“È opinione comune fra gli osservatori che il maggiore partito della sinistra italiana, il Pd, non si sia ancora procurato le carte che servirebbero per renderlo competitivo nei confronti dello schieramento di destra alle elezioni del 2027”.
Così Angelo Panebianco sul Corriere della Sera in un’analisi sulle prospettive dell’opposizione: “La regola oggi è che chi vince le elezioni è già bello e cotto dopo poco tempo, pronto ad essere sconfitto, anzi travolto, alle elezioni successive. Ma oggi in Italia, a quanto pare, no. Colpa dei leader della sinistra? Della loro incapacità di presentarsi come una responsabile forza di governo? C’è un limite in tanti ragionamenti sulla sinistra.
L’attenzione è tutta concentrata sui leader (Schlein, Conte, Landini, eccetera) e su ciò che fanno o non fanno. Come se gli elettori non esistessero. Come se gli elettori fossero pacchi, spostabili di qua o di là a seconda di ciò che decidono i leader. Ma gli elettori non sono pacchi, hanno le loro idee, i loro interessi, i loro tic, le loro abitudini. E i leader devono tenerne conto. È davvero assurdo ipotizzare che una fondamentale ragione per cui ciò che oggi è il Pd dipenda dal fatto che ai suoi elettori di riferimento esso va benissimo così? Ebbene sì, forse le cose stanno proprio così.”
“Certamente – spiega Panebianco – pesano i processi di radicalizzazione/polarizzazione in atto in tante democrazie occidentali, Stati Uniti in testa. Ma nel caso italiano, forse, c’è qualcosa di più. C’è il fatto che la storia non è acqua e incide sui comportamenti dei contemporanei anche quando essi non se ne rendono conto o se ne rendono conto solo in parte. Per decenni, durante la cosiddetta Prima Repubblica, il Partito comunista è rimasto all’opposizione. In tutti quei decenni i suoi elettori erano sempre lì: continuavano a votarlo imperterriti nonostante l’evidente impossibilità per il loro partito di andare al governo.
Continuavano a prendere per buone (o a fingere di farlo) le sue promesse, che venivano riproposte una campagna elettorale dopo l’altra: la promessa di “grandi cambiamenti”, la promessa di un “rinnovamento profondo” della società italiana. Quella storia pesa verosimilmente sul presente: per tanti elettori, allora come oggi, è confortevole l’idea che la propria “parte” politica sia all’opposizione del governo nazionale, che non si stia sporcando le mani con la gestione quotidiana del potere. Stare all’opposizione non è per tutti una posizione scomoda (per alcuni sì ma per altri no): consente di sentirsi “puri”, migliori, lascia liberi di inveire contro i “malvagi” che ci governano.”