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L’allarme dell’Istat: chiudono le piccole imprese, le medie e le grandi trainano il lavoro | Il documento

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Tra il 2019 e il 2022 nell’industria è diminuito il numero di unità (-7mila con almeno un dipendente), ma sono aumentati gli addetti (circa +78mila unità, +2,0%) e il valore aggiunto (+19,8%); al netto del forte incremento dei prezzi, emerge un processo di ricomposizione delle risorse a favore di unità di dimensioni più grandi e più produttive. Lo rileva l’ISTAT nel rapporto sulla competitività.

Il ruolo di traino delle imprese di media e grande dimensione emerge anche nella creazione di occupazione: a queste classi si deve il 66,4% dei circa 660mila addetti aggiuntivi del periodo considerato (41,5 nelle Costruzioni, 14,6% nell’Industria 6,7% nei servizi di mercato, 3,6% in quelli alla persona).

Nel 2022 emerge un sistema ”dualistico” in termini di dinamismo delle imprese da misurare sulla base della propensione all’innovazione e agli investimenti in tech, personale e organizzazione: quasi il 60% delle imprese era a dinamismo basso o medio-basso spiegava meno del 25% del valore aggiunto e poco meno di un terzo degli addetti; il 22,3% delle imprese più dinamiche generava oltre il 50% del valore aggiunto e circa il 44% dell’occupazione complessiva. Tale dualismo, inoltre, si è accentuato tra il 2018 e il 2022.

Il grado di dinamismo, sottolinea l’ISTAT, tende ad aumentare al crescere delle dimensioni aziendali; tuttavia un assetto strategico più complesso non è preclusa alle unità di minore dimensione (oltre 37mila unità ad alto o medio-alto dinamismo impiegano meno di 50 addetti).

L’adozione di profili a elevato dinamismo ha consentito anche a migliaia di piccole imprese di registrare livelli di produttività del lavoro superiori a quelli delle unità di media e grande dimensione con un grado di dinamismo basso o medio-basso: un ”dinamismo accessibile” che potrebbe permettere anche alle piccole imprese una crescita produttiva di rilievo, compensando almeno in parte i limiti derivanti dalla loro dimensione.

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