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Formule e leader | L’analisi di Goffredo Buccini

“Il silenzio delle armi a Gaza e lo scambio tra ostaggi e detenuti, imposti da Donald Trump, appaiono primi passi preziosi e necessari ma non ancora sufficienti”.

Lo scrive Goffredo Buccini sul Corriere della Sera parlando di ‘formule e leader’: “L’assunto secondo cui «nessuno può combattere per sempre» valse per l’Ira, per l’esercito britannico e per le fazioni collegate. Perché non potrebbe valere per Israele e per i suoi arcinemici? Trump in Medioriente – osserva l’editorialista – ha ottenuto un indiscutibile trionfo, certificato dalle ovazioni tributategli dalla gente di Tel Aviv, dagli onori alla Knesset e dalla standing ovation dei leader a Sharm.

Ma lo slancio della prima fase è destinato ad affievolirsi. Fermare il massacro è la premessa. Ma il passo decisivo perché il sangue non ricominci a scorrere è che ciascuno riesca a umanizzare l’altro”. La vera fase due consisterà nell’emersione di una politica potente che laicizzi un problema troppo incrostato di opposti messianismi.

“Certo, molto potranno fare i Paesi arabi, tenendo sotto pressione Hamas; s’intravede con gli americani un robusto blocco di interessi economici in una versione aggiornata e più lucrosa degli Accordi di Abramo: ben venga, se serve. Moltissimo potranno fare gli israeliani, accompagnando una vera riforma dell’Autorità palestinese. Ma nulla di tutto ciò potrà avvenire senza un cambio di leadership che porti a un riconoscimento reciproco.

Proprio la vicenda irlandese insegna che un interlocutore con cui valga la pena di dialogare deve essere rispettato in primis dalla propria gente: dunque è assai probabile che, nel nostro caso, debba uscire non dal retrobottega di una yeshiva ma da una galera israeliana. Il profilo di quest’uomo è già impresso nella vulgata palestinese ed è quello di Marwan Barghouti. Ma ci vuole un nuovo leader a Gerusalemme che abbia la forza politica di liberarlo a dispetto di cinque ergastoli e di uno stigma da terrorista (lo stesso che gravava, per dire, su Mandela in Sudafrica).

‘La pace si fa con i nemici’, diceva Yitzhak Rabin, prima d’essere ammazzato proprio a causa di essa. La formula, del resto, è sempre la stessa, in ogni tempo e luogo. Ma in Israele richiede una dose supplementare di coraggio”.

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