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Giuseppe Vegas (ex presidente Consob): «Fisco: la leva della giustizia fiscale per riavviare la scala mobile sociale»

Il governo Draghi ha scelto di dare primaria importanza alla riforma della Giustizia, dovendo necessariamente accantonare le altre riforme, rinviandole a settembre. Questo allo scopo immediato di poter ottenere i finanziamenti europei del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza e contemporaneamente per riformare radicalmente il Paese.

«La considerazione della realtà ha imposto un allungamento dei tempi della preannunciata riforma fiscale, malgrado il fatto che sia una riforma annunciata da tempo e sia attesa da tutti i contribuenti»,  spiega Giuseppe Vega, già presidente di Consob e viceministro dell’Economia, su Milano Finanza.

«Con due principali obiettivi: quello di rendere più equo il prelievo – attualmente gravante troppo sui redditi e in particolare su quelli di lavoratori dipendenti e pensionati – sradicando contemporaneamente il fenomeno della intollerabile evasione strutturale, e quello diminuire la pressione fiscale nel suo complesso, allo scopo di liberare risorse da destinare allo sviluppo economico e ai consumi».

«In realtà», continua Vega «anche nell’ambito dell’indagine conoscitiva che si è svolta recentemente – attraverso una corposa serie di audizione di responsabili istituzionali, delle parti sociali e di esperti – nelle commissioni finanze di Camera e Senato l’attenzione si è incentrata particolarmente sulla riforma dell’Irpef».

«Vero è che si tratta dell’imposta principale e che riguarda direttamente tutti i contribuenti, ma anche vero che con la recisione dell’Irpef non si può ritenere conclusa la questione di una radicale riforma del fisco, tanto più in un’epoca nella quale i cambiamenti dell’economia interna e globale si stanno dimostrando tanto rilevanti da sottoporre a radicali critiche il fondamento della stessa legittimità del prelievo forzoso operato dallo Stato a danno dei cittadini».

«L’Irpef non è tutto, ma, se si è forzati a produrre con urgenza un primo risultato tangibile, ci si può accontentare. Tanto più che la risoluzione approvata dalle commissioni parlamentari indica come obiettivo principale della modifica dell’Irpef quello di agevolare il sistema produttivo e il conseguente sviluppo economico. Il che non è assolutamente da poco sotto il profilo dell’approccio culturale».

«Infatti, la possibile riforma, ancorché limitata alla principale imposta diretta, dell’imposizione fiscale viene valutata in funzione della sua capacità di produrre sviluppo e non, come costantemente avvenuto nel passato, a ragione della sua altitudine ad operare un’azione redistributiva dei redditi attraverso una via impropriamente fiscale e non economica», prosegue.

«In ogni caso, il documento parlamentare propone una revisione del sistema delle aliquote dell’Irpef, con particolare riferimento all’addolcimento dello scalino esistente a livello dei redditi centrali, e la incorporazione dell’Irap nell’imposta sui redditi personali, lasciando tuttavia impregiudicata la questione della permanenza dell’Imu. Il che, date le circostanze, non può ritenersi obiettivo trascurabile».

«Non ha avuto soluzione invece il tema dell’alleggerimento complessivo del carico fiscale. Obiettivo imprescindibile per la maggioranza dei partiti, ma che ha visto un parere critico da parte del ministro dell’economia, che ha fatto presente che il taglio alle tasse sarebbe possibile solo se si reperissero risorse adeguate per coprire l’onere derivante al bilancio dello Stato per le mancate entrate».

«D’altra parte, anche l’Unione Europea, in occasione delle decisioni relative alle modifiche al Patto di stabilità, aveva chiarito che non sarebbe stato possibile incrementare il deficit per dar corso a tagli di imposte. Ovviamente esistono questioni minori da risolvere, come ad esempio il mantenimento della cosiddetta flat tax per i redditi autonomi medio-bassi o il mantenimento o la modifica di molte detrazioni e deduzioni fiscali. Ma la vera domanda è come riuscire abbassare le tasse nel loro complesso. A questo punto il rinvio della questione a settembre pone l’esecutivo di fronte ad un problema di carattere giuridico-normativo», spiega.

«Se infatti la normativa di modifica dell’Irpef sarà attuata attraverso una specifica legge occorrerà distinguere se si tratterà di una legge ordinaria o una legge di delega. In entrambi i casi occorre in ogni caso definire la sua copertura finanziaria ex-ante al momento della definizione della norma autorizzativa, restando poi al governo l’onere di completare la delega con le misure concrete in materia fiscale. Cosa che forse non sarà facilissima se prima non si saranno definiti con esattezza i confini delle modifiche fiscali desiderabili».

«Inoltre, se con la delega si volessero diminuire i livelli impositivi, occorrerà prevedere una copertura finanziaria adeguata, fattispecie di una certa complessità, soprattutto in un periodo di coincidenza con la preparazione della legge di bilancio, la quale costituisce la sede per definire gli obiettivi quantitativi della manovra, anche per la parte fiscale».

«Se invece si volesse facilitare l’iter parlamentare della manovra fiscale, o per così dire agevolare le procedure, si potrebbe fare tranquillamente ricorso ad un articolo della legge di bilancio in modo da consentire nell’equilibrio generale dei saldi definiti nella manovra finanziaria, di definire il quantum da utilizzare ai nostri fini. Vero è che, stando alla legge di contabilità e ai regolamenti parlamentari, non si potrebbe introdurre una norma di delega nell’ambito della legge di bilancio, ma di recente abbiamo visto ben altro. La soluzione potrebbe essere quella di destinare alla riforma fiscale un disegno di legge collegato alla manovra finanziaria».

«Si potrebbe così conseguire il duplice risultato di approvare la riforma fiscale in tempi congrui perché possa entrare in vigore già dal 1 gennaio 2022 e contemporaneamente riportare i saldi di bilancio, eventualmente peggiorati che ne potrebbero derivare, nell’ambito della legge di bilancio, in modo da renderne meno immediatamente visibile l’onere, all’interno di una normativa complessa e difficilmente sindacabile sia dagli organi di controllo interno, sia da quelli di livello europeo», conclude.

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