Nel 2019 il Sistema produttivo culturale e creativo era in crescita e rappresentava il 5,7% del valore aggiunto italiano: oltre 90 miliardi di euro, cioè l’1% in più dell’anno precedente. Oltre il 44% di questa ricchezza era generato da settori non culturali, manifatturieri e dei servizi, nei quali lavorano oltre 630.000 professionisti della cultura.
Il Sistema Produttivo Culturale e Creativo dava lavoro a più di un milione e mezzo di persone, vale a dire il 5,9% dei lavoratori italiani. Dato in crescita su base annuale rispetto al 2018: +1,4%, con una performance nettamente migliore rispetto al complesso dell’economia (+0,6%), che segna un contributo crescente della filiera all’occupazione nazionale. Altra foto quella dell’indagine condotta nel 2020, in cui il 44% degli operatori della filiera stima perdite di ricavi per il 2020, superiori al 15% del proprio bilancio, il 15% prospetta perdite che superano addirittura il 50%.
È quanto emerge dal rapporto “Io sono cultura” della Fondazione Symbola, presentato oggi, con un focus sui dati delle Marche, dal presidente della Fondazione Ermete Realacci, dal direttore delle ricerche del Centro Studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne, Alessandro Rinaldi; dall’assessore alla Cultura Regione Marche, Giorgia Latini; dalla direttrice Macerata Opera Festival, Barbara Minghetti. I numeri dimostrano che la cultura è uno dei motori della nostra economia e lo studio propone numeri e storie ed è realizzato grazie al contributo di molte personalità di punta nei diversi settori.
A soffrire di più nel 2020, spiega il dossier, sono state le imprese dei settori “performing arts” e “arti visive”, quelle operanti nella conservazione e valorizzazione del patrimonio storico e artistico, per la maggiore esposizione alle norme di distanziamento sociale e molte delle imprese che rappresentano l’indotto culturale come ad esempio parte della nostra industria turistica. Lo studio tuttavia segnala anche la presenza di settori in cui l’incidenza di imprese che dichiarano di aver sperimentato una crescita dei ricavi è tutt’altro che trascurabile: in primo luogo il settore videogiochi e software (avvantaggiato dall’allontanamento sociale che ha aumentato la domanda di intrattenimento domestico), ma anche il comparto architettura e design.
La crisi pandemica ha evidenziato tante fragilità del settore. Prima su tutte la frammentazione tra i vari segmenti: le diversità di mondi peculiari, che necessitano di norme e strumenti specifici, va accompagnata da una visione sistemica del settore e un’idea di sviluppo condivisa, frutto di contaminazioni crescenti e necessarie per attivare una catena del valore che renda più sostenibili le produzioni culturali.
“Per il sistema produttivo culturale e creativo il 2019 si era rivelato un anno positivo, con risultati superiori al totale dell’economia in termini di occupazione (+1,4% rispetto a +0,6%) e dati in linea in termini di prodotto generato (+1% a fronte di 1,2%)”, ha sottolineato Rinaldi: “Purtroppo i risultati del 2020, misurati attraverso indagini dirette, ci restituiscono un quadro di grandi difficoltà, in cui due terzi delle imprese hanno diminuito il fatturato. Per contro va detto che la crisi pandemica ha però indotto una accelerazione della transizione digitale nelle imprese culturali e creative in una misura superiore rispetto alla media (13,8% contro 7,3%)”, ha concluso.








