Anna Finocchiaro, Presidente Fondazione Italia Decide, è intervenuta agli Stati Generali della Ripartenza organizzati dall’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia il 29 e 30 novembre 2024 a Bologna.
Ecco un estratto del suo intervento al panel centrato sul tema “Autonomia e sistema sanitario“, moderato dal giornalista e Direttore dell’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia, Giuseppe Caporale.
“La riforma del sistema sanitario mi pare un po’ difficile che incida con la potenza che era stata immaginata da coloro i quali la riforma hanno ideato e votato. Perché correttamente la Corte Costituzionale ha detto che il dettato dell’articolo 116 che dice che a singole regioni possono essere concesse forme e condizioni particolari di autonomia nell’ambito di alcune materie e benaltro del trasferimento di intere materie come avrebbe potuto accadere con l’istruzione, con l’energia, con la sanità che era stata intesa e tradotta nel disegno di legge Calderoli, il quale essendo attuazione apparentemente dell’articolo 116 aveva la necessità di operare questa traduzione nell’ordinamento dell’articolo 116 in una severa e precisa cornice i cui punti erano costituiti dalle previsioni costituzionali, dal diritto all’uguaglianza per esempio, dal dovere di solidarietà, dal principio di sussidiarietà cioè tutto un complesso di prescrizioni costituzionali che certo non potevano che imprimere e non potranno che mai imprimere a qualunque riforma sull’autonomia un carattere ben diverso da quello del testo che è stato così incisivamente deciso dalla Corte Costituzionale.
Il nostro modello di assistenza sanitaria è tra i migliori al mondo. Oggi attraversa una gravissima difficoltà in parte dovuta alla pandemia e in parte diciamolo dovuta ad un’assoluta assenza di programmazione. Com’è possibile che ci troviamo di fronte a una così drammatica carenza di personale e sotto il profilo del personale medico e sotto il profilo del personale infermieristico?
Com’è che non ha funzionato quello che sembra, credo elementare, cioè il raccordo tra il momento della formazione della formazione professionale e poi il momento dell’ingresso da lavoratore, medico o infermiere nel sistema? Com’è che si è così sottostimata o addirittura sottovalutata una questione essenziale come questa? Per cui ora abbiamo le cooperative, per cui i medici lavorano a gettone e in un momento di straordinaria emergenza come il Covid migravano pensionati infermieri e medici da una regione all’altra d’Italia.
Ma d’altronde le statistiche sono chiare. Noi siamo sotto la media europea per la presenza di medici nel servizio sanitario pubblico e in drammatica carenza di infermieri nello stesso ambito. Quindi evidentemente c’è un difetto di programmazione.
Il sistema sanitario nel nostro paese è fatto di pubblico e di privato e il privato entra in moltissime forme. Entra con le case di cura private, entra con le assicurazioni, entra con il terzo settore che svolge tanta parte dell’attività di assistenza soprattutto per gli anziani o per le persone che hanno altri problemi di assistenza cronici.
Il tutto avviene senza una vera integrazione salvo che per quei servizi che rientrano dopo le dimissioni dall’ospedale e quindi le riabilitazioni e via dicendo. Per il resto non c’è una vera integrazione. Accade quindi per esempio che con le case di cura multispecialistiche si produce il rischio di una concorrenza da parte delle strutture private molto alto, nel senso che le strutture private agiscono su pezzi di mercato dove il rischio è più basso e la redditività è più alta e questo scarica sugli ospedali per esempio gli interventi più complessi, i livelli di responsabilità più alti.
Non è sempre vero naturalmente e nessuno nega che ci siano punti di eccellenza nel privato in questo paese. Ciascuno di noi ne ha conoscenza. Ma quello che manca è una vera integrazione.
È una vera e propria integrazione che deve nascere dalla vera conoscenza delle nostre difficoltà, l’invecchiamento della popolazione è naturalmente uno di questi e deve essere in grado di mettere insieme risorse, competenze senza consentire che ci siano degli spazi opportunistici e dei comportamenti opportunistici perché quello che deve interessare allo stesso modo pubblico e privato è il perseguimento del fine ultimo che è la salute dei cittadini.
Punto. Dopodiché è ovvio che ci vorrebbero più risorse ma non lo dice un’opposizione cattiva o chi guarda in maniera malvolente i governi che si succedono no, dice la Corte Costituzionale, lo dice la Corte dei Conti, lo dicono gli uffici parlamentari che se ne occupano. Ci vorrebbero più risorse perché le risorse per adesso sono scarse.
Come sempre quando le risorse difettano poi è l’ordine delle priorità e la gerarchia delle priorità che guida la spesa pubblica. Ma certamente possiamo già fare molto adesso riprendendo non soltanto le redini di una programmazione ma anche quella di un lavoro paziente in cui il mercato della salute, lasciatemelo chiamare così, non è soltanto mosso e determinato dalle leggi del mercato ma è quello dell’integrazione tra i servizi, tra le funzioni, tra i soggetti e tra le competenze a funzionare.
Un altro grande investimento che secondo me andrebbe fatto sulla sanità è quello che riguarda la qualificazione delle committenze perché io credo che il partneriato pubblico-privato non ha un’accezione negativa. Quello che mi interessa di una relazione tra pubblico e privato è il fatto che dal privato possano venire al pubblico suggerimenti di innovazioni, di sperimentazioni particolarmente interessanti, ma per fare questo la committenza pubblica deve essere in grado di riconoscerla l’innovazione, di valutarla come vera opportunità, adeguatamente remunerata”.