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Carmine Masiello, Capo di Stato maggiore dell’Esercito Italiano: “La difesa e la sicurezza sono i presupposti della pace e del benessere”

Carmine Masiello, Capo di Stato maggiore dell’Esercito Italiano, è intervenuto agli Stati Generali della Ripartenza organizzati dall’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia il 29 e 30 novembre 2024 a Bologna.

Ecco un estratto del suo intervento durante il panel centrato sul tema “La situazione geopolitica e i prossimi scenari planetari“, in dialogo con Franco Massi, Segretario Generale della Corte dei conti, già Vicesegretaro Generale della Difesa.

“Noi boomers siamo cresciuti in una situazione geopolitica di pace e io ho scelto la vita militare in una situazione di pace e questo sentimento di pace è stato ancora più forte dopo la caduta del muro di Berlino, pensando che ormai i conflitti fossero qualcosa relegata nella storia o perlomeno non ci interessassero più, e pensando che tutti questi dividendi della pace potessero andare nello sviluppo economico, nel benessere e quant’altro.

In effetti per circa una trentina di anni le forze armate sono state impegnate in quelle che vengono comunemente chiamate operazioni di supporto alla pace, quindi questi italiani brava gente che andavano ad aiutare i bambini, a distribuire farina eccetera, che è uno dei compiti delle forze armate sicuramente, però non è il compito primario, il compito primario che avevamo dimenticato, abbiamo dimenticato per motivi politici, di lotta politica, per motivi culturali e che oggi la realtà ci richiama fortemente a tener conto.

La difesa e la sicurezza sono i presupposti della pace e del benessere, bisogna far capire che i militari sono gli ultimi a volere la guerra e devo fare questa precisazione perché recentemente in un mio intervento parlando a tutti i miei ufficiali, sottoufficiali, allievi all’inaugurazione dell’anno accademico delle scuole militari ho detto che l’esercito deve prepararsi alla guerra, non ho detto che l’esercito vuole fare la guerra, ho detto che l’esercito deve prepararsi alla guerra, è il compito primario dell’esercito, dobbiamo saperlo.

Quando si parla di guerra, ed è qui che bisogna essere chiari, non sono le forze armate che vanno in guerra, è l’Italia che va in guerra, dovesse mai succedere, quindi tutti dobbiamo essere educati a questo concetto, io lo so che è più bello parlare di apericena, è più bello trascorrere le serate lungo il mare, eccetera, però purtroppo vi sono dei momenti in cui bisogna fermarsi almeno a riflettere e penso che quello che sta succedendo intorno a noi ci stia obbligando perlomeno a riflettere.

E quindi esiste il bisogno di un salto culturale, non bisogna fasciarsi gli occhi, non bisogna far finta di niente e soprattutto non bisogna approcciarsi a questo problema in maniera ideologica e lo dico da comandante dell’esercito perché sono la persona più preoccupata, Dio non voglia che succeda qualcosa, io poi sono il primo a finire sul banco degli imputati se non preparati i miei uomini al compito primario per cui esistono.

Oggi ci sono 56 guerre nel mondo, dal 2020 al 2023 c’è stato un incremento del 40% dei conflitti. i conflitti ci sono sempre stati e non ci abbiamo mai fatto caso, non abbiamo voluto farci caso perché è molto più bello far finta di non vedere, oggi però la realtà è alle porte di casa e quindi dobbiamo guardare a quello che sta succedendo e questo obbliga un’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, per quanto scomodo possa essere, perché lo so che è scomodo parlare di queste cose, anche per gli impatti che hanno sulla vita di tutti i giorni.

L’Unione Europea si sforza di affrontare questi temi, ma è estremamente difficile e vedete bene non è un problema tecnico, non è assolutamente un problema tecnico o militare, è essenzialmente un problema politico, è una questione di far convergere interessi nazionali verso un interesse comunitario, noi riusciamo a far convergere gli interessi dei singoli Stati su questo argomento su un interesse primario europeo, è semplice a dirlo ma non è semplice a farlo, un soldato portoghese difficilmente potrebbe morire per un finlandese, un norvegese per un italiano etc., su queste cose bisogna confrontarsi e quindi l’Europa non c’è e quindi dobbiamo essere anche un po’ autarchici da questo punto di vista, dobbiamo pensare a noi e quindi questo comporta di prendere coscienza di questo problema.

Ma se c’è un problema in Europa c’è un problema un po’ dappertutto, perché l’Africa è qui, bussa alle nostre porte e dobbiamo preoccuparci dell’Africa, vedete la questione ucraina ha sorpreso tutti gli eserciti occidentali, tutte le forze armate dei paesi occidentali, non ha sorpreso solamente noi italiani, perché tutti vivevamo in quel mito, improvvisamente l’Ucraina ci ha risvegliati, quindi quello che stiamo facendo è che stiamo reagendo, stiamo cercando di reagire e vi assicuro che non è cosa semplice per diversi motivi.

Ma mentre reagiamo stiamo guardando a quello che sarà, stiamo cercando di capire quello che sarà il mondo fra 20-30 anni, perché a me piace dirlo quando ne discuto con il mio staff, stiamo reagendo all’Ucraina, ma stiamo pensando all’Africa, perché il nostro problema, ormai mi sembra abbastanza evidente, sarà l’Africa tra qualche decina d’anni, per tutta una serie di motivi e territorio di conquista di russi, cinesi, turchi che stanno colonizzando in una nuova maniera i paesi africani.

C’è un’incapacità totale dell’Europa di farsi carico dell’Africa, anche perché occuparsi dell’Africa lo può fare soltanto l’Europa, un paese da solo non può preoccuparsi dell’Africa, è un problema troppo grosso, c’è uno scarso interesse degli Stati Uniti all’Africa, noi siamo sempre stati abituati a vivere sotto l’ombrello degli amici statunitensi, perché loro si sono preoccupati esclusivamente della Cina. L’Ucraina per gli Stati Uniti è soltanto una parentesi strategica, appena risolveranno il problema e ritengo che non manchi molto, perché arriveranno a risolvere questo problema, torneranno a occuparsi di Cina, ci lasceranno con i nostri problemi europei, quindi c’è un problema Africa che dobbiamo tener conto.

Scontiamo circa 30-20 anni di ipofinanziamento delle forze armate perché volevamo raccogliere i dividendi della pace e poi improvvisamente ci siamo resi conto che in Ucraina si combatte con i carri armati, in Ucraina ci sono le trincee, i campi minati, tutte cose che avevamo dimenticato o qualcuno ci aveva costretto a dimenticare e quindi questo è duro perché è una guerra molto dura, è un modo di combattere molto duro, fisico, e poi c’è la guerra tecnologica che si affianca a questa guerra classica e quindi dobbiamo abituarci a quest’idea dello scontro fisico e dello scontro digitale, in quello che qualcuno ha chiamato il “conflitto figitale”.

Dobbiamo correre. Se pensiamo alla minaccia russa, perché è la minaccia con cui adesso dobbiamo fare i conti nell’immediato, sappiamo benissimo quali sono i tempi in cui l’esercito russo, le forze armate russe avranno ricostituito i loro stock e le loro capacità per poter rappresentare una minaccia. Allo stesso tempo sappiamo benissimo quali sono i tempi di cui noi abbiamo bisogno per metterci alla pari, per metterci in condizione di poter fare fronte a questa minaccia.

E non ci siamo, non ci siamo perché le procedure sono tali per cui richiedono troppo tempo. Oggi per avere un carro armato, un aereo o qualsiasi incremento capacitivo della difesa c’è una procedura particolarmente farraginosa che parte da un’esigenza operativa, che si trasforma in un requisito operativo, che richiede un decreto interministeriale, un passaggio parlamentare, tutte cose giuste, però non abbiamo il tempo, dobbiamo trovare la soluzione di accorciare queste procedure. Oggi si parla tantissimo di droni, penso che tutti sappiano e vedano come i droni stanno rivoluzionando non soltanto i conflitti ma proprio il nostro modo di vivere, perché c’è un impatto anche nella vita civile.

Abbiamo grosse difficoltà a intercettare quelle che sono le evoluzioni tecnologiche, perché soffriamo ancora della sindrome da caserma in cui siamo stati relegati per anni e oggi guarire da questa sindrome da caserma non è semplice, anche perché non abbiamo la leva, siamo un esercito di professionisti, il contatto con la società ormai è limitato a questi convegni, ai militari che stanno in strade sicure o all’aereo che porta il ferito o il bambino che ha bisogno di cura rapidamente.

Non c’è più quell’osmosi che c’era ai tempi della leva, quindi abbiamo difficoltà a intercettare le evoluzioni tecnologiche e quando, per fortuna o per capacità, a volte riusciamo a intercettare, abbiamo dei tempi per portare queste evoluzioni dentro la nostra organizzazione, che sono talmente elevati che quando riesco a portarlo fuori sono già stati fatti n passi avanti e quindi è totalmente inutile. Quindi su questo va fatta una riflessione, una riflessione tecnica sicuramente, ma va fatta anche una riflessione politica, perché non è la stessa cosa comprare dei banchi e comprare dei carri armati.

Personalmente sto sviluppando tutta una serie di iniziative per far sì che i giovani, che sono quelli con i gradi più bassi, riescano a far arrivare le idee al vertice. Perché, come mi piace dire, è uno slogan che ho lanciato appena mi sono insediato, che le idee non hanno gradi, quindi possono venire da tutti, soprattutto in questo periodo, perché i giovani sono i veri motori del cambiamento. Il problema è farle arrivare.

E oggi, anche se non vogliamo vederlo, siamo già in guerra. Siamo in una guerra sottosoglia nei domini spaziali, cibernetico e della disinformazione. Dobbiamo prenderne atto”.

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