aveva questa fama di non essere in grado di amministrare, è stata quella che ha gestito meglio il PNRR, questo ci deve far molto riflettere sulla necessità di fare una rivisitazione, di fare una vera riforma degli enti locali che guardi con più attenzione i comuni, di cui non sento mai parlare, fermo restando che anche questo luogo ci dimostra che l’Italia è un’Italia dei comuni, perché sono state la grande istituzione civile che ha costruito il nostro Paese e dando più poteri, dando più attenzione, io mi auguro che nel futuro, anche nella futura revisione della politica di coesione a livello europeo, si dia, come richiesto da altri Paesi, dalla Francia alla Germania, si dia più ruolo alle amministrazioni locali, sia in termini di programmazione che in termini di spesa, perché i risultati del PNRR sono stati dei risultati oggettivamente positivi.

Ecco, questa primazia dei comuni del PNRR, da osservatore esterno, è attribuibile anche a un maggiore commitment politico, cioè i sindaci nel loro complesso e i singoli sindaci delle grandi città, o delle città anzi, avendo collegato il PNRR a quella opera visibile, percepibile, hanno avuto un maggiore coinvolgimento politico rispetto a quello che può essere un ministero X che deve distribuire soldi. Prima, sempre nella tavola rotonda precedente, si parlava di industria, industria 4.0 ha funzionato molto bene, industria 5.0 non ha funzionato niente.

Tant’è vero che industria 4.0 ha sforato le previsioni, però compensata in larga parte dal fatto che industria 5.0 non ha tirato niente. La differenza tra le due è che industria 4.0 è nata in Italia, con regole italiane fatte in casa da noi. Transizione 5.0 è figlia di una fittissima negoziazione con l’Europa che ha prodotto una superfettazione burocratica immensa.

Io credo che il modello PNRR sia ad oggi un’esperienza molto positiva, non solo dal punto di vista del protagonismo dei comuni, ma anche perché sono stati adottati degli strumenti di semplificazione che nei fatti hanno dimostrato una grande efficacia.

Il tema delle conferenze di servizio semplificate con dei termini perentori, la possibilità di avere una sovrintendenza unica per le opere principali che fosse a Roma e potrei raccontare tante altre cose, sicuramente ha molto facilitato un tema che è il tema delle opere pubbliche in Italia. Noi sappiamo benissimo che in Italia i tempi di progettazione e di autorizzazione delle opere pubbliche sono superiori ai tempi di realizzazione, quindi perdiamo più tempo ad avere le autorizzazioni che a costruire le opere, quindi questo determina questi tempi infiniti al di fuori di quella che sono il buon senso di un mondo che è sempre più veloce.

Queste esperienze italiane sono state le esperienze positive, ho detto e ne abbiamo anche parlato nell’Assemblea Anci che l’esperienza PNRR non è solo un’esperienza positiva sulla capacità di spesa, è stato anche messo in campo un modello di gestione della filiera burocratica che sicuramente va mantenuto e in alcuni casi migliorato e applicato anche alle risorse ordinarie, ad esempio c’è stata l’estensione ai fondi sviluppo e coesione che è stato sicuramente un passo in avanti molto importante.

Dobbiamo dire che però la burocrazia non è tutta italiana, ognuno di noi ha avuto le sue esperienze con Bruxelles, ognuno di noi sa bene che anche il livello europeo è un livello che è spesso fortemente burocratizzato dove esiste anche in quel caso un pregiudizio sulla capacità di spesa e sulla capacità di controllo da parte degli Stati nazionali e delle strutture locali, quindi io mi auguro che alla semplificazione italiana non corrisponda la complicazione europea, però questa è una sfida che va messa in campo perché in una rivisitazione complessiva della gestione delle risorse europee e delle scelte europee io credo che il fattore tempo sia una variabile non indipendente.

Noi spesso parliamo di Cina e la Cina è un’autocrazia, è un posto dove noi sicuramente preferiamo vivere in Italia ed essere cittadini italiani e europei e non cinesi, però i cinesi decidono a una velocità di gran lunga superiore a quella nella quale decidono gli europei e in un mondo dove il tempo rappresenta la variabile più importante questo ci deve far riflettere, noi abbiamo bisogno di un’Europa che decida e decida rapidamente, prima si ricordava la discussione sulla Commissione europea, la democrazia è fondamentale, però noi abbiamo bisogno di una democrazia che decide, le democrazie che non decidono sono state l’inizio delle grandi dittature che noi abbiamo avuto nel 1900, quindi questo non ce lo dobbiamo dimenticare.

Io ho l’impressione che questa grande fitta produzione burocratica europea nasca dal fatto che l’Unione è un club di persone che non si fidano tanto uno dell’altro e questo determina la moltiplicazione dei vincoli, se guardate la nuova governance fiscale comunitaria, il nuovo patto di stabilità europeo è una lettura neuropsichiatrica prima di politiche con grandezze strutturali, grandezze nominali che si intrecciano in un mondo, perché ognuno voleva mettere il suo, ma questo ci porterebbe lontano.

Per fortuna questo periodo in cui c’è stato questo doppio ruolo di candidato a essere commissario del Ministro Fitto e di ministro, non abbiamo avuto problemi significativi, è chiaro che d’oggi in poi potremmo avere problemi significativi, non sappiamo chi sarà, però c’è un punto che io credo sia molto importante che va conservato, che è quella della visione unitaria dei fondi, perché su questo tema, che è stato un tema anche molto discusso in alcuni casi, non c’era neanche un’unità di valutazione da parte di tutti, io devo dire che questo è stato un risultato positivo della gestione Fitto, mettere insieme i fondi di sviluppo e coesione, i fondi europei e il PNRR ha portato un livello di complementarietà, ma anche evitare di fare questo sistema delle sponde, che è un modo per de-responsabilizzare le amministrazioni locali sui tempi della spesa, che ha fatto fare dei passi in avanti importanti, quindi chiunque venga scelto la cosa fondamentale è che tenga queste tre cose insieme e che poi parli molto con i comuni, perché chiaramente noi ci aspettiamo un’interlocuzione molto continua e molto solida, perché abbiamo tante cose da dire e da fare.

Anche perché, aggiungiamo un dato, i comuni nel momento diciamo peggiore del vecchio patto di stabilità investivano 7, 8 miliardi all’anno, quest’anno arriviamo a 20, in rapporto al PIL vuol dire che si è passati da mezzo punto di PIL a un punto di PIL largo circa, il che non è irrilevante in un paese che lì è attaccato come tutta l’Europa, gli 0,1% di crescita trimestrale.

Io credo che il tema dei trasporti sia uno dei temi esemplificativi di quali siano le opportunità ma anche le contraddizioni della transizione. Oggi sempre di più la mobilità diventa indispensabile, cioè il diritto alla mobilità diventa indispensabile per la qualità della vita dei cittadini, ma per affrontare tutta una serie di temi, perché noi pensiamo che la mobilità sia semplicemente il cittadino che scende da casa sua e deve prendere l’autobus o la metropolitana per arrivare a due, tre chilometri, cinque chilometri di distanza per fare qualcosa. Io che sono sindaco di una città abbastanza complessa, ma di un’area metropolitana estremamente grande, ho 500.000 persone che ogni giorno entrano in città o per lavorare o per studiare o per acquistare qualcosa.

Quindi questo significa che c’è un’altra città che ogni giorno si muove e che quindi deve avere l’opportunità di potersi muovere. Anche perché la marginalità delle periferie, la marginalità delle aree metropolitane è anche impossibilità muoversi, cioè quindi considerare il centro delle città dei luoghi che sono inaccessibili, perché non ci puoi neanche arrivare. Se poi dall’altro lato mettiamo il grande tema delle aree interne, dello spopolamento delle aree interne, noi spesso diciamo, giustamente, che abbiamo un’eccessiva urbanizzazione del Paese, come sta avvenendo in tutto il mondo, e le persone si spostano dalle aree interne.

Ma se non hanno servizi nelle aree interne, non hanno una mobilità che gli consente di usufruire dei servizi che stanno invece nelle aree urbanizzate, l’unica possibilità che hanno è morire o trasferirsi, perché non è che poi hanno una terza scelta. Quindi il tema della mobilità oggi diventa un tema che non è centrale per la transizione ambientale, ma proprio per la qualità della vita delle persone, per la sostenibilità del nostro Paese. Ecco, su questo punto, e concludo, però c’è un grande tema, cioè noi da un lato abbiamo bisogno di investimenti, e debbo dire che col PNRR si stanno facendo degli investimenti importanti, abbiamo bisogno di trasporti che siano sempre più sostenibili, trasporti elettrici, trasporto di massa che possa servire a risolvere i problemi delle grandi aree metropolitane, però dobbiamo ricordare che questi investimenti corrispondono ad un incremento della spesa corrente.

Io questo lo dico a tutti coloro che non conoscono bene le dinamiche economiche del mondo dei trasporti. Dalla bigliettazione si copre un terzo del costo della mobilità, perché se qualcuno si chiede perché quando io vado a Londra spendo 8 sterline per un biglietto della metropolitana, perché là non c’è il contributo statale, non c’è il Fondo Nazionale dei Trasporti, quindi chi prende la metropolitana di Londra si paga il costo del trasporto. Adesso, in Italia il costo medio del biglietto è un’ora e mezzo, 2 euro, 2,50 euro a Milano, quindi praticamente alla fine, ed è già tanto se vogliamo che con i nostri salari e con l’accesso delle fasce medio-basse del reddito della nostra popolazione possano prendere, perché poi altrimenti facciamo delle metropolitane che non prende nessuno, le metropolitane dei ricchi.

Allora, noi quest’ulteriore investimento che noi stiamo facendo, io per esempio a Napoli stiamo aprendo nuove linee nella metropolitana, nuove stazioni, per me è un incubo, perché praticamente è vero che garantiamo più servizi ai cittadini, molto di più, è vero che facciamo più cittadini trasportati, abbiamo incrementato di 10 milioni il trasporto su ferro in un anno e mezzo, però sono aumentati i costi. Allora, se noi pensiamo di incrementare il trasporto senza incrementare il fondo, significa che faremo delle bellissime metropolitane, compreremo dei bellissimi autobus elettrici, ma le metropolitane cammineranno in tempi ridotti, gli autobus elettrici non avranno gli autisti. Questo è un tema, è considerato anche il patto di stabilità.

Quindi, nella pianificazione che noi facciamo, dobbiamo guardare i fondi per l’investimento, ma poi dobbiamo guardare i fondi per la spesa corrente e per la gestione di quello che noi facciamo, altrimenti noi creiamo un mondo che poi non si può usare, questo vale per il trasporto, vale per gli asili nido, vale per i servizi sociali nei comuni, per la digitalizzazione dei comuni, perché è chiaro che ci sarà più efficientamento, ma è anche vero che tutto costerà di più e quindi questa è veramente una sfida che va messa in campo, altrimenti arriveremo in una situazione paradossale. Tra l’altro, questo è un tema di grandissima attualità, nei prossimi giorni entrerà nel vivo della discussione parlamentare la manovra Fondo Nazionale dei Trasporti, c’è 120 milioni per un anno solo, sono circa 5 miliardi. Considerando anche l’incremento dei costi all’energia, perché sono stati enormi negli ultimi anni.

Tanto è vero che il rinnovo contrattuale poi non si riesce a fare. E ci sono scioperi su scioperi, giustamente perché non si è riuscito a fare il rinnovo contrattuale. Però questo è un tema, per chiudere, che intreccia il problema strutturale dei comuni.

Purtroppo anche nell’ultima finanziaria ci sono, anche se noi abbiamo chiesto un cambiamento, c’è una riduzione della spesa corrente con un accantonamento come spesa d’investimento. Io credo che se non si fa una riforma anche dal punista fiscale, della fiscalità locale, noi arriveremo nel giro di pochissimo tempo a una situazione di non ritorno. Cioè oggi con le risorse che hanno i comuni la gestione dei servizi è impossibile, cioè con l’incremento dei costi, l’inflazione, l’aumento dei costi dell’energia, l’aumento dei costi e l’impossibilità oramai di utilizzare la leva fiscale se arrivate a una situazione di saturazione.

Questo vale sia per i comuni delle aree più ricche del Paese sia per i comuni delle aree più deboli del Paese, perché i comuni delle aree più ricche del Paese, più sviluppate, hanno una quantità di servizi superiore rispetto a quelli che vengono regalati. Qui hanno una struttura dei costi più grande, quindi ancora di più non hanno margine, del resto si è ricordato come c’è il grande tema del costo della mobilità a Milano, che è una della città che forse è il sistema di mobilità più ampio e più efficiente che esiste in Italia, ma che chiaramente sta in enorme difficoltà sulla sostenibilità.

Ecco, questo ci fa capire che se noi veramente vogliamo affrontare i problemi delle persone e non fare teorie astratte, bisogna affrontare rapidamente il tema del costo dei servizi e della fiscalità locale, perché altrimenti ci troveremo un momento in cui non potremo più erogare questi servizi e allora a quel punto ripartirà il populismo, le proteste, i contrasti, la gente che dice «io esco da casa e non trovo l’autobus» o «il mio figlio va a scuola e non c’ha la mensa», perché è quello che poi interessa i cittadini, perché poi il cittadino, al di là di tutte le idee, le ideologie che noi tutti quanti, su cui possiamo avere idee diverse, ha dei bisogni primari.

E una politica che funziona veramente dà una risposta concreta ai bisogni primari dei cittadini, indipendentemente da quelli che sono gli orientamenti politici dei governi”.

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