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Le scelte drammatiche dei medici nel buio del Covid 19. Occorre rimettere al centro il ruolo dei comitati etici

Negli ultimi mesi i ricercatori e i medici di tutto il mondo si sono trovati ad affrontare un virus sconosciuto che li ha messi di fronte a scelte drammatiche circa l’allocazione delle risorse sanitarie e alla necessità di incrementare le sperimentazioni al fine di individuare terapie efficaci.

Con riferimento alle sperimentazioni, a livello mondiale l’OMS, a livello italiano l’AIFA (v. comunicazione 12 marzo 2020, aggiornata il 7 aprile; circolare 22 maggio) e il Governo stesso (v. art. 40 del decreto Legge n. 23 dell’8 aprile 2020: Disposizioni urgenti in materia di sperimentazione dei medicinali per l’emergenza epidemiologica da COVID-19) si sono mossi rapidamente per favorire le ricerche nel rispetto del rigore scientifico e dei requisiti etici.

L’OMS ha ribadito che la ricerca rappresenta un imperativo etico perché solo attraverso di essa è possibile trovare risposte a questioni vitali per la prevenzione e la cura; che è fondamentale promuovere attività collaborative a livello nazionale e internazionale per ridurre lo spreco di risorse, evitando duplicazioni e studi sottodimensionati; che è doveroso da parte dei ricercatori rendere disponibili le informazioni nei tempi più rapidi possibili; che è indispensabile l’acquisizione del consenso informato al fine di rendere chiari ai partecipanti agli studi i rischi e i benefici, evidenziando che alcuni rischi possono non essere noti.

Molto opportunamente, a mio parere, le sperimentazioni cliniche di medicinali e/o dispositivi medici relativi al COVID-19 sono state gestite direttamente da AIFA attraverso il comitato tecnico scientifico (CTS) e l’ufficio sperimentazioni cliniche e valutate per la parte etica dal Comitato Etico dell’Istituto Nazionale per le malattie infettive (INMI) Lazzaro Spallanzani di Roma. Tutte le altre tipologie di studi, soprattutto osservazionali, hanno invece seguito il normale iter presso i Comitati etici di riferimento delle strutture proponenti le sperimentazioni.

Con riferimento, invece, all’allocazione delle risorse sanitarie (in particolare posti di terapia intensiva e subintensiva, respiratori, ecc.), numerosi documenti di Società medico/scientifiche, di Istituti di ricerca, di Comitati etici nazionali e internazionali hanno dato vita ad un vivace dibattito ancora in corso.

Ad aprire tale dibattito in Italia il documento delle SIAARTI (Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili), in cui si afferma che in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse oltre ai criteri generali di appropriatezza e proporzionalità delle cure è necessario mettere in campo “un criterio il più possibile condiviso di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate”, criterio che rimanda, secondo una logica utilitarista, a scelte funzionali a “massimizzare i benefici per il maggior numero di persone” e a “privilegiare la maggiore speranza di vita”, vale a dire a “riservare risorse a chi ha in primis più probabilità di sopravvivere e secondariamente a chi può avere più anni di vita sociale”.

A circa un mese di distanza dal documento della SIAARTI è uscito il parere del CNB (La decisione clinica in condizioni di carenza di risorse) che ha adottato un diverso approccio, indicando come parole chiave che devono orientare la scelta: la preparedness, ossia la capacità del sistema sanitario di predisporre strategie di azione per le situazioni eccezionali nelle quali si genera un potenziale conflitto tra la necessità di assicurare il massimo beneficio al maggior numero di pazienti e la necessità di tutelare ogni singolo; l’appropriatezza delle cure, ossia la valutazione in ordine all’efficacia del trattamento rispetto al bisogno clinico di ciascun paziente curato riguardo alla gravità delle sue condizioni e alle possibilità prognostiche di guarigione; l’attualità, ossia la necessità di valutare individualmente il paziente nel qui e ora, senza tralasciare la prospettiva più ampia della generalità dei pazienti in trattamento, sottoponendo a revisione periodica le priorità e le liste d’attesa.

Personalmente condivido le posizioni espresse dal CNB, consapevole del fatto che per la loro realizzazione è richiesto un impegno ancora maggiore ai medici e agli operatori sanitari che, da un lato, dovrebbero ricevere una formazione in senso lato bioetica, che permetta di acquisire metodologie di comportamento che accompagnino tutte le scelte terapeutiche, in condivisione, laddove possibile, con il paziente alla luce della legge 219/2017 e, dall’altro lato, dovrebbero essere supportati da comitati variamente definiti “per l’etica della cura” o “per l’etica nella clinica”, formati da professionisti multidisciplinari che in situazioni particolarmente complesse potrebbero affiancarli nelle difficili scelte che sono chiamati a compiere.

In un parere del 31 marzo 2017 il CNB, richiamando pareri precedentemente espressi, rileva che la normativa vigente prevede, seppur in via residuale, che i Comitati etici possano svolgere anche altre funzioni (il Decreto 8 febbraio 2013 recita: “ove non già attribuita a specifici organismi,  i CE possono svolgere una funzione di consultazione in relazione a questioni etiche connesse con attività scientifiche assistenziali allo scopo di proteggere e promuovere i valori della persona; i CE inoltre possono proporre iniziative di formazione degli operatori sanitari relativamente a temi in materia bioetica”), ma constata che i Comitati etici come attualmente composti e organizzati svolgono quasi esclusivamente valutazioni per la sperimentazione farmacologia.

La pratica clinica pone agli operatori sanitari problemi sempre più complessi in conseguenza degli sviluppi tecnologici, che alimentano nuove speranze e aprono nuovi interrogativi, e dell’accresciuta consapevolezza da parte dei pazienti della propria autonomia di scelta, problemi che richiedono competenze diverse rispetto a quelle previste per i Comitati etici.

Se le valutazioni sulle sperimentazioni farmacologiche – sottolinea il CNB – hanno carattere tendenzialmente impersonale e procedurale, l’etica clinica, invece, accentua le condizioni individuali ed esistenziali del rapporto con i pazienti. I Comitati per l’etica nella clinica non devono sovrapporsi, sostituire o interferire nel rapporto tra medico, equipe medica e paziente, ma rafforzare tale rapporto quando, a parere del medico o su richiesta del paziente, appare necessario acquisire ulteriori elementi di valutazione e allargare gli orizzonti del dialogo. In questi casi il Comitato per l’etica nella clinica può fornire un parere non vincolante senza togliere al medico o all’operatore sanitario autonomia e responsabilità decisionali.

Molti paesi si sono forniti di questi organismi: ad esempio in Spagna vi sono i Comités Asistencial de Etica, nel Regno Unito i Clinical Ethics Committees, strutture analoghe negli Stati Uniti e in Francia. In Italia pionieristico è il caso della Regione Veneto che fin dal 2004 ha adottato linee guida per la costituzione e il funzionamento dei Comitati etici per la pratica clinica.

Alla luce della dolorosa esperienza del COVID-19 mi auguro che i Comitati per l’etica nella clinica trovino un’adeguata attenzione legislativa e amministrativa per evitare che gli operatori sanitari siano lasciati soli a prendere decisioni in situazioni particolarmente drammatiche, quali quelle che hanno dovuto affrontare in questi mesi, decisioni che non devono basarsi su criteri astratti ritenuti oggettivamente validi, ma contestualizzate e individualizzate nei casi concreti, al “letto del malato”.

É in queste situazioni che gli operatori sanitari dovrebbero poter avvalersi delle professionalità multidisciplinari presenti nei Comitati per l’etica nella clinica per un confronto e sostegno nelle proprie scelte, mantenendone piena autonomia e responsabilità.

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