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[L’intervento esclusivo] Franco Locatelli (presidente Css e coordinatore Cts): «Alleanza contro il Cancro, cinque bambini hanno risposto in maniera completa all’utilizzo di cellule CAR-T, ottenendo il controllo della malattia»

I RELATORI

Franco Locatelli, presidente Css e coordinatore Cts, ha rilasciato alcune dichiarazioni in esclusiva all’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia in occasione del webinar online, dal titolo “Ricominciamo a progettare il futuro: le terapie cellulari avanzate saranno il presente”. L’evento, moderato da Alessandra De Palma, direttrice U.O.C. Medicina Legale e Gestione Integrata del Rischio Area Sicurezza delle Cure IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria Bologna, ha visto tra gli ospiti anche Chiara Gibertoni, direttrice generale IRRCS AOU di Bologna Policlinico di Sant Orsola, e Francesca Bonifazi, responsabile del Programma Trapianto Cellule staminali ematopoietiche e Terapie Cellulari avanzate.

Professor Locatelli, può darci un inquadramento generale su questo tema così importante come le terapie cellulari avanzate, anche per la cura sia in ambito pediatrico sia per altre età della vita?

«Questo è un periodo di innovazione, possiamo dire anche di rivoluzione biotecnologica, formidabile. Per certi versi credo che in nessun altro periodo della storia della Medicina si siano avuti così tanti progressi e così tanti sofisticati avanzamenti nell’ambito di quella che possiamo definire una medicina di precisione e anche personalizzata».

«Le terapie avanzate con cellule geneticamente modificate sono prepotentemente la frontiera estrema più avanzata di questo tipo di approccio. Anche declinate per la cura di malattie ereditarie, e mi riferisco, ad esempio, dell’emoglobinopatia. In Italia abbiamo 7mila talassemici che hanno bisogno regolare di trasfusioni e di farmaci per rimuovere il sovraccarico di ferro che adesso hanno la prospettiva di trovare in larga parte risposta attraverso gli approcci di terapia genica o di editing del genoma tali da renderli indipendenti dal fabbisogno trasfusionale».

«Certo, l’altra grande frontiera si riferisce alla cura di malattie acquisite, in particolare di neoplasie, più in particolare di neoplasie ematologiche. Il grande orizzonte sfidante è trasferire i risultati ottenuti nelle neoplasie ematologiche ai tumori solidi. E come si ottiene tutto questo? Con quelli che, a buon diritto, possono essere definiti dei farmaci viventi, perché basati sull’impiego di cellule proprie del malato, raccolte, isolate e modificate geneticamente per essere reindirizzate sul bersaglio tumorale».

«Si prendono nello specifico le cellule linfocitarie, elementi del nostro sistema immunitario che ognuno di noi possiede, che sono deputate soprattutto alla protezione contro infezioni virali o fungine. O anche a proteggere l’integrità biologica di un individuo, per esempio determinando anche il rigetto nel trapianto di organo solido. Si modifica principalmente attraverso dei vettori virali, specificatamente dei retrovirus o lentivirus, per inserire una sequenza di DNA, che fa poi codificare al linfocita T una proteina chiamata “recettore chimerico antigenico” (CAR). Ciò permette a queste cellule di andare ad aggredire selettivamente un bersaglio che esprime la molecola riconosciuta da questo recettore chimerico».

«Nello specifico sono stati validati per primi gli approcci che si fondano sull’uso di cellule CAR-T, che aggrediscono una molecola chiamata CD19, espressa sulla quasi completa totalità delle leucemie linfoblastiche acute, nella loro variante più frequente, quella di derivazione bicellulare e dei linfomi derivate dal sistema bilinfocitario. Di fatto, attraverso questi approcci, si sono ottenuti risultati incredibilmente importanti, senza precedenti, essendosi dimostrata la possibilità di riportare sotto controllo la malattia in una larghissima percentuale di questi soggetti. Ma anche di determinare, con questo approccio, la guarigione, nel corso del tempo, in una considerevole proporzione, più o meno stimabile attorno al 50%».

«Teniamo conto che, prima di questo approccio, questi pazienti non avevano probabilità di cura con gli approcci convenzionali. Nell’ambito delle leucemie linfoblastiche acute questa terapia riesce a recuperare anche pazienti che hanno fallito una classica strategia di trapianto di midollo osseo. Questo va a ulteriore dimostrazione di quanto queste terapie abbiano un potenziale applicativo importante. Come dicevo, merita ulteriore investimenti. Sia per renderle più impiegabili anche in termini di sostenibilità, ma anche migliorandone il profilo di efficacia e di sicurezza, con il trasferimento di questi risultati ad altri tumori ematologici. E con il grande orizzonte sfidante di applicare queste terapie innovative così importanti anche nell’ambito dell’oncologia solida».

L’investimento che ha fatto il Parlamento in questo progetto, che ha concentrato molte strutture, le cosiddette eccellenze italiane, quindi l’Accademia, Istituti di ricovero  e cura a carattere scientifico, un po’ in tutt’Italia, e che ha prospettive di allargamento in cui è entrato anche l’IRRCS Policlinico di Sant Orsola di Bologna, che vede questa nuova collaborazione anche molto stretta con l’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Potrebbe illustrarci come la ricerca sia importante e perché fare quest’alleanza e creare questa rete fra le eccellenze italiane è così importante per dare un futuro, dare gambe a questo tipo di ricerca e di cura?

«Lo ritengo un grande merito del Parlamento italiano, il quale unanimemente, in maniera trasversale, bipartisan, ha deciso di investire del denaro pubblico: 10 milioni di euro suddivisi in due anni (5 milioni per anno) per mettere a fattor comune e creare una massa critica di tutto quel patrimonio di competenze, qualificazioni e di interessi esistenti nel territorio italiano. Questo tipo di progetto, che ho il privilegio e l’onore di coordinare, viene condotto sotto l’egida di quella struttura presieduta dal professor Ruggero de Maria, che si chiama “Alleanza contro il cancro”».

«È una struttura creata su desiderio dei ministri della Salute che si sono succeduti nel corso degli anni, proprio per coordinare e identificare le direttrici attraverso cui indirizzare la ricerca oncologica nel Paese. Si è costituito questo network principalmente riferibile agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Ancora una volta c’è il piacere di dare il benvenuto al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, nell’ambito della rete degli IRRCS, proprio perché il desiderio è quello di essere assolutamente inclusivi e di poter trarre beneficio del contributo che ognuno può portare».

«Questo progetto si articola in sei pilastri fondamentali, che fanno riferimento all’identificazione di metodi innovativi più efficaci e anche economicamente sostenibili per la generazione delle cellule CAR-T. Il secondo pilastro fa riferimento all’identificazione di nuovi bersagli, soprattutto nell’ambito delle neoplasie solide, rispetto ai quali sviluppare approcci con le cellule CAR-T. Il terzo pilastro, collegato al secondo, inerisce alla validazione nei modelli animali di questi approcci».

«Il quarto e il quinto pilastro fanno invece parte di una strategia mirata a incrementare il profilo di sicurezza ed efficacia delle cellule CAR-T. Il sesto ha l’ambizione di creare quella cultura che in ambito accademico non è particolarmente sviluppata, ovvero quella del tutelare le proprietà intellettuali e di far sì che i soldi che vengono investiti attraverso risorse pubbliche possano poi avere anche una loro protezione e una possibilità di ulteriore sviluppo».

«Ognuno di questi sei pilastri ha dei coordinamenti da parte di colleghi di vari istituti di ricovero e cura a carattere scientifico che operano nel paese e a mio parere rappresenta un’opportunità unica per dimostrare alla nostra classe politica che in Italia esistono tutte le competenze, tutte le professionalità, tutte le capacità per sviluppare progetti ambiziosi come questo. Abbiamo già ottenuto risultati importanti, su tutti ne cito uno che ci ha visto direttamente coinvolti: l’impiego di un approccio innovativo per trattare con cellule CAR-T preparate con la metà del tempo necessario rispetto all’approccio tradizionale, impiegando cellule fresche, anziché congelate. Le cellule fresche si connotano per maggior capacità di mediare il loro effetto terapeutico».

«Cinque bambini hanno ricevuto questo approccio e tutti e cinque hanno risposto in maniera completa ottenendo un controllo della malattia che persiste oggi. L’auspicio è che anche una volta terminato questo progetto, che finirà verso la chiusura del prossimo anno, il Parlamento italiano decida di dare continuità perché confortati dai risultati che sono stati ottenuti. E soprattutto dalla capacità di creare sinergie e voglia di collaborare».

«La scienza per definizione confronta, per definizione è messa in discussione con quello che un bolognese famosissimo e di grandissima lucidità, come Ivano Dionigi, chiamerebbe la voglia di porsi domande perché l’ars interrogandi è molto più importante dell’ars respondendi».

Quando facciamo il bilancio tra rischi e i benefici di questa terapia, e anche fra i costi – laddove i costi non sono solo quelli puramente economici, ma anche quelli traducibili in termini di sofferenza e impegno per le persone implicate. Mi chiedo, questo bilancio è positivo che ci fa dire “vale la pena di intraprendere questa strada”?

«Premesso che non sono il giudice più obiettivo, essendo parte in causa nella conduzione di questa progettualità, la mia risposta è: certamente sì. Un Paese importante come l’Italia – da un punto di vista economico, di tessuto sociale, di capacità di garantire i migliori trattamenti a tutte le persone che risiedono sul suolo nazionale – non può non dedicare investimenti a un settore così avanzato e così importante per la ricerca clinica traslazionale come quello sulle cellule CAR-T».

«Per dare supporto a questa affermazione, ricordo che i prodotti che sono oggi commercialmente disponibili, in realtà hanno avuto il loro sviluppo iniziale in strutture accademiche degli Stati Uniti. Un esempio su tutti l’Università di Filadelfia, come anche il centro di cancerologia importante come il Memorial Sloan-Kettering di New York, o il Fred Hutchinson Research Center di Seattle».

«Quindi, l’idea è di riprodurre anche in Italia un modello virtuoso win-win, in cui l’Accademia ha nelle sue corde e nella sua missione il proposito di sviluppare approcci terapeutici innovativi, condurre studi proof of principles, cioè dimostrazioni iniziali di efficacia. Per poi interagire con le industrie farmaceutiche, in un rapporto trasparente e paritario, dove è ben chiaro che le strutture accademiche non hanno la loro missione principale nel trasferimento su larga scala. Però possono contribuire con la manifattura di prodotti di cellule CAR-T proprio per la terapia di questi malati o di settori che non destano. O proprio per rendere il tutto più sostenibile eticamente ed economicamente, in maniera tale da offrire questo tipo di terapia a tutti coloro che ne hanno bisogno».

«Non vediamola come una contrapposizione tra Accademia e industria. Ognuno può svolgere ruoli assolutamente importanti e fondamentali. È essenziale far entrare nella cultura del Paese questo tipo di missione affida alle strutture accademiche, che rispondono in questo modo alle esigenze dei malati e quindi di un sistema sanitario come il nostro, che è fondato su principi universalistiche e solidaristici a cui, credo, nessuno di noi voglia minimamente rinunziare».

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