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L’informazione scientifica di massa al tempo della pandemia

Nella fase iniziale della recente pandemia, tutti avevano potuto cogliere almeno un dato positivo: il risorgere di una rivalutazione della scienza e in generale delle competenze. Alla fine di questa prima fase del fenomeno pandemico però quel moto di simpatia e speranza che si era generato nei confronti della ricerca scientifica purtroppo sembra che si stia esaurendo.

La ragione di ciò da taluni viene fatta risalire soprattutto al comportamento degli stessi ricercatori, da un lato imputati di cedimento alle lusinghe della contingente notorietà mediatica, e dall’altro coinvolti nella rappresentazione di discussioni al loro interno che spesso assumono il carattere di aspri confronti tra opinioni divergenti.  

A me sembra invece di poter individuare, tra le ragioni della subentrante diffidenza nei confronti della scienza, soprattutto le modalità con cui sono state e ancora vengono gestite, sul piano della informazione mediatica, gli aspetti più propriamente scientifici di questa pandemia.

In questo contesto tutti abbiamo potuto notare i grandi assenti: i giornalisti scientifici e la loro specifica competenza professionale, completamente sopraffatti dall’intervento massiccio dei giornalisti politici che hanno inevitabilmente applicato al fenomeno pandemico i criteri propri della comunicazione politica, riconducendo, ad esempio, le dinamiche del dibattito all’interno della comunità scientifica dentro i binari propri del confronto o, più spesso, dello scontro politico.

Questa carenza, a mio parere, sta contribuendo non poco alla ripresa della diffusione di un sentimento di diffidenza e delusione nei confronti della scienza.

Ciò è intanto avvenuto nel momento in cui fin dall’inizio non si è adeguatamente chiarito che, in presenza di una pandemia da virus sconosciuto, non si possono pretendere dalla scienza risposte certe ed univoche che essa non può dare.  La mancanza di queste certezze si rispecchia ancora oggi nelle discordanti affermazioni in cui inevitabilmente incorrono i ricercatori quando studiano un fenomeno in divenire. Questo fatto, lungi dall’essere spiegato e contestualizzato – così come soprattutto una informazione specializzata sarebbe di grado di fare – viene invece colto dalla comunicazione soprattutto negli aspetti della contrapposizione personalistica tra esperti, spesso con il risultato – voluto o meno –  di ridimensionare il ruolo della scienza stessa.

Sotto questo aspetto non sono di certo neppure sfuggite alcune operazioni mediatiche di demolizione del contributo degli scienziati. Da un lato si è proceduto all’aperta ma generica contestazione della eccessiva proliferazione, vera o presunta, del numero di esperti coinvolti nella gestione della pandemia, dall’altro si è anche ricorso ad un uso scorretto delle informazioni contenute nella banca-dati “Scopus” – che “misura” la produzione scientifica di tutti i ricercatori biomedici del mondo -, con il palese intento denigratorio nei confronti dei ricercatori italiani indicati come “i più scarsi del mondo”.

Ma soprattutto nell’attuale pandemia la carenza di un’adeguata intermediazione, fornita da una informazione scientifica di massa di tipo professionale, è emersa nel momento in cui è stato necessario gestire sul piano divulgativo il fenomeno, registrato negli ultimi mesi, dell’enorme proliferazione di lavori scientifici che trattano della infezione Covid -19.

L’incremento esponenziale della produzione scientifica su questo tema e la comprensibile necessità di acquisire in fretta il maggior numero di dati possibile hanno indotto la creazione di piattaforme on-line nelle quali dai diversi ricercatori vengono fatti convergere lavori scientifici non sottoposti a revisione e spesso con carattere preliminare, che per questo andrebbero saputi leggere; essi sono tuttavia oggetto di un numero sterminato di commenti sui media e sui social network da parte di persone non sempre attrezzate per comprenderne il vero significato e la reale valenza.

Si è così generato il fenomeno che l’OMS ha definito con il termine di “infodemia”, con il risultato di una enorme “confusione divulgativa” che contribuisce non poco al consolidarsi di quella “incredulità post-moderna” (Salvatore Settis) alla base non solo degli atteggiamenti negazionisti rispetto alla infezione Covid-19, ma anche della diffidenza nei confronti della scienza e dei suoi sforzi per comprendere e fronteggiare la pandemia.

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