Non sempre il fatto che il pulpito da cui viene la predica sia squalificato deve indurre a ritenere che quella stessa predica sia interamente falsa – osserva Luigi Manconi su La Repubblica.
Certo, tra i vezzi e i vizi più insopportabili della destra italiana c’è quella petulante accusa agli avversari di non mobilitarsi con uguale vigore per tutte le cause meritevoli di solidarietà. Da qui il molesto ripetere: Perché le sinistre non manifestano per le donne iraniane e afghane, per gli oppositori venezuelani o per i palestinesi che contestano Hamas? Non serve ricordare che neppure le destre presidiano le ambasciate di Corea del Nord o Myanmar.
Perché, mentre la Russia compie una carneficina, la mobilitazione popolare appare così esitante? Innanzitutto, la lunga genealogia dei fatti che precedono il 24 febbraio 2022: una vicenda complicata, manipolata dalla propaganda russa, che spinge a ridimensionare l’evento decisivo dell’invasione. Così si equiparano torti e responsabilità, e l’aggressione non appare come un atto imperialista di uno Stato totalitario, ma come l’esito di cause storiche confuse.
Ma neppure la retorica resistenziale convinse molti, anche dentro l’Anpi, a scegliere con nettezza la parte delle vittime. Ecco il cuore della questione: il sentimento russofilo diffuso in Italia. Colpisce la fascinazione per il leader forte, fisicamente possente, percepito come antidoto al disordine. La stanchezza verso la democrazia alimenta così l’attrazione per l’autocrazia.
In ambienti oscurantisti, l’apprezzamento per Putin nasce dall’omofobia di quel regime, visto come baluardo contro la “decadenza occidentale”. Ma c’è di più: una russofilia radicata in antichi riflessi e in una mitologia che resiste. La Russia di oggi appare come l’erede di un campo politico nato oltre un secolo fa; un dittatore responsabile di stragi è percepito come contrappeso all’Occidente, anch’esso autore di crimini.
Questa russofilia è la forma attuale dell’anti-occidentalismo, molto più diffuso di quanto si creda. Si nutre di realpolitik e di teorie geopolitiche che difendono lo status quo e svalutano regole democratiche e diritto internazionale. Su tutto ciò ci sarebbe molto da riflettere – e, se ne siamo capaci, da cambiare radicalmente.








