Per molto tempo, un dato acquisito del processo di integrazione europea è stato che tutto girava intorno all’asse franco-tedesco.
Le ragioni erano molteplici.
La prima è che si tratta dei due principali paesi per peso economico.
La seconda è che, nella misura in cui un grande obiettivo dell’integrazione era porre fine alle guerre fratricide che avevano insanguinato l’Europa, il cuore del conflitto stava nell’inimicizia fra Francia e Germania.
Il terzo, meno conosciuto, è che sul terreno dell’integrazione economica le visioni dei due paesi erano spesso molto lontane e rappresentavano i due poli su cui si organizzava il dibattito in vista del compromesso finale.
Quando, faticosamente e nel complicato gioco delle istituzioni, si raggiungeva un’intesa franco-tedesca, in essa, sia pure con qualche aggiustamento, poteva riconoscersi la maggioranza dei membri Ue.
In sostanza, “l’asse” era importante perché i due paesi erano lontani, non perché fossero vicini.
Nel tempo questa funzione si è indebolita.
In primo luogo, a causa dei successivi allargamenti: la Gran Bretagna, soprattutto, ha tentato – ma con scarsi risultati e fino al disastro Brexit – di entrare nel gioco come terzo comprimario.
Più importante è stato l’indebolimento interno delle coalizioni o dei partiti che hanno storicamente governato i due paesi.
Tuttavia, il dogma ha retto fino a tempi recenti.
La situazione è ora radicalmente diversa.
Gli ultimi allargamenti e, soprattutto, l’evoluzione dell’economia e della geopolitica hanno fatto emergere un gruppo di paesi troppo a lungo considerati una componente della “frugalità germanica”.
Si tratta dell’arco che va dall’Olanda alla Polonia, passando per la Scandinavia e i Baltici.
In primo luogo, essi sono in generale economicamente più dinamici e innovativi dei “due grandi”.
Ma, soprattutto, l’evoluzione geopolitica e la crescita della minaccia russa, culminata nell’aggressione all’Ucraina, hanno contribuito a spostare verso il Nord e l’Est il baricentro dell’Europa.
Dopo il clamoroso fallimento della visione che aveva Angela Merkel dei rapporti con la Russia – e che aveva contaminato la Francia e l’Italia – il nuovo baricentro si trova fra coloro che fin dall’inizio facevano la giusta analisi di Putin.
Circondati, peraltro, da una sufficiente compiacenza che a volte sfiorava il disprezzo da parte dei “grandi”.
Nel momento in cui la principale sfida dell’Europa è quella geopolitica e militare, lo spartito della politica europea è scritto da chi fa parte del nuovo baricentro.
Un gruppo a cui, peraltro, si unisce, in un rapporto rinnovato e ancora da definire, la Gran Bretagna.
Ciò non significa che il peso di Francia e Germania sia scomparso.
Il loro peso economico e, per la Francia, politico e militare, li rendono comunque indispensabili se la “nuova Europa” vuole avere una massa critica.
Tuttavia, il centro di gravità ha cessato di situarsi da qualche parte fra Parigi e Berlino.
Il gioco europeo si è fatto più diversificato e complesso.
È importante che se ne renda conto anche l’Italia – governo come opposizione – che ha finora dato l’impressione di concepire la trasformazione dell’antico duopolio in triangolo come la principale, se non esclusiva, ambizione della sua politica europea.








