Con la recente approvazione del progetto a livello di Eurogruppo, si è fatto un passo avanti verso l’euro digitale. La sensazione è che prima o poi l’euro digitale diverrà realtà, ma è difficile che avvenga prima del 2028 o 2029, come indicano le Autorità.
L’euro digitale procede dunque, ma lentamente. Se sarà “prima” o “poi”, non è un punto secondario. Un periodo lungo genera di per sé incertezza, specie in questa materia e per chi valuta le alternative private alla valuta digitale pubblica di Banca centrale.
Emerge in modo chiaro che in termini di innovazione l’autorità pubblica non può procedere in modo spedito come le realtà private, tanto più con la complessa dinamica di governance tipica delle decisioni europee. Sull’altro fronte dell’Atlantico, le stablecoins in dollari sembrano avere un altro passo, e il preciso divieto per la FED di emettere il dollaro digitale elimina alla radice ogni ipotesi alternativa.
La posizione europea è intermedia tra Cina e USA, come spesso succede. A quanto si sa, la Cina concentrerà tutto sulla yuan digitale, e la governance lascia pensare a tempi piuttosto rapidi. In Europa, si punta all’euro digitale, ma con limiti di importo e senza obblighi di uso. L’euro digitale deve restare un’opzione e non un obbligo per il consumatore. Infatti, anche i c.d. token bancari potrebbero essere un’opzione con molte caratteristiche operative e funzionali simili all’euro digitale, eccetto la natura di moneta nativa di banca centrale.
Nel mondo digitale si riproporrebbe, a tendere, la stessa situazione del mondo tradizionale: contante e deposito, moneta pubblica e moneta privata. Il rischio però è che vi sia uno strisciante “spiazzamento” delle valute private in euro – magari via moral suasion o via privilegio pubblico – per un periodo appunto piuttosto lungo, in cui le stablecoins in dollari aumenteranno invece esponenzialmente.
Sotto questo profilo, la notizia del consorzio di nove banche europee pronte a partire per il lancio di una stablecoin in euro pare una buona notizia.








