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Ezio Mauro (Repubblica): «Il sistema politico non basta a garantire le riforme del PNRR. Ecco perché serve il patto sociale»

«È il momento della società». Lo sostiene Ezio Mauro, commenta la strategia politica di Mario Draghi, affermando che il premier sta cercando «di costruire un sistema di alleanze nel Paese, guardando oltre il sistema politico e istituzionale».

La società, spiega Mauro, «va investita e coinvolta nelle sue energie e nei suoi bisogni se si vuole sfruttare fino in fondo la possibile fine dell’emergenza per avviare una vera fase di ricostruzione, come negli anni del Dopoguerra. È questo il senso del “patto per la rinascita” presentato giovedì 23 settembre dal presidente del Consiglio agli imprenditori riuniti nell’assemblea di Confindustria, e oggi illustrato ai vertici sindacali».

«Una proposta che nasce da un’ambizione e da una preoccupazione: il sistema politico da solo non riesce a garantire il percorso, i tempi e la portata del piano di riforme indispensabili per usufruire del Recovery Fund; bisogna dunque cercare forze di sostegno e di propulsione nel sociale, anche per organizzarlo e non lasciarlo in balia delle dinamiche del virus, che ha scaricato proprio qui i suoi effetti di trasformazione, convertendo la paura nella ribellione dei No Vax».

«È l’atto di passaggio da un governo tecnico a un governo politico. La pandemia non agisce soltanto sul fronte della salute, ma investe l’economia, il lavoro, la scuola, l’autonomia degli individui, i loro ambiti di relazione, gli spazi di movimento, la libertà. Dopo il vaccino, l’azione di contrasto a questa forza cieca del Covid può venire solo da un progetto che non punti esclusivamente a tamponare le debolezze del sistema ma ridisegni il suo profilo modernizzandolo, spostando la sfida sul terreno dell’innovazione».

«C’è dunque una chance per il cambiamento, uscendo da una logica clientelare, di scambio, di corruzione e di cambiali elettorali, da sistema chiuso e asfittico» continua. «Quella logica in passato ha fatto spesso comodo anche agli industriali, che nella loro assemblea hanno scaricato le vecchie e ormai tradizionali pulsioni antipolitiche in una standing ovation per il premier, invitando i partiti a non compromettere la coesione del governo: ma gli imprenditori, intanto, oggi sono pronti a fare la loro parte, dentro le regole?»

«La fase che si sta aprendo, a ben guardare, sembra più avanti dei loro applausi. Il presidente Bonomi ha salutato in Draghi “l’uomo della necessità”, contrapponendolo agli uomini della provvidenza che il Paese ha sperimentato e agli uomini del possibile, che non scelgono mai e non decidono. E lo stato di eccezione che ha portato alla nascita di questo governo del presidente spinge il premier a privilegiare le decisioni necessarie rispetto al pieno consenso preventivo dei partiti che lo sostengono, nella convinzione che oggi nessuno può assumersi la responsabilità di una crisi. Ma nello stesso tempo oggi Draghi sembra in realtà interessato a uscire dalla logica stretta della necessità per entrare nella fase delle opportunità».

«Nell’emergenza si decidono infatti le misure impellenti e indispensabili, tutto è preordinato, l’unica opzione è la salvezza. La necessità trasforma questi obblighi in numeri e in parametri, che diventano simbolici, non hanno nemmeno bisogno di essere giustificati perché rappresentano la cifra della crisi, dunque sono sovraordinati alla politica, anzi finiscono per diventare essi stessi politica. Col risultato di una pubblica opinione condizionata dalla crisi di cui ha introiettato il codice, perché intimidita dalla necessità e dalla sua egemonia, che pervade il sistema: e lascia spazio non a obiezioni culturali, ma solo a ribellioni antisistema».

«Come se volesse passare dall’amministrazione della necessità alla politica in campo aperto, Draghi si inoltra in un terreno inesplorato, che va oltre l’esperienza della concertazione. Il quadro infatti è profondamente mutato dall’epoca di Ciampi. Oggi un’opinione pubblica diffidente chiede alla politica un continuo rendiconto come base morale di qualsiasi posizione di potere, nel sospetto che la democrazia da meccanismo di tutela dei deboli sia diventata il regime di garanzia dei forti».

«Un nuovo patto sociale dovrà sormontare questi pregiudizi nutriti per anni dall’antipolitica, ma dovrà anche tener conto che la crescita delle disuguaglianze ha prodotto esclusioni e naufragi: noi fingiamo che il garantito e lo scartato – soggetti titolari dei medesimi diritti democratici – siano ancora collegati dallo stesso vincolo sociale, mentre in realtà i destini si sono divaricati e la cultura del tempo dà al cittadino integrato l’autorizzazione a muoversi da solo e per sé soltanto, fuori da ogni responsabilità per l’escluso. Se non c’è legame sociale non può esserci condivisione, perché salta qualsiasi interdipendenza e viene meno il riconoscimento reciproco tra chi è in grado di auto-determinarsi e chi invece è determinato dall’esterno».

«Infragilita la coesione morale, scricchiola per conseguenza il welfare, la compassione si candida a surrogare la solidarietà, la carità prova invano a riempire gli spazi abbandonati dai diritti che arretrano. Si tocca con mano che la crisi non è neutrale, le garanzie sociali ne escono indebolite e con uno statuto definitivamente inferiore ai diritti politici, come una variabile dipendente dal mercato, negoziabili dunque comprimibili se il contesto economico lo consiglia. Si scopre che il lavoro, nella sua frantumazione, sembra per la prima volta nella sua storia incapace di creare diritti, reso sterile dalla crisi».

«Si prende atto che si sta rompendo l’alleanza storica in Europa tra il capitale, il lavoro, il welfare e il voto democratico, con la conseguenza che fuori da questo perimetro è difficile trovare una nuova legittimazione di sistema per tutti gli attori coinvolti, il capitalista, l’imprenditore, il lavoratore: ognuno pensi a se stesso. E a questo punto arriva il momento di porsi la domanda finale: ma la procedura democratica conserva questo suo carattere democratico anche nei casi in cui la negoziazione sociale è fortemente squilibrata da una profonda disuguaglianza tra le parti?»

«Questi sono i temi che Draghi si troverà davanti se vuole sottoscrivere il “patto per la rinascita” dopo che la finanza globale ha cancellato il patto del Novecento tra i produttori e i proprietari del sistema di produzione, quando tutto era fisso, rigido e connesso, sotto lo stesso tetto della fabbrica. Oggi si può accettare la spontaneità della fase, lasciando che riordini darwinianamente ruoli e gerarchie nel lavoro senza un’idea di ricomposizione sociale».

«Oppure tocca alla democrazia farsi carico della responsabilità di cercare una nuova regola per il nuovo inizio, ben al di là del confronto tra il lavoro e l’impresa» conclude Mauro. «Perché se davvero nulla sarà più come prima è arrivato il momento di riformulare la tavola dei diritti e dei doveri, delle protezioni, delle opportunità di crescita, delle nuove uguaglianze: e cioè di riscrivere il contratto sociale per il mondo che ricomincia.

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