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La ciambella di salvataggio dall’abisso della Lamborghini degli youtuber | Il commento di Giuseppe Caporale

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Certo ci sono gli youtuber, c’è la follia di un gruppo di giovani di Casalpalocco che ha travolto un auto e ucciso un bambino di 5 anni per tentare di vincere una sfida lanciata sui social. 

C’è il vuoto in cui ci sembra siamo precipitati i giovanissimi di oggi. 

Ma non ci sono solo loro. Non sono tutti così i ragazzi. 

Ci sono anche appassionati, in varie latitudini del Paese, che si impegnano, con le loro idee in questi tempi difficili. 

Spesso idee radicali, forti. Discutibili. Opinabili.

Ma che accendono il loro sguardo, che incendiano le loro giornate e muovono le loro azioni.

Un esempio lo trovo a Conegliano, in provincia di Treviso, dove un gruppo poco al di sopra ai vent’anni ha scelto di mettere su una manifestazione: “il festival della cultura liberata”.

Tre giorni per dibattere, confrontarsi da posizioni opposte sulle grandi sfide e i grandi dubbi che come nubi si addensano sul futuro dei giovani e su tutto il nostro Paese. Economia, clima, stato sociale, ruolo dei territori. 

Un festival indipendente che mira alla valorizzazione della piccola e media editoria. 
Così un tentativo di risposta ai TheBorderline, al loro vivere senza senso alla ricerca di un like (inseguendo la bramosia di ricchezza tra le curve della periferia romana) si può trovare qui, tra le valli del Prosecco, tra le pieghe del Veneto operoso, dove un gruppo di ragazzi ha scelto di non lasciare – o almeno non ancora – l’Italia e provare a incidere, a costruire dal basso. Partendo dalla diffusione della cultura nei territori. 

Li ho conosciuti per caso, rispondendo ad un invito per la presentazione del mio ultimo libro.

L’organizzatore Alberto Gava, imprenditore e fondatore dell’associazione Nova Vita ha idee forti e molto radicate. Idee neoconservatrici, ma almeno idee. 

Insieme agli altri giovani del Festival monta gazebo e pedane, distribuisce volantini, sposta relatori e anima incontri.

Alberto con voce e sguardo appassionato spiega – a chi glielo chiede – di come il territorio debba ritrovare un ruolo, accenna al nodo centrale dell’idea distributista ovvero che la ricchezza dovrebbe essere distribuita tra il maggior numero di persone e che “il lavoro dovrebbe essere profondamente umano e non una merce la cui offerta è regolata dal prezzo”.

La presenza della parrocchia agli incontri testimonia come il festival sia animato da cultura cattolica. 

Alberto davanti a domande troppo dirette sui principi che ispirano il festival si schernisce.

“Stiamo solo cercando di diffondere cultura, non facciamo politica. Questo festival nasce per confrontare idee diverse. Sui social ti puoi solo schierare, sei costretto a tifare e cercare un like. Mentre qui puoi discutere”. E ragionare. 

“Miriamo a creare un beneficio economico-sociale sul territorio di Conegliano per scuole, locali, alberghi, ristoranti ed aziende”.

Il Festival ha aperto le porte a tutte le idee. A protagonisti diversi e opposti tra loro. Ha sollecitato il confronto e stimolato l’impegno culturale. “Cerchiamo di andare oltre le ideologie” tiene a sottolineare. 

Di sicuro in questa settimana in cui un dramma stradale ha squarciato un abisso esistenziale che avevamo intuito ci fosse ma che non credevano così profondo, le parole di Alberto sono una ciambella di salvataggio.

E poco importa se le idee di fondo che li animano sono radicali. Utopiche. E forse criticabili.
La passione può essere la cura. Meglio forti passioni civili, anche contrapposte allo spirito del tempo, piuttosto che la Lamborghini degli youtuber. 

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