Sul Corriere della Sera Angelo Panebianco interviene nel dibattito patrimoniale sì-patrimoniale no, e sottolinea come maggioranza e opposizione, impegnate nella discussione, l’una difendendo lo status quo, l’altra proponendo una ridistribuzione della ricchezza, sottostimino il vero problema: la debole crescita economica.
Perché gli stipendi sono bassi? Basta osservare il legame tra crescita asfittica e stagnazione dei salari. La classe media è oggi così ampia e diversificata da rendere difficile definirne i confini, ma ha sempre sostenuto la democrazia. Quando i ceti medi si impoveriscono, le ripercussioni sulla forma di governo sono profonde.
Il problema principale è il blocco dell’ascensore sociale: molti dubitano di poter migliorare la propria condizione e non credono che i figli vivranno meglio dei genitori. Per rimettere in moto l’ascensore sociale servono due cose: liberare lo sviluppo da vincoli e oneri che frenano chi vuole intraprendere, e investire seriamente nel capitale umano, offrendo sistemi educativi capaci di formare persone adattabili e personale qualificato per il sistema produttivo.
Gli economisti giudicano la manovra finanziaria rigorosa nei conti ma povera di misure per lo sviluppo. Poiché una manovra riflette le scelte di fondo di un governo, si può dire che l’esecutivo difenda lo status quo. Su questo – e sulla formazione del capitale umano – dovrebbe concentrarsi un’opposizione non demagogica. Ma ciò non avviene.
Perché? Per tre ragioni: gli orientamenti profondi del Paese, l’assetto istituzionale e la debolezza culturale della classe politica. Manca una cultura politica capace di andare oltre la difesa dell’esistente o l’agitazione demagogica: forze liberal-conservatrici e socialiste non populiste dovrebbero convergere sul rilancio dello sviluppo.
Gli ostacoli sembrano insuperabili, ma la storia è imprevedibile. Talvolta l’innovazione emerge quando meno te lo aspetti; piccoli movimenti preparano cambiamenti più ampi. Forse le sfide dell’Europa trascineranno anche un’Italia riluttante a cambiare. In meglio, si spera.








